Schegge di Storia 9/ Non contenti di aver derubato Banco di Napoli e Banco di Sicilia, i Savoia depredano il Sud con nuove tasse

8 giugno 2019

Questa rubrica – curata da Giovanni Maduli – ci racconta, attraverso scritti e testimonianze, la storia del popolo del Sud che si ribellava all’occupazione da parte dei piemontesi dopo la ‘presunta’ unificazione italiana. Oggi continuiamo a parlare del “Bombardamento di Messina” del 1848, vigliaccamente attribuito a Ferdinando II. Non contenti di aver derubato i soldi del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia, i Savoia tartassano il Sud con nuove tasse. E, ancora, illustreremo i fermenti culturali del Regno delle Due Sicilie prima della proditoria conquista piemontese  

di Giovanni Maduli
componente della Confederazione Siculo-Napolitana e vice presidente del Parlamento delle Due Sicilie-Parlamento del Sud®, Associazione culturale

Continuando l’excursus di testimonianze relative al periodo post unitario che difficilmente possono essere soggette a “interpretazioni” o “valutazioni” diverse da ciò che effettivamente sono e denunciano, ecco altre testimonianze circa il cosiddetto “Bombardamento di Messina” del 1848, vigliaccamente attribuito a Ferdinando II; testimonianze, questa volta, portate da uno dei comandanti delle forze sicilianiste che parteciparono all’attacco alla Real Cittadella e che confermano la confessione di Giuseppe La Farina di cui abbiamo parlato nelle “Schegge di Storia” 8/19. Vedremo poi il fardello di nuove tasse imposte al Sud e alla Sicilia dal nuovo governo sabaudo, nonché il fermento intellettuale e culturale che caratterizzava la Sicilia prima dell’annessione piemontese.

La strategia esercitata dagli ufficiali dello Stato Maggiore Siciliano, invereconda se giudicata col senno di poi, ha creato le migliori condizioni di disagio dell’abitato messinese, inspiegabilmente divenuto vittima designata di quell’insana macchinazione. Dalla Traiettoria delle artiglierie che sparavano a bombardamento, cercando con tiro alto e arcuato di raggiungere senza riuscirci i bastioni della Cittadella, trovarono molto spesso per errore di calcolo, le sottostanti case di Messina. Saranno gli stessi responsabili del comando nei loro verbali, a segnalare come a capo dei vari pezzi di artiglieria, erano posti uomini che non avevano seguito un addestramento specifico per armare e dirigere il tiro.

Spesso capitava che i comandanti imponessero i gradi ai pezzi, ordinando di non modificarli per nessun motivo. Da ciò è palese osservare, che sbagliando la traiettoria, con obici adoperati sempre per bombardamento e giammai per tiro diretto o per tiro d’infilata, produssero i maggiori danni sulle sottostanti abitazioni. Il colonnello Calona, ufficiale di stato maggiore, esperto artigliere fra i siciliani, in una sorta di memoriale ne avrà per tutti contro i suoi commilitoni, segnalando che un incomprensibile e scriteriato uso delle artiglierie, non solo non produceva alcun danno al nemico, svilendo le munizioni e le polveri, ma arrecava più guasti all’abitato, proprio per quell’inefficienza dei militi posti su ogni arma.

Egli in un suo lavoro, in risposta ai responsabili delle operazioni d’assedio presso la Città dello Stretto, commentandone la strategia d’attacco contro i castelli costieri messinesi, segnalava tutta una serie di mancanze e di limitazioni che gettano una luce chiarificatrice sulla condizione sofferta dalla Porta della Sicilia dal gennaio al settembre del 1848.

In questo modo il Calona costruirà una sua teoria d’attacco, a suo tempo criticata da Filippo Minutilla e dagli stessi protagonisti dell’assedio, che si dimostrarono inetti a quelle situazioni, contribuendo alla caduta di Messina. Sempre Calona dimostra attraverso le prese d’atto dei comandanti delle artiglierie siciliane, che attaccare il forte San Salvatore impossessandosene, avrebbe nuociuto gravemente agli assediati costretti dentro la Real Cittadella, e incalzandoli aggiunse:

“Erano sufficienti le vostre batterie? Voi, (signor Minutella) e compagni, eravate dotti nell’arte della guerra? Con questo metodo però io credo che la Cittadella non sarà presa giammai, né per assedio, né per blocco; che si sprecheranno inutilmente da noi munizioni, danari ed uomini; e che alle lunghe la città di Messina, o resterà sepolta sotto le sue rovine, o almen sarà ridotta all’estrema miseria” (1).
Alessandro Fumia Messina, la capitale dimenticata, Magenes Edizioni, pag. 281, 282, 284.
(1) Ignazio Calona A Filippo Minutilla risposta di Ignazio Calona; lettera di un tamburino sul piano d’attacco della Cittadella di Messina, Malta 1852, p. 5, paragr. 6.

 

Grave agitazione produce nel foro, e nell’ordine degli avvocati la nuova tassa sul registro e bollo, che era pur troppo mite e tenue sotto il cessato governo.
Accadono disordini, ed il pubblico protesta con dimostrazioni minacciose ne’ tribunali; a’ 2 giugno, allo aprirsi della udienza in Napoli si levano furibondi clamori, urli e fischi, che fanno tremare i magistrati: sono chiamate le cause, ma gli avvocati, benché presenti, si astengono dal rispondere, e le fanno decadere: accorre la guardia nazionale; ma il tumulto non cessa, e si ripete ne’ giorni seguenti, non solo in Napoli, ma anche nelle altre Provincie, e, se ne inviano telegrammi pressanti a Torino. Contemporaneamente più minaccioso è il contegno degli avvocati di Sicilia, dove indignatissimo è il popolo per le vie di Palermo, e minaccia nuovi torbidi per gli 11 giugno: il governo intimidito si mostra condiscendente verso i Siciliani prorogando la riscossione delle nuove imposte; non così verso i Napoletani, contro i quali aumenta soldati e cannoni ne’ castelli. La opposizione alle oppressive tasse e ‘l malumore popolare si sfoga con petizioni al parlamento di Torino, e quivi si accendono le discussioni.
……………………………………..gov. Borb. gov. Piem.
1. Tasse fiscali su gli atti civili
e contratti lire…………………2.703.750 18.000.000
2. idem su gli atti giudiziari 799.900 2.800.000
3. idem su le successione nulla 6.000.000
4. idem su registro, e bollo 2.863.000 10.800.000
5. idem su gli atti amministrativi nulla 884.600
Totale 6.365.760 38.434.000
Francesco Durelli Colpo d’occhio su Le condizioni del Reame delle Due Sicilie nel corso dell’anno 1862 – Ripostes Edizioni, pag. 25, 26.

 

Per quanto riguarda il movimento intellettuale e culturale, vario e vivace, che aveva il suo riflesso mondano nei salotti palermitani aristocratici e borghesi, dove si davano convegno i più bei nomi della cultura siciliana, ricordiamo le principali iniziative che sorsero nell’isola.
Per prima furono create nuove biblioteche pubbliche, e nel 1831 in Lentini si riordinò l’antica Accademia poetica del Lisso; nel 1832 Ferdinando Malvica, il Barone Vincenzo Mortillaro, il Principe di Cannatelli, Antonio Di Giovanni Mira, Agostino Gallo pubblicarono Le Effemeridi di natura enciclopedica; Vincenzo Mortillaro dirigeva il Giornale delle Scienze Lettere ed Arti, ristrutturato dal Duca di Cumia, Marcello Fardella.
Fu introdotta l’arte litografica e dell’incisione, fu promossa l’istruzione popolare; comparvero nuovi giornali a Palermo, Catania, Messina, mentre si agitarono questioni intorno alla letteratura patria, classicismo, romanticismo, scienze economiche.
Nel medesimo tempo non pochi siciliani raggiungevano fama ed onori, e tra questi ricordiamo Bellini nella musica, Pugliesi, Landolina e Mangiameli nelle scienze; Tranchina nella medicina; Malvastra nel diritto romano; Bivona nella botanica; Ferdinando Lucchesi Palli nell’economia; Tarallo, Bertini, Morso, nelle opere storiche, scienze e musica e così via.
Giuseppe Testa  Il “Vicerè” dei Borboni, pag. 57.

Foto tratta da palermotoday

 

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