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Per la televisione, tutti i prodotti agricoli freschi e trasformati presenti in Italia sono italiani. Ci prendono per stupidi?/ MATTINALE 516

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  • Ormai ascoltare in televisione le promozioni dei prodotti agricoli freschi e trasformati che ogni giorno arrivano sulle nostre tavole è stucchevole. Ci prendono in giro senza ritegno dicendo che sono tutti prodotti italiani, quando sappiamo che non è così
  • Il caso del latte
  • Il ‘mistero’ dell’olio d’oliva tunisino che arriva a fiumi in Italia. Che fine fa?
  • La frutta estiva? Quasi tutta estera, in buona parte nordafricana: e quasi tutta immangiabile! A cominciare dalle angurie
  • Le ciliege: tre anni fa prezzi elevatissimi, quest’anno prezzi stracciati. Che succede?
  • Pane e pasta in Italia? Tutto con grano italiano. E il grano duro che arriva a iosa con le navi in Puglia e in Sicilia che fine fa? Il Babà napoletano con il grano canadese Manitoba… 

Ormai ascoltare in televisione le promozioni dei prodotti agricoli freschi e trasformati che ogni giorno arrivano sulle nostre tavole è stucchevole. Ci prendono in giro senza ritegno dicendo che sono tutti prodotti italiani, quando sappiamo che non è così

Ormai, in Italia, esistono due mondi agroalimentari: il mondo della televisione e il mondo della realtà. Il mondo della televisione ci racconta che l’Italia è una grande fattoria dove si produce tutto: il grano, il latte, gli ortaggi, la frutta e via continuando. Tutto buonissimo. Tutti i prodotti che arrivano sulle nostre tavole – a giudicare dalle promozioni che ci presenta la televisione – sono italiani: la pasta è prodotta con il grano italiano; il pane è prodotto con grano italiano; l’olio d’oliva extra vergine è italiano; il latte, i formaggi e lo yogurt prodotti con lo stesso latte sono italiani; la carne è italiana; il pomodoro è italiano; la frutta è italiana; gli ortaggi sono italiani. Insomma, tutto il cibo che arriva sulle nostre tavole è italiano e l’Italia, stando a quanto ci raccontano le promozioni della televisione, è una grande fattoria dove tutti vivono felici e contenti! Questa è l’immagine gioiosa che viene fuori dalla televisione. Ma se tutti i prodotti agricoli freschi e trasformati che portiamo ogni giorno in tavola sono italiani, ebbene, gli agricoltori italiani dovrebbero essere tutti ricchi? come mai invece sono in buona parte in crisi?

Il caso del latte

Poi c’è la realtà. Cominciamo con il latte. Qualche anno fa abbiamo scoperto che i produttori del Pecorino romano, a un certo punto, hanno cominciato ad acquistare il latte di pecora in Romania. Motivo: costa meno. Per la cronaca, il Pecorino romano vene prodotto, per l’80% circa, con il latte di pecora della Sardegna. I produttori di Pecorino del Lazio scoprono che il latte di pecora rumeno costa meno del latte di pecora della Sardegna. E dicono ai pastori sardi: signori, il latte di pecora rumeno costa meno, o abbassate il prezzo del vostro latte, o l’acquistiamo dai rumeni. Il problema, ovviamente, non è dei produttori di Pecorino romano che, da imprenditori, seguono la logica delle economie di scala; il problema è che, nell’Unione europea, esiste un Paese – la Romania – dove i costi di produzione sono bassissimi, a cominciare dal costo del lavoro in agricoltura; così la Romania ha il potere di distruggere l’ovinicoltura della Sardegna! Poi l’accordo è stato trovato sulla pelle degli allevatori di pecore della Sardegna. Il latte di pecora non è un caso unico: tutto il latte prodotto in Italia – quindi anche quello bovino – sconta problemi di prezzi bassi e di speculazioni. Nel gennaio di quest’anno abbiamo intervistato Domenico Bavetta, allevatore di Montevago. “Migliaia di aziende zootecniche rischiano di chiudere – ci ha detto Bavetta – perché il latte di pecora va da un prezzo medio di 78 centesimi di euro, compreso di IVA, ad un massimo di 82 centesimi di euro, compreso IVA. Va detto che quello dell’allevatore non è un mestiere facile. Si lavora tutti i giorni, senza interruzioni. Produrre un litro di latte per noi ha un costo di 80 centesimi di euro. Se consideriamo tutti i costi – sementi, fieno, mangimi, affitti, tasse, contributi e via continuando – ci accorgiamo che vendiamo il nostro latte sotto-costo. La stragrande maggioranza di pastori siciliani non trasforma il latte che produce e si ritrova a vendere il proprio prodotto in un mercato taroccato, dove chi acquista il latte a litro va a rivenderlo fuori dalla Sicilia a prezzi che arrivano anche a 97 euro quintale, più IVA. Perché succede tutto questo? La causa principale è il disinteresse della politica siciliana. Basti pensare che non è stato fatto niente per le Dop siciliane dei formaggi”. Non pensate che la situazione sia diversa nel resto d’Italia. In ogni caso, c’è il dubbio che tanto latte e tanti derivati del latte presenti in Italia non siano italiani.

Il ‘mistero’ dell’olio d’oliva tunisino che arriva a fiumi in Italia. Che fine fa?

E che dire dell’olio extra vergine di oliva? I maggiori produttori di olio d’oliva extra vergine, in Italia, sono Puglia, Calabria e Sicilia. Ma ormai da qualche anno l’Europa è letteralmente invasa da olio d’oliva tunisino con la ‘benedizione’ del Parlamento europeo! A cui si aggiunge anche l‘olio d’oliva deodorato, un prodotto spagnolo di scarto che invece viene ‘acconciato’ e venduto agli ignari consumatori. Se cercate di capire dove finisce tutto l’olio d’oliva tunisino che arriva in Italia vi diranno che viene esportato. Poi, però, scopriamo che i Centri commerciali sono pieni di bottiglie di olio d’oliva extra vergine vendute a 6 euro, a 5 euro a 4 euro e, con le “offertissime”, anche a meno di 3 euro! Peccato che produrre un litro di olio d’oliva extravergine costi in Italia non meno di 7-8 euro… Ci vuole molto a capire come stanno le cose?

La frutta estiva? Quasi tutta estera, in buona parte nordafricana: e quasi tutta immangiabile! A cominciare dalle angurie

Ormai da anni, in Estate, tanti lettori siciliani ci chiamano per chiederci dove possono trovare la frutta estiva buona, perché, tranne casi rari, la frutta estiva che acquistano non ha sapore. La frutta estiva, checché ne dica le promozioni, arriva in gran parte dal Nord Africa e, nella stragrande maggioranza dei casi, non ha sapore. Noi ci guardiamo bene dall’acquistarla, perché non sappiamo nemmeno che pesticidi utilizzano da quelle parti. L’Anguria, ad esempio, è un caso che merita di essere studiato a parte. Negli ultimi anni siamo letteralmente invasi da angurie piccole. Perché sono più buone? No. Perché ormai, in Sicilia, la stragrande maggiorana delle angurie non ha sapore e i consumatori prima di acquistarne una tradizionale ci pensano cento volte. Se invece l’anguria è piccola cambia lo scenario: “Vabbé, intanto spendo meno, la provo, se è immangiabile la butto via”. Anche le angurie, ovviamente, arrivano in buona parte dal Nord Africa. Negli anni ’70 e negli anni ’80 del secolo passato le angurie siciliane si coltivavano nelle sciare di Mazara del Vallo: erano dolcissime! Oggi, al massimo, in Sicilia, se siete fortunati e non vi prendono in giro, trovate angurie di Marsala: buone sì, ma non come quelle delle sciare di Mazara del Vallo!

Le ciliege: tre anni fa prezzi elevatissimi, quest’anno prezzi stracciati. Che succede?

Avete provato le albicocche che circolano soprattutto nella Sicilia occidentale (nella Sicilia orientale la frutta è molto più buona perché c’è l’Etna). Trovare albicocche buone, oggi, a Palermo – giusto per citare un esempio – è difficilissimo. Vi dicono che sono buone, ve le fanno anche assaggiare: ma nel 90% dei casi c’è solo da scappare! E lo stesso discorso vale per la frutta estiva in generale. Anche in questo vaso, solita regola: arriva da paesi esteri. Anche quello delle ciliege è un caso da studiare a parte. Tre anni fa, a Mantova, in Lombardia, fece clamore il prezzo delle ciliege: 3,6 euro all’etto, in pratica 36 euro al kg! Quest’anno è successa una cosa stranissima: tanti produttori italiani si sono rifiutati di raccogliere le ciliege perché il prezzo è ridicolo: 2 euro, massimo 3 euro al Kg al dettaglio, che per gli agricoltori significa un prezzo più basso. A meno che l’arboricoltura non abbia fatto miracoli dei quali non siamo a conoscenza, ci sembra impossibile che gli agricoltori italiani abbiano piantato tanti alberi di ciliegi diventati produttivo in tre anni: molto più probabile è che il mercato italiano sa stato invaso da ciliege che arrivano da chissà dove!

Il pomodoro trasformato: tutto rigorosamente italiano…

E che dire del pomodoro fresco e trasformato? Se ascoltate la televisione tutto il pomodoro trasformato – passata di pomodoro e pelati di pomodoro – è italiano. Poi, però, scopriamo che in Italia arrivano vagonate di pomodoro trasformato dalla Cina. E anche pomodoro fresco e trasformato dal Nord Africa. Che fine fa? Poi scopriamo che in Campania, patria della pizza napoletana, sono state sequestrate 800 tonnellate di pomodoro egiziano contaminato da pesticidi. E scopriamo anche che in Toscana un’azienda miscelava pomodoro italiano con pomodoro extra-Ue. Da qui la domanda: ma cosa ci racconta la televisione? Com’è possibile che nelle promozioni tutto il pomodoro trasformato sia italiano?

Pane e pasta in Italia? Tutto con grano italiano. E il grano duro che arriva a iosa con le navi in Puglia e in Sicilia che fine fa? Il Babà napoletano con il grano canadese Manitoba… 

E del pane ne vogliamo parlare? Cinque anni fa abbiamo scoperto che il pane di Matera, il pane di Altamura e il pane nero di Castelvetrano contenevano grano duro canadese! Oggi è ancora così? Ci auguriamo di no. Ma quello che è successo anche con il pane – con tre tipi di pane tra i più noti d’Italia – è indicativo del clima di confusione che si registra in Italia. E della pasta? Qui qualche progresso è stato fatto. Qualche grande azienda oggi ammette che sì, utilizza anche il grano statunitense. Per il resto, tutta la pasta – così ci racconta sempre la televisione – è prodotta con grano italiano. Ma allora che fine fa tutto il grano duro canadese e di altri Paesi esteri che arriva nei porti pugliesi e siciliani? ‘Esportiamo’ anche il grano canadese e, in generale, il grano duro estero? Ci prendono per stupidi? Ora provate a immaginare se tale argomento venisse affrontato da una trasmissione televisiva, intervistando i grandi produttori di pasta italiana. Con il conduttore che chiede: “Ok, la vostra pasta è prodotta con il grano duro italiano. Bene, ci potete spiegare che allora che fine fa il grano duro che arriva in Italia con le navi in Puglia e in Sicilia, a cominciare dal grano canadese?”. Sarebbe interessante ascoltare le risposte degli industriali italiani della pasta. Chiudiamo con il grano tenero. Sempre la televisione, in un programma di cucina, racconta come si prepara il Babà napoletano. “Mi raccomando, usate farina di grano Manitoba”. Il grano tenero canadese, varietà Manitoba, per preparare il Babà napoletano. Cosa dobbiamo sentire ancora?

 

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