Schegge di Storia 12/ La “Politica dell’amalgama”, vero e proprio Cavallo di Troia nel Regno delle Due Sicilie che ne accelererà la fine

29 giugno 2019

Questa rubrica – curata da Giovanni Maduli – ci racconta, attraverso scritti e testimonianze, la storia del popolo del Sud che si ribellava all’occupazione da parte dei piemontesi dopo la ‘presunta’ unificazione italiana. Oggi proveremo a illustrate l’errore commesso da Metternich, che individuò acutamente nelle sette e nella borghesia le forze motrici della rivoluzione, ma represse le prime lasciando intatta la seconda, che ne era la linfa vitale…  

di Giovanni Maduli
componente della Confederazione Siculo-Napolitana e vice presidente del Parlamento delle Due Sicilie-Parlamento del Sud, Associazione culturale

Nelle prime dieci puntate di questa rubrica abbiamo appurato, seppure in maniera estremamente concisa e certamente insufficiente, alcune innegabili verità relative alle violenze, alle torture, agli stupri, alle illegalità attraverso le quali furono aggredite e annesse la Sicilia ed il Sud. Verità che, come abbiamo scritto, non possono andare soggette ad “interpretazioni” di sorta. Verità che testimoniano inequivocabilmente cosa veramente fu quello che ancora, con un falso e subdolo eufemismo, viene indicato come “risorgimento”.

Nelle prossime cercheremo invece di capire “chi” volle, e perché, mettere fine ad un Regno che, contrariamente a quanto ci si è voluto far credere, con le sue equilibrate politiche sociali ed economiche caratterizzate da uno spiccato senso di solidarietà, rappresentava certamente un ostacolo all’affermarsi di quella borghesia di stampo capitalistico che, attraverso quelle atroci violenze, si impadronì del potere politico ed economico mortificando mortalmente le naturali e legittime aspirazioni del suo popolo.
Verificheremo inoltre il ruolo che ebbero alcune potenze straniere, nonché quello della massoneria nazionale ed internazionale.
E non solamente nei nostri territori…

“Quattro erano gli ostacoli principali che intralciavano le aspirazioni capitalistiche dell’emergente borghesia italiana: il frazionamento politico della penisola; l’assolutismo monarchico; la presenza dell’Austria; il cattolicesimo tradizionale.

Dopo il Congresso di Vienna l’Italia, che durante il periodo napoleonico era stata suddivisa in tre grandi unità politiche, tornò ad essere articolata in più Stati. Questo frazionamento politico ed economico rischiava di soffocare l’emergente capitalismo italiano, che si vide restringere gli spazi di mercato e comprimerli in aree locali e controllate.

La struttura assolutistica degli Stati italiani impediva inoltre la piena egemonia della borghesia e dei suoi alleati…

Lo strumento più idoneo per estrinsecare questa volontà politica di una classe che tendeva a ergersi a rappresentante di tutto un popolo, escluso completamente e in ogni forma dalla gestione del potere, era la Costituzione, il documento, cioè, che, redatto per iscritto, sembrava per alcuni rinnovare, per altri invece stabilire, i contenuti e i limiti di un patto sociale tra governanti e governati…

Perciò era illusorio “ritenere che quella borghesia chiamata dopo il 1815 alla collaborazione con le dinastie in una funzione subalterna della volontà sovrana potesse accettare di essere esclusa dalle scelte fondamentali compiute dal potere, dopo che nel periodo francese era stata partecipe diretta della sua gestione”.

E ciò spiega, ad esempio, le scelte costituzionali della borghesia rivoluzionaria durante i moti del 1820-21. Tra la Costituzione di Cadice del 1812, che garantiva il maggior potere della borghesia, la Charte octroyèe francese del 1814, che sanzionava il compromesso tra la monarchia, l’aristocrazia e la borghesia agraria, e la Costituzione siciliana del 1812, che favoriva le oligarchie feudali isolane, era fatale che “in queste circostanze il modello rappresentato dalla Costituzione di Cadice del 1812, mitizzata dalla pubblicistica come nessun altro testo per il contenuto nazionale e popolare a un tempo della rivoluzione spagnola che l’aveva ispirata, finisse con l’imporsi ai gruppi rivoluzionari dei Regni di Sardegna e delle Due Sicilie.

Essi ne esaltarono le norme liberali e sembrarono ravvisarvi lo strumento più idoneo per garantire alla borghesia il recupero di quella egemonia sociale che la Restaurazione, almeno in parte, le aveva tolto…

La presenza dell’Austria garantiva lo status quo, sanzionava il frazionamento politico ed economico della penisola e quindi costituiva il principale ostacolo all’unità (o federazione) politico-economica dell’Italia e all’ampliamento del mercato…

La politica austriaca – incarnata dal Metternich – era ispirata ai concetti di autorità, stabilità ed equilibrio. Ma occorre aggiungere che tali concetti nascondevano un pericoloso germe sovvertitore. Se Metternich non fu il “tremendo tiranno” di cui ha favoleggiato la pubblicistica liberale, non fu neppure “l’ultimo grande europeo” (E. Malynski). Egli colpì la rivoluzione nei suoi effetti più appariscenti, ma non nelle sue cause più profonde. Individuò acutamente nelle sette e nella borghesia le forze motrici della rivoluzione, ma represse le prime lasciando intatta la seconda, che ne era la linfa vitale…

Eppure aveva compreso lucidamente che ”les classes agitèes sont celles des hommes d’argent, veritablès cosmopolites, assurant leurs profits aux dèpenses de totu ordre de choses quelconque”.

Quando però si trattò di passare alle misure pratiche, tutte queste enunciazioni anti borghesi vennero meno. La forza del capitale non fu per nulla intaccata…

E’ emblematico il caso di Napoli, dove Metternich impose l’allontanamento del principe di Canosa e incoraggiò la “Politica dell’amalgama” (1), vero cavallo di Troia della rivoluzione.

Non di meno, per le forze rivoluzionarie Metternich e l’Austria restavano i nemici mortali da combattere e annientare…

Il Cattolicesimo tradizionale era l’alleato naturale dei sovrani, esercitava una notevole influenza sulle masse popolari, si dichiarava apertamente ostile al liberalismo borghese e si ergeva a difesa dell’antica società. Esso pertanto era il nemico naturale delle forze rivoluzionarie ebraico-massoniche e borghesi. L’odio contro Roma papale costituì il filo conduttore di tutte le trame risorgimentali. La Chiesa inoltre possedeva vaste proprietà, beni di manomorta (2) sottratti al mercato e all’avidità della borghesia e dei suoi alleati. Tutto ciò spiega a sufficienza le vere motivazioni della lotta borghese contro la “Teocrazia papale”…

Su queste quattro direttrici si articolò l’assalto delle forze rivoluzionarie. Le parole d’ordine, in relazione alle contingenze storiche e alle esigenze delle varie frazioni della borghesia, furono dunque: costituzionalismo, liberismo economico, lotta all’Austria, repubblica, liberalismo e democrazia, unità, federalismo, cattolicesimo liberale: obiettivi che rientravano tutti nel quadro delle aspirazioni dei ceti borghesi.

Le rivoluzioni che hanno costellato la storia d’Italia dalla Restaurazione all’Unità furono altrettante tappe all’assalto ebraico-massonico e borghese alla società tradizionale italiana. Di tali rivoluzioni la borghesia fu l’asse portante…

Un contributo non trascurabile all’assalto borghese fu dato dalla massoneria grazie all’attività delle logge, ma soprattutto dei singoli massoni che operarono tramite le società segrete affini…

Con l’Unità d’Italia anche la massoneria conquistò la sua “libertà”, che seppe mettere a frutto per piazzare i suoi adepti nei posti chiave del nuovo Stato borghese. Quest’opera di infiltrazione fu lenta e graduale, poiché la stragrande maggioranza degli italiani – del tutto estranea al “Risorgimento” – era ancora devota alla Chiesa.

Gian Pio Mattogno La Rivoluzione Borghese in Italia – Dalla Restaurazione ai moti del 1831, Edizioni All’insegna del Veltro, pag. 8, 9, 10, 13, 14.

(1) La politica detta “dell’amalgama”, imposta ai Borbone dal Metternich nel corso del Congresso di Vienna, prevedeva l’inclusione di funzionari e graduati militari che avevano precedentemente aderito alla Repubblica Napoletana di Murat, fra le gerarchie istituzionali dei restaurati governi. Tale espediente, nelle intenzioni del suo promotore (il Metternich), aveva lo scopo di “limare” le divergenze fra i sostenitori della precedente repubblica napoletana e i fedeli servitori della corona. Di fatto però, come molto giustamente sostiene il Mattogno, si trattò di un vero e proprio “Cavallo di Troia”, che già dall’indomani del Congresso di Vienna cominciò a minare le basi di quella monarchia che aveva riammesso fra i suoi ranghi, perdonandoli, i vecchi traditori.

(2) L’uso del termine “manomorta”’, risale al periodo feudale. Era usanza in quel tempo inviare al regnante la mano recisa del vassallo per comunicarne e certificarne l’avvenuto decesso. Successivamente con tale termine si indicarono principalmente i diritti di esenzione da tassazioni dei beni di proprietà di enti perpetui, nonché la loro inalienabilità.

Schegge di Storia 11/ Chi ha voluto la fine del Regno Due Sicilie e la breccia di Porta Pia. L’ombra del Principe Otto von Bismark 

Foto tratta da impararelastoria.blogspot.com

 

 

 

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