La storia del Sud vista con gli occhi di un bambino nel 1860/ Pietrarsa: l’industria del Regno delle Due Sicilie fa tremare inglesi e austriaci

30 aprile 2019

In questo capilo del racconto l’autore ci conduce nelle officine meccaniche di Pietrarsa che, durante il Regno delle Due Sicilie, erano tra le più importanti e più rinomate d’Europa. Le felici intuizioni di Ferdinando II di Borbone. La grande produzione di armi e locomotiva. Quando gli stabilimenti industriali di Pietrarsa erano noti fino in Russia, in Lombardia e in Veneto allevavano le vacche… 

di Domenico Iannantuoni

Oggi eravamo tutti galvanizzati e rumorosissimi mentre il nostro
maestro faceva del suo meglio per chetarci in attesa dell’arrivo
degli omnibus che ci avrebbero portato alle Officine di Pietrarsa
per una visita di studio. La primavera ci era entrata nel sangue e
la felicità sprizzava da tutti i nostri pori. Anche il direttore si
aggiunse al maestro nel vano tentativo di zittirci un minimo
senza alcun successo, finché spalancò le braccia in segno di
rassegnazione e ci salutò avviandosi nel suo ufficio.

Finalmente di lì a poco giunsero due omnibus con quattro cavalli
per ognuno, che ci avrebbero condotti a Pietrarsa. Eravamo un
po’ stretti nei posti perché la classe nostra era tutta al completo
mentre il maestro si sedette di fianco al primo postiglione.
Non vi dico gli schiamazzi che uscivano dalle finestre degli
omnibus e le risate per ogni nonnulla. Il maestro stava tranquillo
e rassegnato, anzi scherzava di tanto in tanto con il postiglione
che accennava e sorrideva sotto i baffi finché disse:

– Maestro, la primavera è come una malattia, non si può
far nulla. Qui a Napoli tutta la gioventù viene presa da
una voglia di vita infinita!- Ed il nostro maestro annuì.
Arrivati che fummo davanti all’ingresso dello stabilimento di
Pietrarsa e scesi dagli omnibus, finalmente il silenzio calò di
nuovo tra le nostre fila ed il maestro potè riunirci in gruppo per
entrare diligentemente nella fabbrica.

Uscì dall’ingresso dello stabilimento un signore di media statura
e vestito da militare che incontrò subito il nostro maestro per
decidere il criterio della visita. Poi il nostro maestro ci disse:

– Ragazzi, vi presento il Colonnello Luigi Corsi, direttore
dello stabilimento, che ci farà da guida durante tutta la
mattinata. Fate attenzione a tutto ciò che vi dirà e
possibilmente prendete appunti durante i brevi momenti
di pausa. Verranno con noi alcune guardie dello
stabilimento per permettervi di mantenere l’ordine di
visita e soprattutto per non disturbare le lavorazioni
meccaniche in corso.

Il Col. Luigi Corsi si fece avanti e disse:
– Carissimi ragazzi è per me un vero piacere avervi ospiti
in questo grande stabilimento industriale, vanto delle
Due Sicilie nel mondo e voluto per merito del nostro Re
Ferdinando II, che Dio lo abbia in pace.
Si vedeva da subito che il colonnello aveva la grande fabbrica
dentro di sé poiché iniziò a parlarne come se l’avesse costruita
interamente lui…

Pietrarsa, antico opificio borbonico 1840-1860
“Su la marina di Portici, scendendo a man destra del
quadrivio denominato la Croce del Lagno, in que’
campi che Flegrei furon detti in greco, Cremani in
latino (da cremare che vuoi dire bruciare) ed Arsi in
italiano o Arzi, secondo il nostro dialetto, siede
appunto l’opificio di Pietra arsa”.

Queste parole, tratte dalla descrizione di Pietrarsa nella
guida “Napoli e sue vicinanze” stampata da Gaetano
Nobile nel 1845, meglio di ogni altro forniscono le origini
del toponimo del luogo oggetto di queste note: Pietrarsa.
In realtà non si trattava di un nuovo stabilimento ma un
trasferimento di quell’opificio meccanico e pirotecnico
realizzato nel 1830 in Torre Annunziata e traslocato nel
1837 in appositi locali nella Reggia di Napoli.

In un primo tempo per la nuova installazione era stata
proposta la Casina Cinese, costruzione solida ed ampia
attaccata al fabbricato dei Granili; poi si preferì
ampliare un’antica batteria costiera non più necessaria
posta al confine tra San Giovanni a Teduccio e Portici.
A tale scopo Ferdinando II di Borbone emanò in data 6
novembre 1840 un decreto per acquistare dei suoli
confinanti con la citata batteria per realizzare il nuovo
opificio meccanico e pirotecnico. In realtà si trattava di
due pezzi di palude uno appartenente al barone Mirra e
l’altro alla famiglia Schiani.

“Uno stabilimento di dimensioni ed attrezzatura
sufficienti a tutti i bisogni della Guerra, della Marina ed
eventualmente delle costruenti Strade Ferrate” si
rendeva necessario anche “perché del braccio straniero
a fabbricare le macchine mosse dal vapore il Regno
delle Due Sicilie più non abbisognasse”. Espletate
quindi tutte le modalità, iniziò la costruzione del primo
edificio per opera dei militari del battaglione
zappatori del Genio militare comandati dal Magg.
Cesare Mori.

I lavori di trasporto e pesanti, invece, erano sostenuti
“da gente proveniente dagli Stabilimenti di pena del
Granatello e di Nisida”.

L’area occupata dalle officine era limitata a N.E. dal tratto
di ferrovia Napoli-Portici; a N.O. dal mare e dalla
ferrovia, a S. e ad E. dal mare; posizione ideale per
un trasporto dei prodotti e dei materiali che poteva essere
effettuato facilmente sia da terra che da mare.
Con riferimento alla piantina redatta dal Col. Cesare Mori
all’epoca del completamento dell’Opificio, dopo aver
attraversato la strada di ferro, due modesti cancelli in ferro
immettevano su una strada sulla cui sinistra vi erano gli
edifici della caserma che ospitava la numerosa compagnia
di militari artefici e la chiesa, sulla destra altri locali della
caserma e l’ingresso all’Opificio.

Nel 1842, quindi a soli due anni di distanza dalla
emanazione del Decreto, già erano stati completati il
primo edificio ed i locali accessori dove vi lavoravano
circa 200 operai tra tornitori, aggiustatori, forgiatori e
falegnami sotto la direzione del Capitano d’artiglieria
Luigi Corsi, che sarei io, e di altri ufficiali dell’esercito che
mi coadiuvavano.
Non a caso fu scelto quale direttore il Capitano Corsi, che
sono sempre io; dicono che fossi già noto a Ferdinando II
per la mia invenzione delle famose “palle incendiarie”,
una sorta di granate inestinguibili nell’acqua e che per
questo motivo molto efficienti nel colare a picco il naviglio
avversario.

Ma non è tutto: presso l’Opificio era stata istituita anche
una scuola per la formazione degli ufficiali Macchinisti
per la Marina da Guerra.

Come noto, l’11 dicembre del 1843 fu inaugurata la
Regia Strada Ferrata da Napoli a Caserta per Cancello,
tratto di ferrovia interamente realizzato dai militari del
Genio minatori e zappatori.

Ed allora, perché non costruire anche le locomotive, visto
che si disponeva del più grande Opificio Meccanico, primo
nucleo di produzione industriale di tutta la penisola
italiana?

Scrisse infatti il Chiuriello, nel suo volume sulla storia di
Pietrarsa, che “Nel 1847 lo stato dei lavori era molto
avanzato, erano sorte: l’officina adibita alla lavorazione delle locomotive;
la Gran sala delle costruzioni munita di macchine utensili,
impianto di trasmissioni, banchi per aggiustatori e grandi
gru a braccio girevole, le fonderie con forni fusori per la
ghisa e pei getti di bronzo, il riparto per la lavorazione
delle caldaie, con macchine utensili appropriate ed
impianti idraulici; il riparto fucine con impianto di
ventilatori, l’installazione dei grandi magli a vapore ed,
infine, la Grande Sala dei modelli e gli ampi magazzini
dei materiali di scorta. S’era ampliata la palazzina della direzione,
arricchita d’una biblioteca e di un gabinetto di chimica”.

Il completamento dei lavori si ebbe nel 1853 anno in cui
nell’Opificio, che occupava oltre 30.000 mq., erano in
funzione tutti i reparti di lavorazione “per rispondere
alla produzione a cui era stato destinato”.

Ferdinando II di Borbone, appassionato di meccanica,
visitava spesso l’Opificio di Pietrarsa fermandosi a
parlare con gli operai dei quali conosceva persino i nomi.
Egli ascoltava i pareri, s’informava sulle loro necessità e
poneva molto interesse alla “numerosa famiglia di
lavoratori”. Durante le sue visite, il sovrano era quasi
sempre accompagnato dai figli e dalla regina Maria
Teresa per la quale era stata riservata una stanza nella
stessa Palazzina della direzione.

Purtroppo i primi tempi di vita dell’Opificio non furono
privi di difficoltà perché l’industria straniera,
specialmente quella inglese che aveva trovato nel Regno
delle Due Sicilie un grande sbocco, si opponeva
procurando difficoltà di ordine tecnico e politico. A ciò si
aggiungevano l’Austria, che vigilava per impedire lo
sviluppo della marina napolitana, e gli oppositori locali i
quali, dichiarandosi ligi al passato, in realtà celavano
“interessi inconfessabili”.

Ma Ferdinando II non era stupido e gretto, con molta
abilità e coraggio fronteggiò chi intendeva ostacolare lo
sviluppo del progresso sociale nel suo Regno.
Il 10 dicembre 1845 le Officine di Pietrarsa furono visitate
da un ospite illustre: lo Zar Nicola I di Russia.
L’Imperatore russo era venuto a Napoli su invito dello
stesso Ferdinando II.
Durante la visita, l’interesse dello Zar per il complesso fu
tale che chiese di poter avere una pianta dello stabilimento
per riprodurlo esattamente nell’area industriale di
Kronstadt, in Russia.

L’imperatore russo Nicola I era venuto nel Regno delle
Due Sicilie per far trascorrere un periodo di convalescenza
a sua moglie Alessandrina Feodorwna affinché “il suo
stato di salute traesse dal clima un benefico giovamento”.
Il felice viaggio, iniziato in Sicilia, si concluse a Napoli,
dove la famiglia imperiale fu ospite presso il Palazzo
Reale.

A ricordo di questa sua visita, lo Zar Nicola I donò a
Ferdinando II quella coppia di cavalli di bronzo posti a
lato del cancello secondario del Palazzo Reale in Napoli.
Essi sono opera dello scultore russo Pjotr Klodt Von
Jurgensburg e rappresentano una copia di altri che si
trovano a San Pietroburgo, ai lati del ponte Anitchkov. Essi
furono portati a Napoli via mare con la nave da guerra
russa Abo.

Le lavorazioni di Pietrarsa
In principio la produzione più importante riguardava le
“opere pirotecniche per la guerra”, ovvero le citate palle
incendiarie ed i razzi alla Congréve, un tipo di razzo
pesante quattordici chilogrammi e con una gittata di oltre
tre chilometri. L’ordigno, costituito da un involucro in
lamiera di ferro, conteneva una carica di tre chilogrammi
di materiale incendiario ed era dotato di un’asta
direzionale lunga quattro metri avente il compito di
stabilizzare la traiettoria. Si fabbricavano anche macchine
diverse di guerra quali capsule fulminanti, cavalletti per i
citati razzi (rampe di lancio), armi bianche, elmi per
dragoni, affusti di ferro per cannoni, ferro configurato per
lastre di canne di fucile, granate a palle piene, ecc.

A Pietrarsa si realizzavano anche attrezzi per porti e
cantieri navali e per gli Arsenali militari oltre a
macchinari occorrenti per l’organizzazione dello stesso
stabilimento. La produzione era tanto vasta da riguardare
anche scale a chiocciola in ferro, bracci per lumi a gas,
colonnati di ghisa o di altri metalli, grandi e piccole statue
in ghisa di personaggi illustri e persino campane e gelosie
in bronzo per le chiese del Regno. Furono costruiti a
Pietrarsa i candelabri della scala grande del Palazzo
Reale di Napoli ed il ponte sospeso in ferro gittato sul
fiume Calore.

Poi, quando nel 1843 fu aperta la Strada Ferrata Napoli-
Caserta, con rescritto reale del 22 maggio fu ordinato che:
“E’ volere di Sua Maestà, che lo stabilimento di Pietrarsa
si occupi della costruzione delle locomotive, nonché della
riparazione e dei bisogni, per le locomotive stesse, degli
accessori dei carri e dei Wagons che percorrer devono la
nuova strada ferrata Napoli – Capua”.

Per poter ricoverare a Pietrarsa le locomotive
appartenenti alla Regia Strada Ferrata, tra la stazione di
Napoli di detta ferrovia e quella di Bayard per Nocera, era
stato costruito un raccordo. In tal modo le macchine della
regia ferrovia potevano raggiungere l’Opificio
percorrendo un tratto della Napoli-Portici.
Ricordiamo che per la citata ferrovia il Governo aveva
acquistato, dal marzo 1843 al dicembre 1846, n. 14
locomotive costruite in Inghilterra alle quali furono dati i
nomi di: Zeffiro, Aligero, Lampo, Veloce, Rondine,
Silfide, Impavido, Impetuoso, Novelliero, Corridore,
Vulcano, Iride, Eolo e Messaggero.

Nel maggio 1848 fu costruita la Smith nelle officine della
Regia Ferrovia e, nel dicembre dello stesso anno, iniziò la
produzione presso l’Opificio di Pietrarsa con la
costruzione di tre locomotive (Pietrarsa, Corsi e
Robertson) che furono consegnate, rispettivamente, nel
dicembre 1848, giugno 1849 e marzo 1850. Seguì,
nell’aprile dello stesso anno, la locomotiva Duca di
Calabria. Essa fu realizzata in tutte le sue parti a Pietrarsa
ma fu montata nella stazione principale di Napoli della
Regia Strada Ferrata

Visto il buon esito, altre 11 locomotive furono realizzate a
Pietrarsa tra il luglio 1851 ed il giugno 1858: Vesuvio,
Maria Teresa, Etna, Partenope, Fulminante, Sebeto, Sarno,
Ercolano, Pompei, Pegaso e Centauro.

In questo intervallo di tempo, nelle officine di Napoli fu
costruita, nel marzo 1855, la Ferdinando II.
Il 22 maggio del 1859 si spegneva a Caserta Ferdinando
II e gli succedeva il figlio Francesco II. Nello stesso anno
era sorta la necessità di costruire tre locomotive di
maggiore potenza per la linea a forte pendenza
Presenzano-S. Germano ed il Ministro delle Finanze per
tale scopo era entrato in trattative con un tale Beltrame
per far venire dalla svizzera Wyss Exher di Zurigo queste
macchine. Ma vi è di più, in quello stesso anno l’attuale numero
delle direzioni di artiglieria fu aumentato di un’altra
unità che prese il nome di “15a Direzione di Artiglieria
Pietrarsa”.

Fino al 1860 presso il Regio Opificio di Pietrarsa, nel suo
primo ventennio di attività, erano state costruite 20
locomotive con sistema Stephenson. Purtroppo le cose per
il Ministro non andarono come previsto: il giovane re
Francesco, sul rapporto n. 429 del 21 dic. 1859 diretto al
Ministro stesso, annotò “Alla domanda di Beltrame per far
venire dall’Estero le locomotive a doppia forza si rassegna
il Sovrano divieto al riguardo e l’ordine di eseguire tale
costruzione a Pietrarsa”.

Varcato il cancello per accedere agli spazi destinati
all’Opificio, è stata eretta una grande fabbrica che da
fuori sembra divisa in tre officine. Essa presenta due
grandi portoni di ingresso laterali sui quali è scritto
Montatura delle macchine ed un accesso centrale con la
scritta Gran Sala delle Costruzioni.

In questo grande padiglione, traversato per tutta la sua
lunghezza da un binario, oltre alle due grandi gru a
braccio girevole situate ai due lati dell’officina ed il
piano girante nel centro, è installata una macchina
motrice a vapore della potenza di 12 cav. a bilanciere
Watt e con distribuzione variabile. Essa trasmette,
mediante due alberi (uno a destra e l’altro a sinistra), il
moto a due torni di Withworth, ad un perforatore dello
stesso meccanico ed altri utensili tra cui due spianatoi
l’uno di Sharp e l’atro di Collier. Al lato sud del reparto,
sotto i finestroni, sono situati i banchi per limatori con 88
morse.
Fucine e costruzione delle caldaie
Questo reparto è formato da due corpi di fabbrica laterali
raccordati da un grande arco sotto il quale passa il
vialone principale. Questo arco è sormontato da un
frontone sul quale si legge Fucine e costruzione delle
caldaie.

Nei citati padiglioni sono allocate una cesoia in grado di
tagliare grandi lamine di ferro, una foratrice multipla per
preparare le parti di una caldaia da tenere assieme con
chiodatura, tredici fucine a due fuochi e due ad un fuoco
per forgiare il ferro proveniente dal polo siderurgico della
Mongiana, in Calabria. Il fuoco delle citate fucine era
ravvivato da un unico ventilatoio azionato da una
macchina a vapore sistemata all’esterno. Per utilizzare la
ventilazione così prodotta occorreva aprire un rubinetto in
dotazione a ciascuna forgia.

La Chiesa di Pietrarsa
Come noto, il re Ferdinando II era molto devoto per cui
fece costruire all’interno dell’Opificio di Pietrarsa una
Chiesa che fu intitolata a Maria SS. Immacolata. Essa,
completata ed aperta al culto nel 1853, fu costruita su
quella porzione di terra situata di fronte all’entrata dello
stabilimento, ingresso che in quel tempo si trovava
all’interno di quello attuale.
La Chiesa, che si estendeva su di una superficie di metri
45 per metri 15, era coperta per tutta la sua lunghezza da
una volta artistica ed elegante e poteva contenere circa
mille persone. In essa si venerava una statua della Beata Vergine
realizzata in puro marmo di Carrara e più grande del vero.
Non mancavano artistici quadri di Santi ed un “grande
organo ad orchestra intera”.

Foto tratta da arredodesigncitta.it

 

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