Schegge di storia 13/ La questione dello zolfo in Sicilia: l’arroganza e la prepotenza degli inglesi, imperialisti fin nell’animo

6 luglio 2019

Nella millenaria storia della Sicilia solo il Regno delle Due Sicilie di Ferdinando II ha difeso gli interessi dei siciliani. E l’ha fatto, pagando un prezzo durissimo, quando gli inglesi decisero di impadronirsi delle miniere di zolfo della Sicilia. Perché loro, gli inglesi, allora, erano i padroni del mondo e la nostra Isola doveva diventare una loro colonia. Il conto lo pagherà Francesco II di Borbone e lo pagheranno, soprattutto, i siciliani. Cavour, Garibaldi e gli altri miserabili del ‘risorgimento’ italiano furono solo pedine

di Giovanni Maduli
vice presidente del Parlamento delle Due Sicilie-Parlamento del Sud® Associazione culturale, e componente della Confederazione Siculo-Napolitana

Nelle prime dieci puntate di questa rubrica abbiamo appurato, seppure in maniera estremamente concisa e certamente insufficiente, alcune innegabili verità relative alle violenze, alle torture, agli stupri, alle illegalità attraverso le quali furono aggredite e annesse la Sicilia ed il Sud. Verità che, come abbiamo scritto, non possono andare soggette ad “interpretazioni” di sorta. Verità che testimoniano inequivocabilmente cosa veramente fu quello che ancora, con un falso e subdolo eufemismo, viene indicato come “risorgimento”.

Adesso cercheremo invece di capire “chi” volle, e perché, mettere fine ad un Regno che, contrariamente a quanto ci si è voluto far credere, con le sue equilibrate politiche sociali ed economiche caratterizzate da uno spiccato senso di solidarietà, rappresentava certamente un ostacolo all’affermarsi di quella borghesia di stampo capitalistico che, attraverso quelle atroci violenze, si impadronì del potere politico ed economico mortificando mortalmente le naturali e legittime aspirazioni del suo popolo. E non solamente nei nostri territori…

Ben più grave e più nota fu la questione degli zolfi siciliani, il cui commercio – come scrive Domenico Capecelatro Gaudioso nel suo saggio Ottocento Napoletano – fino al 1838, era stato libero, per cui molti inglesi erano divenuti proprietari di solfatare. Gli inglesi, allo scopo di instaurare un monopolio nel commercio stesso, si unirono in trust, creando così, una grande, unica e ricca società inglese, in maniera d’avere la possibilità di aumentare lo sfruttamento del minerale in proporzione superiore alle richieste, per cui il prezzo dello zolfo sul mercato calò vertiginosamente, con grave danno dei piccoli proprietari di solfatare, che vennero a trovarsi in una critica situazione.

Un Re, un vero Re (e Ferdinando II lo era) a questo punto aveva il dovere di salvaguardare gli interessi dei suoi sudditi che, in casa loro, rischiavano il fallimento a causa delle speculazioni da parte di commercianti di un’altra nazione che tutto inquadrava in un’ottica imperialistica e che mal tollerava opposizioni ai suoi interessi politici ed economici: l’Inghilterra…

…lo stesso Governo (Borbonico, che istituì di conseguenza il monopolio statale sull’estrazione del minerale, n.d.scr.), aveva risposto picche alla richiesta di abolizione del monopolio statale e, logicamente, non aveva alcuna intenzione di aderire alla richiesta dell’immancabile (e ti pareva) risarcimento danni. La Gran Bretagna non volendo riconoscere quanto fossero assurde, arroganti ed in mala fede le sue pretese, conscia della circostanza d’essere nella disputa la più forte, inviò nelle acque territoriali di Napoli e Sicilia una squadra navale da guerra, con l’incarico di procedere alla cattura di tutte le navi napoletane, dirottandole nel porto di Malta, minacciando che il rilascio del naviglio catturato sarebbe avvenuto soltanto quando Napoli si fosse decisa a risolvere il contratto stipulato (nel frattempo, n.d.scr.) con la compagnia francese e all’avvenuto pagamento dei danni di cui erasi fatto cenno nella nota diplomatica inglese.

Giunta nella rada di S. Lucia la flotta inglese – è sempre il Capecelatro a riportare – Ferdinando II, anziché dimostrarsi intimorito, decretò l’armamento delle coste, l’istituzione di un campo militare presso Reggio Calabria, un vasto richiamo alle armi e l’immediato invio di dodicimila uomini in Sicilia, preparandosi a partire egli stesso, poiché, e non a torto, sospettò che gli inglesi, che segretamente avevano sempre nutrito il proposito, dopo aver creato appositamente il casus belli, d’impadronirsi della Sicilia, avrebbero approfittato della circostanza per concretizzare i loro propositi…

I Borbone caddero, dunque, soprattutto per volere della Gran Bretagna, ma caddero in piedi, nulla potendo contro un vero e proprio intrigo internazionale. L’ultimo Re di Napoli potè portare nel suo silenzioso esilio, a cui la storia lo costringeva, solamente la sua decorosa tristezza, la sua, forse eccessiva, nobiltà d’animo e la dignità di tutta una dinastia, dignità che gli usurpatori di Casa Savoia non conosceranno mai.

Erminio De Biase L’Inghilterra contro il Regno delle Due Sicilie, Controcorrente Edizioni, pag. 21, 23, 24, 119.


Anche Salvemini, come Fortunato, per prima cosa denunciò quella “santa alleanza” fra i “galantuomini” meridionali e la borghesia capitalistica del Nord che stritolava il Mezzogiorno e le plebi meridionali:

“Contro la duplice oppressione cui li hanno sottoposti in questi cinquant’anni di unità politica i “galantuomini” locali e l’industrialismo settentrionale scrisse, “i cafoni meridionali hanno reagito sempre, come meglio o come peggio potevano. Subito dopo il 1860 si dettero al brigantaggio: sintomo impressionante del malessere profondo che affaticava il Mezzogiorno, e nello stesso tempo indizio caratteristico del vantaggio che si potrebbe ricavare – quando ne fossero bene utilizzate le forze – da questa popolazione campagnola del Sud, che senza organizzazione, senza capi, abbandonata a se stessa, mezzo secolo fa tenne in scacco per alcuni anni tanta parte dell’esercito italiano”.

Antonio Grano A sinistra della Questione Meridionale, NordeSudEdizioni, pag. 119.

Del resto, aggiunge Riccio, “di una confederazione italiana si parlava già molto prima del 1861, nel 1848-49, al tempo di Ferdinando II Re delle Due Sicilie, il progetto di un federalismo neoguelfo di Gioberti, una Confederazione italiana con a capo il Papa. Ferdinando II lo guardava con simpatia e non a caso fu il Piemonte a farlo fallire. Poi se ne riparlò nel 1859 e infine dopo la morte di Ferdinando II, quando il giovane Francesco II, essendo molto cattolico, rifiutò sdegnosamente la proposta di spartirsi il territorio del Papa, al quale non avrebbe mai dato un dispiacere”. E allora, “di tante strade, fu scelta sicuramente la peggiore, quella della “conquista” piemontese con l’avallo e l’appoggio decisivo della Francia e soprattutto dell’Inghilterra: un progetto di cui i Savoia e Garibaldi furono solo dei servitori, perché la vera regia fu della massoneria internazionale”.

Lino Patruno Fuoco del Sud, Rubettino edizioni, pag. 25
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N.B.:
Chi volesse approfondire molto queste tematiche, può farlo anche attraverso il sito www.regnodelleduesicilie.eu alle voci “Notizie dal Regno – Storia” e “Schegge di Storia”; quest’ ultima alla sinistra della home page.

 

Schegge di Storia 12/ La “Politica dell’amalgama”, vero e proprio Cavallo di Troia nel Regno delle Due Sicilie che ne accelererà la fine 

Schegge di Storia 11/ Chi ha voluto la fine del Regno Due Sicilie e la breccia di Porta Pia. L’ombra del Principe Otto von Bismark 

L’imbarco dei ani di zolfo nel Porto di Porto Empedocle (foto tratta da reportagesicilia.blogspot.com) 

 

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