SCHEGGE 23/ Le nefandezze dei Savoia nel Regno delle Due Sicilie e le nefandezze dell’Unione Europea dell’euro

14 settembre 2019

Con questo articolo concludiamo un ciclo di riflessioni, supportate da autorevoli testimonianze storiche, sulle nefandezze che portarono alla disonesta e deplorevole conquista del Regno delle Due Sicilie da parte dei Savoia aiutati da inglesi e massoni. Oggi il Sud è ancora ‘prigioniero’ di un’Italia nata male e cresciuta in peggio. Un’Italia che, a propria volta, sta subendo la stessa sorte ad opera di una massonica e fallimentare Unione Europea dell’euro che è la negazione della libertà e della democrazia

di Giovanni Maduli
vice presidente del Parlamento delle Due Sicilie-Parlamento del Sud® (Associazione culturale), e componente della Confederazione Siculo-Napolitana

Nelle prime dieci puntate di questa rubrica abbiamo appurato, seppure in maniera estremamente concisa e certamente insufficiente, alcune innegabili verità relative alle violenze, alle torture, agli stupri, alle illegalità attraverso le quali furono aggredite e annesse la Sicilia ed il Sud. Verità che, come abbiamo scritto in precedenza, non possono andare soggette ad “interpretazioni” di sorta. Verità che testimoniano inequivocabilmente cosa veramente fu quello che ancora, con un falso e subdolo eufemismo, viene indicato come “risorgimento”.

Nelle successive sei abbiamo visto “chi” volle, quando e perché, mettere fine ad un Regno che, contrariamente a quanto ci si è voluto far credere, con le sue equilibrate politiche sociali ed economiche caratterizzate da uno spiccato senso di solidarietà, rappresentava certamente un ostacolo all’affermarsi di quella borghesia di stampo capitalistico che, attraverso quelle atroci violenze, si impadronì del potere politico ed economico mortificando mortalmente le naturali e legittime aspirazioni del suo popolo.
Dalla diciassettesima puntata stiamo infine verificando “cosa” sia stato in realtà quel Regno tanto vituperato dai mass media del tempo e fino a poco tempo addietro. E, come già annunciato, lo faremo anche attraverso il contributo di insigni studiosi e storici che certamente non possono essere accusati di essere simpatizzanti o sostenitori dei Borbone.

In questa puntata vedremo, per sommi capi, gli sviluppi della Marina mercantile in tutto il Regno ed in Sicilia; le relative scuole di formazione e gli sbocchi che tali scuole offrivano. Vedremo poi come le famose Officine siderurgiche di Pietrarsa e i relativi alloggi per gli operai, che oggi definiremmo “case popolari”, colpirono a tal punto lo Zar Nicola I di Russia nel corso di una sua visita, da chiedere di poterne fare i rilievi architettonici dai quali nasceranno poi, in copia, le famose officine di Kronstdat. Vedremo ancora altri provvedimenti finalizzati al miglioramento dell’agricoltura e del catasto.

Rileggeremo poi alcune riflessioni del compianto Prof. Corrado Mirto, già Docente di Storia Medievale presso l’Università di Palermo, e del Dott. Pippo Scianò, riportate in “Riflessioni e pensieri indipendentisti…in libertà”, pubblicati nell’ottobre del 2007.

Concluderemo infine con alcune nostre valutazioni che, proprio sulla base di quanto fin qui narrato, abbiamo la speranza di ritenere possano contribuire al rafforzamento di un unitario e compatto fronte dedito alla salvaguardia dei nostri diritti e delle nostre identità ormai da troppo tempo insanabilmente mortificate.

Molto si provvide alla marina mercantile. Avevamo scuole nautiche a Meta, Carotto, Castellamare, Procida, Gaeta, Bari e Reggio; e in Sicilia il collegio nautico a Palermo, e scuole a Messina, a Trapani, Siracusa, Giarre, Riposto e Catania. Con decreto del 1852 i piloti delle scuole nautiche di Palermo, Messina e Trapani, erano ammessi a concorrere ai posti superiori della Marina regia; e l’anno seguente si permise agli alunni delle scuole di Siracusa, Giarre e Riposto concorressero a terzi piloti su’ regii legni. Nel 1846 si abolì il diritto pe’ documenti degli atti di riconoscimento de’ padroni di navigli. Nel 1837 si crebbe al trenta per cento il premio ai legni siciliani di diminuzione di dazio sulle merci recate dall’Indie, e del venti a quelle del Baltico. Queste e altre molte facilitazioni, che tralascio per brevità, feron progredire la nostra marina mercantile. Nel 1825 aveva legni 5008, di tonnellate 107,938; e nel 1855era già di legni 8988, di tonnellate 213,003, cioè doppia; nel 25 non avevamo piroscafi, nel 55 n’avevamo sedici, di 3859 tonnellate. Il commercio in trent’anni prosperò tanto che nel 56 erano solo in Napoli già 25 compagnie con circolazione venti milioni e più di ducati. Questa prosperità marinaresca insolita al nostro paese, ne rendeva indipendenti dal commercio straniero: ecco il rangolo dell’Inghilterra.
Giacinto de’ Sivo, Storia delle Due Sicilie, vol. I, pag. 53, Grimaldi & C. Editori.

Nel settembre 1845, in occasione del settimo Congresso degli Scienziati Italiani tenuto a Napoli, l’Opificio di Pietrarsa costituisce uno speciale vanto per la nazione. Nella guida della città, appositamente realizzata per l’occasione, diverse pagine sono dedicate al complesso industriale, del quale vengono non soltanto elencati i macchinari e i prodotti, ma anche sottolineati i presupposti: l’attenzione per le possibili applicazioni della trazione a vapore, “stemma del nostro secolo”, l’intento di emanciparsi dal bisogno di importare tecnologie e lavoratori specializzati, la volontà di coniugare ricerca teorica e applicazione empirica, l’impegno nel campo della formazione e nell’aggiornamento. Sappiamo d’altronde che, nel dicembre dello stesso anno, lo stabilimento viene mostrato con orgoglio allo zar Nicola I° di Russia, il quale – stando a fonti ottocentesche – avrebbe fatto rilevare da suoi tecnici l’impianto e i macchinari in vista della prossima realizzazione del complesso industriale a Kronstadt in Russia. E qualche anno più tardi, nel settembre 1849, anche la visita del pontefice Pio IX a Napoli, prevederà una tappa all’opificio. … Una serie di interventi ulteriori tra il 1845 e il 1853, ben distanti dall’iniziale, strategico understatement, assecondano questa duplice natura di insediamento industriale specializzato, per un verso, e di luogo rappresentativo dello Stato moderno, per l’altro. Bisogna considerare al proposito che l’opificio diviene negli anni un luogo notevole e interessante da visitare, e come tale è riportato in certa letteratura artistica degli anni pre – unitari: ad esempio, Camillo Napoleone Sasso nella sua Storia dei Monumenti di Napoli dedica a Pietrarsa le ultime pagine del testo e l’ultima tavola delle illustrazioni; Chiarini, nel suo aggiornamento alla guida seicentesca di Carlo celano, riserva ampio spazio alla descrizione del complesso industriale. Così se da un parte i nuovi reparti risultano legati all’aumento e alla diversificazione della produzione e alla conseguente crescita della forza lavoro (circa 500 operai nel 1847), dall’altra la palazzina della direzione, realizzata nel 1845 – 46 con apposite sale per i visitatori illustri, e gli accurati giardini rispondo soprattutto a esigenze di immagine. La funzione di fabbrica – modello d’altronde viene confermata con gli interventi del 1853, costituiti da residenze per gli operai civili (fino a quel momento soltanto i militari beneficiavano dei posti – letto della caserma) e dalla nuova Chiesa dell’Immacolata, nelle parole di Corsi “non ristretta e neppure grande (…) ma formalmente fatta e capevole di molte centinaia di persone”.
Claudio Garofalo e Fabio Mangone, Cavalli di ferro, Altrastampa Edizioni, pag. 33/40.

Intanto in Sicilia, il giovanissimo Principe Leopoldo, aperto alle nuove correnti liberali, ed il maturo ed esperto consigliere Principe Lucchesi, davano vita ad una dignitosa forma di governo.
Come scrisse Nitti, è impossibile trovare nella storia meridionale un periodo di più utili riforme, di maggiore quiete e di maggiore libertà di quello tra il 1830 e il 1848.
Fu un tempo in cui tutto il Mezzogiorno godette di un relativo benessere, che altre nazioni non sognavano di raggiungere. La Luogotenenza, che potremo chiamare Siracusa-Campofranco, riuscì a realizzare in poco tempo diverse riforme, che conquistarono ai Borbone…, la simpatia del popolo e dell’aristocrazia isolana.
Di fatto, scrive Paolo Alatri, questo quadriennio fu caratterizzato da un certo numero di riforme e provvedimenti non privi di rilievo. I relativi decreti riportarono tra le varie istituzioni quelle dell’abolizione della privativa dei tabacchi e del dazio di consumo, della creazione di un istituto di Incoraggiamento per l’agricoltura, dell’istituzione di una Direzione Centrale di Statistica, della riforma del catasto fondiario e della concessione di una serie di amnistie.
Giuseppe TestaIl “Vicerè” dei Borboni, pag. 56.

Chiudiamo infine con alcune riflessioni del compianto Prof. Corrado Mirto e del Dott. Pippo Scianò.

Una vera unità politica si ha quando alcuni popoli, che hanno affinità etniche e culturali, rapporti amichevoli fra di loro ed interessi comuni, decidono di formare uno Stato unico.
Quando invece uno Stato aggredisce un altro a cannonate, lo occupa, massacra civili ed incendia paesi, non si ha una unità, ma una conquista violenta.
Questo, purtroppo, è quello che fece il Piemonte nel Sud a partire dal 1860, quando nelle pacifiche regioni meridionali, eredi della civiltà della Magna Grecia, irruppero i “tagliatori di teste” provenienti dal Piemonte.
Bisogna chiarire che questa espressione, “tagliatori di teste”, non è una battuta spiritosa di cattivo gusto, ma è la presentazione di una tragica realtà documentata anche da fotografie, che mostrano le sanguinolente teste di partigiani del Sud tagliate e messe in gabbie di vetro a monito delle atterrite popolazioni meridionali.
E questo non fu tutto.
Oltre all’invasione violenta del Regno delle Due Sicilie vi fu dal 1860 l’ostilità e la persecuzione della Chiesa Cattolica.
A questo proposito sono indicative le parole con le quali in un proclama autorizzato dal governo, il generale dell’esercito piemontese Ferdinando Pinelli parlava del papa Pio IX, che la Chiesa ha di recente proclamato beato.
Il papa è definito “il Sacerdotal Vampiro che con le sue sozze labbra succhia da secoli (quindi il termine “elogiativo” è esteso anche ai papi precedenti) il sangue della madre nostra”; ed il Pinelli assicura che “purificheremo col ferro e col fuoco (per questo bruciavano i paesi) le regioni infestate dell’immonda sua bava”.
Bisogna anche ricordare, dall’unità in poi, l’uso continuo, sistematico, della menzogna, l’irrisione volgare e plebea dei vinti, la loro sistematica denigrazione, il tentativo di cancellare la storia e l’identità di intere popolazioni.
Corrado Mirto, già Docente di Storia Medievale presso l’Università di Palermo, in “Riflessioni e pensieri indipendentisti…in libertà”, di Corrado Mirto e Giuseppe Scianò, Palermo, ottobre 2007.

CONCLUSIONI
In questa serie di articoli, abbiamo appurato cosa sia stato in realtà il cosiddetto “risorgimento”; quali atrocità, quali ingiustizie, quali nefandezze abbiano compiuto i nostri “fratelli” venuti dal Nord.
Abbiamo visto come, in realtà, tutte le cosiddette “rivoluzioni di popolo” altro non furono che vigliacche e vili macchinazioni messe in atto in tutta Europa, in Italia e in Sicilia, da massonerie, consorterie affaristiche, ceto alto borghese rampante e potentati bancari e finanziari.
Abbiamo visto come, e invece, la nostra antica Patria e la sua politica, se non totalmente libera da problemi e contraddizioni, fossero caratterizzate da un alto senso di giustizia, di solidarietà e di equilibrio. Necessitando di “un nemico” da additare all’ingenua opinione pubblica, per “liberarci” i nostri “fratelli” piemontesi si sono dovuti inventare un nemico, I Borbone, identificati come la “Negazione di Dio”, come una monarchia despota e sanguinaria, dedita esclusivamente allo sfruttamento del popolo ed alla soppressione di tutti i suoi più elementari diritti.
Come abbiamo visto, anche secondo il parere di numerosi e insigni studiosi, niente di più falso.
E tuttavia voglio essere chiaro su un punto: non sono monarchico né filo borbonico, ma profondamente e saldamente ancorato a quei principi democratici che videro nell’antica Grecia gli albori di un vivere civile basato sulla vera uguaglianza dei cittadini e sull’osservanza di quei principi legati al rispetto delle leggi sacre e naturali che possiamo individuare nel successivo Giusnaturalismo.

Ma le convinzioni storiche, politiche e sociali di chiunque, specie di coloro che come me si avvicinino allo studio della Storia anche solamente per passione, non possono prescindere da quella correttezza e obiettività culturale e intellettuale che, sole, possono permetterci quanto meno di avvicinarci alla Verità.

Certamente, come detto, la nostra antica Patria soffriva di problemi e contraddizioni ma, altrettanto certamente, era proiettata verso un traguardo di sviluppo sociale, umano e tecnologico spesso ben al di sopra di altre blasonate potenze straniere. Anche per questo essa doveva perire lasciando il campo a “culture” altre, di stampo anglosassone e liberistico, che nulla avevano e hanno a che vedere con la nostra sobria cultura mediterranea e umanistica.

Lo sbandamento che oggi stiamo vivendo, a tutti i livelli, è da attribuire principalmente all’imposizione di quella “cultura” a noi estranea e che mai potremo comprendere e condividere. L’arrivismo, la competizione, la conflittualità, il profitto a tutti i costi anche a discapito della dignità umana, sono “modalità” che non possiamo accettare e che respingiamo con tutta la nostra forza; forza che discende dalle nostre trimillenarie esperienze e progressi di altissimo livello, in campo filosofico, giuridico, scientifico,tecnologico, umano e sociale.

L’analisi storica è certamente utile per la comprensione di quanto avvenne ma poco vale l’espedirla se poi non si riesce a fare i necessari confronti con “l’oggi” per trarne le relative conseguenze. Quanto sta oggi accadendo in Italia e in Europa – ma potremmo estendere il concetto a tutto il mondo occidentale – è l’esatta riproposizione di quanto avvenne nel Sud Italia 158 anni fa.

Nessuno allora ci chiese se eravamo desiderosi di unirci ai “fratelli” piemontesi; nessuno ci chiese se volevamo tutti quei cambiamenti (di stampo liberista) che ci furono imposti. Così, oggi, nessuno ci ha interpellato su questa famigerata unità europea; nessuno ci ha chiesto se e come l’avremmo voluta; nessuno ci ha chiesto un parere sull’unità (forzata) della moneta unica. Allora si usarono i fucili e la violenza fisica oggi, più subdolamente, le armi della finanza e delle speculazioni.

Si è costituita unilateralmente e dittatorialmente una oligarchia economico finanziaria, autoproclamatasi tale e auto formalizzatasi nella “commissione europea”, che si permette, esclusivamente in forza del suo smisurato potere economico – quindi anche politico e mediatico – di dettare le regole non solo economiche, ma soprattutto sociali, umane e perfino valoriali e filosofiche.

Il lato comico, se non fosse drammatico, è che si pensa di farci credere che tali “istituzioni” siano democratiche attraverso l’istituzione di organismi quali il “Parlamento europeo”, che in realtà non hanno alcun potere decisionale in nessun campo, neanche in quello economico.

Ecco che allora la Storia diviene strumento indispensabile per comprendere “chi” eravamo e di cosa fummo capaci e in tutti i campi: da quello umano a quello sociale a quello economico a quello scientifico.

Occorre quindi, proprio sulle basi della nostra Storia, ritrovare l’orgoglio di appartenere alla discendenza di un grande Popolo e di un grande Stato che ben poco o nulla avevano da invidiare alle altre potenze europee. Palermo, nel periodo medievale fu indiscussa capitale di cultura, arte, scienza, tecnologia, in tutto il Mediterraneo, Europa compresa; Napoli, parimenti, lo fu fra ‘700 ed ‘800.

Ma, al contempo, la Storia non può e non deve divenire ostacolo laddove si dovessero ravvisare differenze di opinioni o interpretazioni su determinati fatti storici. Alla luce della criminale e premeditata distruzione economica, sociale e umana che stiamo vivendo è da irresponsabili dividersi in fazioni o circoli contrapposti: le diversità di opinioni possono talvolta essere legittime e pure costruttive ma il disastro che stiamo vivendo ormai da centocinquantotto anni ci riguarda tutti e tutti, insieme, abbiamo il dovere di unirci per sradicare alle radici quella malapianta che rischia di annullarci tutti definitivamente.

Lo dobbiamo ai nostri padri ma, soprattutto, lo dobbiamo alle future generazioni. Chi non comprende questo è fuori dalla realtà e rimarrà inesorabilmente emarginato in un immaginario e dorato mondo fantastico totalmente scollegato dai drammatici e reali problemi che ci attanagliano tutti.

Infine una notazione di particolare importanza: non va mai dimenticato o sottovalutato che da un punto di vista strettamente giuridico è lo Stato delle Due Sicilie ad essere stato aggredito ed annesso, militarmente e illegalmente; e le illegalità non si estinguono con il passare del tempo. Il nostro Stato, al cospetto del consesso internazionale e confacentemente ai principi di libertà ed autodeterminazione sanciti perfino dalla Carta delle Nazioni Unite, ha quindi tutto il diritto di chiedere o riprendere il posto che gli è stato così arrogantemente ed illegalmente tolto.

Abbiamo dalla nostra la Storia ed il Diritto: nel rispetto delle reciproche identità Siciliana e Napolitana, lavoriamo quindi insieme per riaffermare la prima e riappropriarci del secondo ricordando che, come scrisse Francesco II lasciando la fortezza di Gaeta, “…Traditi egualmente, egualmente spogliati, risorgeremo allo stesso tempo dalle nostre sventure; ché mai ha durato lungamente l’opera della iniquità, né sono eterne le usurpazioni.”

Chi volesse approfondire di molto questi argomenti, può farlo anche consultando il sito www.regnodelleduesicilie.eu alle sezioni “Notizie dal Regno – Storia” e “Schegge di Storia”, quest’ultima sulla sinistra della home page.

Foto tratta da Malvezzi Europei

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