Schegge di storia 18/ L’Alta Corte per la Sicilia al tempo del Borbone e lo Stato sociale di San Leucio primo in Europa!

10 agosto 2019

Noi siciliani, giustamente, ricordiamo lo scippo dell’Alta Corte per la Sicilia ad opera della Corte Costituzionale, nel 1957. Ma una sorta di Alta Corte – che allora si chiamava Consiglio di Stato, composto da tre siciliani e tre napolitani – era stato istituito da Carlo III. Quando i terreni vennero tolti ai gesuiti e distribuiti ai contadini. Lo Stato sociale al tempo del Borbone, quando San Leucio era un esempio in tutta l’Europa

di Giovanni Maduli
componente della Confederazione Siculo-Napolitana e vice presidente del Parlamento delle Due Sicilie-Parlamento del Sud®, Associazione culturale

Nelle prime dieci puntate di questa rubrica abbiamo appurato, seppure in maniera estremamente concisa e certamente insufficiente, alcune innegabili verità relative alle violenze, alle torture, agli stupri, alle illegalità attraverso le quali furono aggredite e annesse la Sicilia ed il Sud. Verità che, come abbiamo scritto in precedenza, non possono andare soggette ad “interpretazioni” di sorta. Verità che testimoniano inequivocabilmente cosa veramente fu quello che ancora, con un falso e subdolo eufemismo, viene indicato come “risorgimento”.

Nelle successive sei abbiamo visto “chi” volle, quando e perché, mettere fine ad un Regno che, contrariamente a quanto ci si è voluto far credere, con le sue equilibrate politiche sociali ed economiche caratterizzate da uno spiccato senso di solidarietà, rappresentava certamente un ostacolo all’affermarsi di quella borghesia di stampo capitalistico che, attraverso quelle atroci violenze, si impadronì del potere politico ed economico mortificando mortalmente le naturali e legittime aspirazioni del suo popolo.

Dalla diciassettesima puntata stiamo infine verificando “cosa” sia stato in realtà quel Regno tanto vituperato dai mass media del tempo e fino a poco tempo addietro. E, come già annunciato, lo faremo anche attraverso il contributo di insigni studiosi e storici che certamente non possono essere accusati di essere simpatizzanti o sostenitori dei Borbone.

In questa puntata vedremo quale era il ruolo della Sicilia nella unificazione dei due Regni; quali erano gli interventi della Corona in favore dei contadini e delle classi più disagiate ed infine quale era lo spirito che animava gli interventi legislativi di quella casa regnante. Fatti e circostanze non conosciute da molti. Alcuni, ad esempio, sono a conoscenza del fatto che la Sicilia nel suo Attuale Statuto prevedeva l’esistenza dell’Alta Corte, un organismo giuridico la cui azione era mirata alla difesa ed al riequilibrio degli interessi siciliani nei confronti dello Stato unitario (l’Italia); pochissimi invece sanno che Carlo III aveva già a suo tempo istituito il Consiglio di Stato, composto da tre siciliani e tre napolitani – oltre che dal Tanucci, Segretario di Stato della Giustizia e Ministro degli Affari esteri e della Casa Reale dal 1754 al 1776 – con prerogative e finalità simili a quelle dell’Alta Corte dello Statuto Siciliano del 1946.


“Nel trapasso dei poteri da Carlo III al figlio Ferdinando fu attentamente considerata la difficoltà non lieve cui andava incontro l’avviato processo di unificazione della monarchia, e si volle che durante la minorità del monarca l’unione dei due Regni di Napoli e Sicilia fosse salvaguardata e garantita affidando la direzione degli affari pubblici ad una compartecipazione di responsabilità così della classe dominante napoletana come della
classe dominante siciliana. Il Consiglio di Stato e dei Reggenti fu perciò costituito in modo che la rappresentanza partenopea e sicula fosse assicurata in un preciso rapporto di equilibrio…

Parve tuttavia, che la composizione del Consiglio di Stato non fosse del tutto equilibrata, e quindi qualche mese dopo fu chiamato a farne parte il principe di Aci, ambasciatore a Madrid, cui pure fu affidato il comando delle armi di terra del Regno. Pertanto, la reggenza risultò composta da tre napoletani, da tre siciliani e dal Tanucci, toscano. In effetti, i siciliani ebbero una manifesta preminenza sui napoletani, sia per i compiti che vennero loro attribuiti (in pratica la difesa nazionale fu interamente affidata alla loro responsabilità) sia per l’accordo che ben presto si instaurò fra il Tanucci, il Regio e l’Aci…

La preminenza siciliana nella direzione dello Stato venne anche ulteriormente rafforzata con una serie di incarichi diplomatici fra i più delicati e importanti. In pratica, la rappresentanza partenopea a Madrid fu quasi sempre affidata ad un siciliano. Lo stesso accadde per quella viennese. Incarichi di rilievo furono pure affidati presso il re di Francia e la Repubblica di Venezia. Ai Siciliani, invece, fu generalmente preclusa la rappresentanza a Torino, a Londra, a Pietroburgo (quando furono allacciati i rapporti con la Russia), a Lisbona ecc.

Evidentemente, si volle in tal modo corresponsabilizzare la Sicilia nell’opera di rafforzamento e di consolidamento del nuovo Stato, e soprattutto si intese evitare che sorgessero motivi di malcontento o anche di disimpegno.

Secondo la visione di Carlo III, vi dovevano essere condizioni di parità fra i Regni di Napoli e di Sicilia, e la direzione della cosa pubblica, soprattutto in quel che atteneva ai più delicati e importanti affari di Stato, doveva essere congiuntamente esercitata da siciliani e napoletani, senza preferenza intenzionale per questa o quella “’nazione’”.

Francesco Renda, già Professore Emerito di Storia Moderna presso l’Università di Palermo, Storia della Sicilia, Società Editrice Storia di Napoli e della Sicilia, Vol. VI, pag. 216, 217, 218.

“Fu necessario, pertanto, nel 1773, cioè sei anni dopo l’espulsione (dei Gesuiti, n.d.a.), emanare una nuova e più radicale disciplina della censuazione dei beni ex gesuitici, e ne venne fuori un testo legislativo organico, cioè l’ordine regio 15 giugno, il quale può considerarsi il primo provvedimento di riforma e di colonizzazione del latifondo meridionale. In forza di questa nuova legge, la quotazione del patrimonio fondiario dei gesuiti procedette finalmente con speditezza, e nel corso del 1774, del 1775 e del 1776 quasi tutte le grandi aziende ex gesuitiche furono ripartite fra i contadini. Quello siciliano fu il più consistente programma di riforma agraria attuato in Italia nel corso del Settecento. Ben 28.625 ettari di terra furono concessi a 3.229 famiglie contadine col sistema della quotizzazione. Altri 6.000 ettari furono concessi col sistema a corpo, beneficiandone i contadini quando si trattava di piccoli fondi. Le terre vendute furono oltre 10.000 ettari. Furono alienati, quindi, circa 45.000 ettari del patrimonio gesuitico, e non si procedette ancora oltre, perché sopravvenne la caduta del Tanucci e l’avvento del marchese della Sambuca, il quale interruppe il corso della politica riformatrice del predecessore”.


Francesco Renda, già Professore Emerito di Storia Moderna presso l’Università di Palermo, Storia della Sicilia, Società Editrice Storia di Napoli e della Sicilia, Vol. VI, pag. 232, 233.

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«Pensai allora di rendere quella popolazione utile allo Stato e alle famiglie: utile allo Stato, introducendo una manifattura di sete grezze, operando in seguito, in modo da portarla alla migliore perfezione possibile, tale da poter col tempo servire da modello ad altre più grandi; utile alle famiglie, alleviandole dai pesi che ora soffrono e portandole ad una condizione di agiatezza da non poter piangere miseria come finora è accaduto, togliendosi ogni motivo di lusso con l’uguaglianza e semplicità nel vestire.»
(dallo Statuto di San Leucio 1789 Ferdinando IV)

“Per avere chiaro quale era lo spirito con il quale i sovrani borbonici provvedevano alle bisogna del popolo, è indicativo esaminare velocemente un modello che, per secoli ed ancora oggi, è stato e viene additato come mirabile esempio sperimentale a carattere socio – economico al quale in molti, anche in tempi successivi, si sono ispirati. Ci riferiamo al sito di San Leucio, località in provincia di Caserta, dove nacque una industria tessile tecnologicamente molto avanzata, volta alla realizzazione di sete pregiate che, per la loro qualità, vennero esportate in tutto il mondo e verso le più raffinate corti d’Europa. Ma, al di là della qualità dei prodotti che tale realtà produceva, è stupefacente rilevare quale era il grado e lo sviluppo sociale di quella comunità. Certo, si trattava di un isolato evento sperimentale ma, come detto, è utile per capire quale era lo spirito che animava gli interventi anche legislativi di quei sovrani.
In rete è possibile trovare un’infinità di articoli e siti che trattano l’argomento; noi, in questa sede, ci affideremo ad un articolo a firma di Alessia Mancini pubblicato sul sito vocedinapoli.it; articolo che riassume molto bene quale era le realtà sociale ed umana nella quale gli abitanti di quel centro vivevano. (sopra foto tratta da casertanews.it)

CASA
Ad ogni operaio era assegnata una casa. Badate bene. Una casa, non un tugurio. Queste case erano costruite secondo regole igienico-sanitarie precise. Possedevano acqua corrente, servizi igienici, criteri strutturali solidi (sono ancora oggi abitate ed abitabili). Vi basti pensare che erano case curate persino nello stile, che ricordava da vicino gli edifici delle elegantissime industrie della seta, fino a confondersi con essi.

SANITÀ
Una volta finita la Messa, i cittadini di San Leucio avevano il dovere di versare un obolo per un fondo cassa destinato all’assistenza medica e farmacologica. Erano tenuti a vaccinare i loro bambini contro il vaiolo, e in caso di malattie contagiose, si dovevano recare nella Casa degli Infermi, una struttura ospedaliera lontana dal centro abitato, a carico del Sovrano.

SCUOLA
“I fanciulli di ambi i sessi” erano tenuti a frequentare la prima scuola dell’obbligo, che cominciava a sei anni e prevedeva lo studio della matematica, della letteratura, del catechismo, della geografia, con la differenziazione tra economia domestica per le allieve, ed esercizio ginnico per gli allievi. Poi sceglievano in base a propensioni e attitudini.

LAVORO
Potevano accedere al mondo del lavoro coloro i quali avevano compiuto il quindicesimo anno di età. Li aspettavano a quel punto otto ore lavorative al giorno (mentre l’Inghilterra industrializzata costringeva operai e bambini a turni di lavoro disumani). Il salario era adatto al mantenimento dignitoso di se stessi e delle proprie famiglie.

MATRIMONIO
Nella scelta del compagno della propria vita, per la prima volta veniva ufficialmente vietato per legge che si potessero intromettere i genitori. Il matrimonio doveva essere una libera scelta dei giovani. Abolita anche l’usanza della dote, perché contraria allo spirito egualitario della comunità (avrebbe creato disparità economiche indipendenti dal merito).

FUNERALI
All’insegna della parsimonia, nessun eccesso avrebbe dovuto tradire differenze tra un defunto e l’altro. Le questioni ereditarie riguardavano maschi e femmine allo stesso modo. Si ereditava da genitori e figli, fino al primo grado. In caso di mancanza di eredi, le eredità non andavano a rimpinguare le casse del re, ma quelle del Monte degli Orfani.

SUSSIDI SOCIALI
Ogni operaio aveva il dovere di contribuire alla Cassa della Carità, un organo finanziario creato per l’assistenza agli invalidi, ai malati, e agli anziani. Ogni operaio contribuiva altresì alle spese della Comunità in ordine a medici, medicine, biancheria, oltre che alla Cassa del Monte degli Organi, di cui abbiamo accennato poc’anzi.

GOVERNO INTERNO
Ogni operaio aveva la possibilità, col tempo, di operare da magistrato o da giudice civile. Oltre all’ambito giudiziario, esistevano figure politiche, elette tra gli anziani, e come nel caso dei magistrati, annualmente, che si occupavano delle questioni più importanti della Comunità: la proprietà, la salute, l’igiene, le controversie, la qualità della vita e dei prodotti, ecc ecc.

EDILIZIA
Come lo statuto di Ferdinando IV si configurava all’avanguardia sotto il punto di vista dei principi sociali, così l’edilizia del “quartiere” industriale avrebbe dovuto rispondere a importanti istanze di ordine e rigore logico. Il progetto era ambizioso, e vagheggiava di un’intera città, chiamata Ferdinandopoli (non ridete, il progetto era serio), che si dipanava a raggiera a partire da una piazza centrale.

INDUSTRIA
La qualità dell’industria? Eccelsa. Copriva l’intero ciclo produttivo della seta, e probabilmente meglio di ogni altro dato di persuasione, conteranno i numeri: 114 bacinelle a vapore, 9 filatoi, diversi incannatoi di seta grezza, una tintoria con tre grandi caldaie, diversi orditoi, oltre 150 telai in opera, 130 telai per le sete, 80 per i cotoni. 600 operai, nel 1860.

IL GIUDIZIO STORICO
Anche i più acerrimi detrattori dei sovrani borbonici, riconoscono a Ferdinando IV di aver creato un vero e proprio capolavoro economico e sociale: ideologie socialiste ed egualitarie che nella storia non avevano ancora trovato collocazione, improvvisamente vengono realizzate con naturalezza, legando diritto e profitto come complementari da secoli.
Tutto fu spazzato via con l’arrivo dei Savoia, che vendettero l’intero complesso a privati, si liberarono dello statuto sanleuciano con assoluta indifferenza, come fecero con moltissimi fiori all’occhiello del Sud Italia. Ma la Storia ha saputo preservare alcuni di quei straordinari 150 documenti stampati, che parlano ancora di ciò che avvenne a San Leucio, quando il Comunismo e la Religione Cattolica marciarono a braccetto con la Monarchia Borbonica.
Alessia Mancini, Lo Statuto di San Leucio o Codice leuciano di Ferdinando IV di Borbone, dal sito vocedinapoli.it
https://www.vocedinapoli.it/2017/02/28/lo-statuto-san-leucio-codice-leuciano-ferdinando-iv-borbone/  

Chi volesse approfondire di molto questi argomenti, può farlo anche consultando il sito www.regnodelleduesicilie.eu alle sezioni “Notizie dal Regno – Storia” e “Schegge di Storia”, quest’ultima sulla sinistra della home page.

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