Sorpresa (non per noi): il CETA sta fregando il Nord Italia: giù l’export di Parmiggiano Reggiano e Grana padano!/ MATTINALE 406

23 settembre 2019

Il CETA non danneggia solo l’agricoltura del Sud Italia, ma sta massacrando anche l’export dei più importanti formaggi del Nord Italia, a cominciare da Parmiggiano Reggiano e Grana Padano. Ma anche l’Asiago, il Pecorino romano e il Caciocavallo del Sud escono a pezzi. Tutti danneggiati dai ‘taroccamento’ ammesso dal CETA. I dati ISTAT – relativi all’export con il Canada nel primo semestre 2019 – li fornisce la Coldiretti. E ora chi glielo dice a Renzi e alla Ministra Bellanova?   

Adesso chi glielo dice alla Ministra Teresa Bellanova che il CETA sta fregando anche la grande agro-industria del Nord Italia? E lei, la Ministra renziana, che lo vorrebbe ratificare! A due anni dall’applicazione (in deroga) del CETA nel nostro Paese, quella che era stata presentata come una grande opportunità per i grandi prodotti della ‘Padania’ si sta trasformando in un incubo. Botte da orbi per il Parmiggiano Reggiano, per il Grana Padano e anche per altri simboli del Made in Italy dislocati sopra la Linea Gotiga… Sì, anche per il Nord l’accordo commerciale tra Unione Europea e Canada si sta rivelando un disastro!

Eh sì, i dati ISTAT diramati dalla Coldiretti smentiscono clamorosamente chi ha sempre detto che il CETA avrebbe fatto bene all’agricoltura e, soprattutto, all’agro-industria del Centro Nord Italia. Di fatto, è un ‘siluro’ alla già citata Ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, e alla nuova formazione politica di Matteo Renzi, Italia Viva, della quale la citata Bellanova è espressione.

Se nella passata legislatura Renzi poteva contare sull’appoggio della Coldiretti, oggi non è più così.

Ma i dati diffusi dalla Coldiretti smentiscono clamorosamente anche la CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) e la Confagricoltura, che si sono sempre schierati in favore del CETA. Basti pensare che nelle scorse settimane il presidente nazionale della CIA, Dino Scanavino, a proposito degli effetti del CETA in Italia, ha dichiarato:

“A parte i dati falsati che stanno girando in questi giorni, gli indicatori sono tutti positivi. Si tratta di un accordo che ha portato un grande contributo al sistema del made in Italy…”.

Forse, a questo punto, Scanavino e Confagricoltura dovrebbero indicare, con i fatti, quali sarebbero gli effetti positivi del CETA. Quello che, invece, la CIA e Confagricoltura non hanno bisogno di chiarire e la lontananza di queste due organizzazioni agricole dagli interessi dell’agricoltura del Sud Italia, se è vero che il CETA va contro gli interessi della stessa agricoltura del Mezzogiorno.    

E dire che era stata anche la grande agro-industria del Nord Italia a salutare calorosamente, nel settembre di due anni fa, l’entrata in vigore, in deroga, del CETA. Già, in deroga. Perché questo trattato commerciale deve assere approvato dai Parlamenti di tutt’e ventisette i Paesi dell’Unione. Ma siccome la metà dei Paesi UE non ne vuole sapere del CETA (13 Paesi della UE su 27 non vogliono il CETA!), la vecchia Commissione Europea, aggirando le regole comunitarie e, alla faccia della democrazia, ha deciso di applicare il CETA in deroga, in attesa del ‘Sì’ di tutti i Paesi della UE (che, secondo noi, non arriverà mai e che soltanto una gestione fascista della vecchia Commissione Europea ha applicato: siamo curiosi di sapere cosa farà con il CETA la nuova Commissione Europea presieduta da Ursula von der Leyen. 

Oggi arrivano i ‘numeri’ ufficiali del CETA per l’Italia: li comunica la Coldiretti con una nota ufficiale che, come già accennato, parte dei dati ISTAT:

“Anniversario flop per il CETA, con -32% sull’export di Grana Padano e Parmigiano Reggiano nel primo semestre 2019, mentre il Canada festeggia la produzione di ben 6,3 milioni di chili di Parmesan (falso Parmigiano Reggiano), in aumento del 13% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e la netta crescita dell’esportazione in Italia di grano trattato con glifosato in preraccolta”.

E’ stata la stessa Coldiretti, poco più di un mese fa, a denunciare l’aumento vertiginoso di grano canadese in Italia, con un aumento dell’importazione di questo prodotto di ben sette volte!

Nel presentare il CETA ai ‘furbi’ industriali del Nord Italia, gli sponsor di questo pessimo trattato commerciale internazionale avevano prospettato grandi numeri per l’export. Tant’è vero che il Centro Nord si è accaparrato il 90% e forse più di prodotti da esportare in Canada, penalizzando, tanto per cambiare il Sud.

Ma questa volta l’atteggiamento prepotente e colonialista del Nord Italia non sta funzionando, perché le esportazioni in Canada di prodotti agricoli italiani trasformati dello stesso Nord sono letteralmente crollati:

“Un crollo devastante delle esportazioni in Canada di questi simboli agroalimentari del Made in Italy, che si sono ridotte praticamente di un terzo, scendendo a soli 1,4 milioni di chili nel primo semestre del 2019, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Tra i prodotti interessati dalla flessione anche un altro campione tutto italiano come l’olio di oliva, che registra un brusco calo delle esportazioni in Canada, pari al 20% nelle quantità e al 27% in valore”.

Il calo dell’export in Canada di olio d’oliva ‘italiano’, in realtà – questo almeno è il nostro punto di vista – non ha nulla a che vedere con il CETA. Lo scorso anno la produzione di olive in Italia è crollata e siccome i canadesi non sono fessi, sanno che è crollata anche la produzione di olio d’oliva. E’ evidente che i canadesi hanno capito che l’olio d’oliva ‘extra vergine’ che arriva dall’Italia presenta qualche problema…

A differenza degli italiani, che vanno nei centri commerciali e acquistano olio d’oliva ‘extra vergine’ a meno di 3 euro a bottiglia, senza capire che un litro di olio d’oliva extra vergine non può costare meno di 8-12 euro al litro in ragione della annate, i canadesi sono molto attenti e non vogliono portare sulle proprie tavole prodotti scadenti e dannosi per la salute.

Chiusa questa digressione sull’olio d’oliva, toniamo al CETA. Andiamo a leggere i dati ufficiali ISTAT di due anni di CETA diffusi da Coldiretti:

“La presenza sui mercati esteri è vitale per il Made in Italy – dice il presidente di Coldiretti Ettore Prandini – ma negli accordi di libero scambio vanno garantite reciprocità delle regole ed efficacia delle barriere non tariffarie, perché non è possibile agevolare l’importazione di prodotti ottenuti secondo modalità vietate in Italia. Il settore agricolo non deve diventare merce di scambio degli accordi internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto sul piano economico, occupazionale e ambientale sui territori”.

Il presidente della Coldiretti tocca un punto delicatissimo: la presenza, ammessa dal CETA, di prodotti di imitazione, cioè dei cosiddetti prodotti ‘taroccati’ o ‘tarocchi’. E siccome i prodotti agro-alimentari italiani sono tra i più ‘taroccati’ del mondo, questo crea un problema enorme al Made in Italy.

“Come prospettato – leggiamo nella nota della Coldiretti – la diffusione del falso Made in Italy ha ridotto lo spazio ai prodotti italiani originali. Lo dimostra il fatto che il Canada festeggi questo anniversario con un primo semestre del 2019 caratterizzato dalla produzione di:

6,3 milioni di chili di falso Parmigiano Reggiano (Parmesan), al +13% sul I semestre 2018;
4,5 milioni di ricotta locale;
1,9 milioni di chili di Provolone taroccato;
74 milioni di chili di mozzarella;
228mila chili di un ‘fantomatico’ formaggio Friulano”.

“In sostanza – prosegue la nota della Coldiretti – oggi sono falsi 8 pezzi di Parmigiano su 10, senza considerare i ‘tarocchi’ esportati in Canada da altri Paesi grazie all’accordo CETA, che ha legittimato per la prima volta nella storia dell’Unione Europea le imitazioni del Made in Italy. Basti considerare che il Parmigiano Reggiano può essere liberamente prodotto e commercializzato dal Canada con la traduzione di Parmesan. Ma è anche possibile produrre e vendere Gorgonzola, Asiago e Fontina, mantenendo una situazione di ambiguità che rende difficile al consumatore distinguere il prodotto originale ottenuto nel rispetto di un preciso disciplinare di produzione dall’imitazione di bassa qualità”.

Si sta verificando, in tutta la sua drammaticità, quello che era prevedibile. Perché il CETA è stato pensato per sacrificare l’agricoltura europea, consentendo al Canada di esportare in Europa i propri prodotti agricoli senza bloccare l’incredibile diffusione dei ‘tarocchi’.

La fregatura – che gli industriali dell’agro-industria del Nord non hanno calcolato bene – è che il CETA dà spazio a chi produce le imitazioni dei prodotti agro-industriali.

Sapete qual è l’assurdità del CETA? Che non solo dà spazio ai ‘tarocchi’, ma inibisce i Tribunali dei Paesi che hanno aderito allo stesso CETA ad intervenire. Chi subisce il ‘taroccamento’ – è il caso dell’Italia per i suoi formaggi – non si può rivolgere al Tribunale italiano: si deve rivolgere a una ‘magistratura speciale’ interna allo stesso CETA della quale fanno parte le multinazionali che ‘taroccano’ i prodotti!

Il CETA, insomma, ha creato un precedente disastroso, voluto dalla follia della globalizzazione dell’economia, riproposto negli accordi successivi: da quello con il Giappone a quello con il Messico, fino al negoziato drammaticamente concluso con i Paesi del Mercosur, grandi produttori di formaggi italiani taroccati (della nuova porcata targata Mercosur – trattato commerciale tra UE e Sudamerica – ci siamo occupati qui).

Ma vediamo, adesso i ‘numeri’ dell’export dei formaggi italiani dopo due anni di CETA. Si tratta di dati ISTAT che fanno riferimento al primo semestre di quest’anno:

“Parmigiano Reggiano e Grana Padano: – 32%;
Provolone: – 33%;
Gorgonzola: – 48%;
Fiore sardo e Pecorino romano: – 46%
Asiago, Caciocavallo, Montasio e Ragusano: -44%
Un totale che vale, appunto, -32% sull’export di questi prodotti verso il Canada rispetto al primo semestre del 2018”.

Segnaliamo, in particolare, due ‘numeri’.

Il primo riguarda il Pecorino romano. Nell’accordo siglato nel marzo scorso, dopo la protesta dei pastori sardi, è prevista l’integrazione che gli stessi pastori sardi dovrebbero incassare. Ma tale integrazione è subordinata all’aumento delle vendita del Pecorino romano. Ma i dati CETA non annunciano nulla di buono per i pastori sardi.

Forse i pastori sardi hanno sbagliato a siglare l’accordo lo scorso marzo?

Il secondo ‘numero’ che segnaliamo riguarda il caciocavallo, formaggio tipico del Sud Italia, il cui export in Canada è crollato! Quindi il CETA non solo penalizza l’agricoltura del Sud, ma penalizza anche uno dei i più noti formaggi dello stesso Sud, Caciocavallo Ragusano in testa!

Ma se con il CETA agricoltura e agro-industria italiane vanno già, il Canada, invece, sorride.

“Al contrario – leggiamo nella nota della Coldiretti – aumentano di quasi 9 volte la quantità di grano importato dal Canada in Italia nel primo semestre del 2019 rispetto allo stesso periodo del 2018, per un totale di 387 milioni di chili. Il balzo delle importazioni è favorito dalla concorrenza sleale di prodotti che non rispettano le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale vigenti nel nostro Paese. Il grano duro canadese viene infatti trattato con l’erbicida glifosato in preraccolta, secondo modalità vietate sul territorio nazionale dove la maturazione avviene grazie al sole”.

A noi risulta che anche il grano tenero prodotto nella aree fredde e umide del Canada viene trattato con il glifosato. La cosa interessa l’Italia, perché se il Sud del nostro Paese è letteralmente invaso dal grano duro canadese, il Centro Nord Italia è letteralmente invado dal grano tenero canadese varietà Manitoba!

Superfluo aggiungere che cosa contiene il grano coltivato nelle aree fredde e umide del Canada che arriva in Italia con le navi: il glifosato e le micotosine DON. Comunque non ci sono problemi: ci ha pensato l’Unione Europea ad innalzare i limiti di queste due sostanze contaminanti per poter far mangiare questo ‘ottimo’ grano agli europei… 

Ci sono anche conseguenze legate alla carne che arriva dal Canada:

“Preoccupano anche le conseguenze sulle importazioni di carne canadese – leggiamo sempre nella nota della Coldiretti – visto che nel Paese nord americano per l’alimentazione degli animali è consentito l’uso di derivati di sangue, peli e grassi trattati ad alte temperature, senza indicazione in etichetta. Un sistema che in Europa è vietato da oltre venti anni a seguito dello scandalo della mucca pazza”.

E se dovesse riesplodere l’epidemia della mucca pazza? Siamo sicuri che i consumatori vengono informati sulla provenienza delle carni?

QUI PER ESTESO LA NOTA DELLA COLDIRETTI DI BRESCIA

AVVISO AI NOSTRI LETTORI

Se ti è piaciuto questo articolo e ritieni il sito d'informazione InuoviVespri.it interessante, se vuoi puoi anche sostenerlo con una donazione. I InuoviVespri.it è un sito d'informazione indipendente che risponde soltato ai giornalisti che lo gestiscono. La nostra unica forza sta nei lettori che ci seguono e, possibilmente, che ci sostengono con il loro libero contributo.
-La redazione
Effettua una donazione con paypal


Commenti