Saranno il mercato e la CUN a portare il grano duro del Sud a 40 euro al quintale/ MATTINALE 445

3 novembre 2019

Con questo articolo proviamo a dimostrare il perché, il prossimo anno, il prezzo del grano duro del Sud Italia potrebbe raggiungere i 40 euro al quintale. Il contesto internazionale è favorevole. E ci sarà la CUN, che il Governo nazione deve istituire perché lo prevede il pronunciamento della magistratura. Il nostro amico Cosimo Gioia è troppo pessimista. Sui centri di stoccaggio in Sicilia può intervenire la Regione

Qualche giorno fa abbiamo lanciato una proposta per rilanciare il grano duro del Sud Italia e della Sicilia: dare vita a un’alleanza tra i produttori di grano duro del Sud per fissare il prezzo di questo prodotto a 40 euro al quintale. La nostra proposta ha suscitato un certo dibattito. E un noto produttore di grano duro che opera in Sicilia – Cosimo Gioia – che noi conosciamo e stimiamo – ha replicato spiegando che la nostra proposta non è sbagliata, ma è impossibile da realizzare. 

In questo articolo proveremo a dimostrare che il nostro amico Gioia è un po’ troppo pessimista. E che, invece, qualche risultato si può raggiungere. Proviamo a illustrare il perché – a nostro modesto avviso – i produttori del grano duro del Sud Italia e della Sicilia possono diventare, con un po’ di buona volontà e con la buona politica, i protagonisti del proprio destino.

Non abbiamo tirato fuori questa cifra – 40 euro al quintale – dal nulla: abbiamo semplicemente preso come riferimento il prezzo del Desert Durum, che è il grano duro che si coltiva da l’Arizona e la California. Ebbene, il prezzo di questo grano duro americano non scende mai sotto i 40 dollari al quintale.

Poiché le caratteristiche organolettiche del grano duro del Sud Italia e siciliano non hanno nulla da invidiare al Desert Durum, non si capisce perché il grano duro statunitense debba essere venduto a 40 dollari il quintale, mentre il grano duro del Sud Italia debba essere venduto a 18-20 euro al quintale, perché così hanno deciso le industrie del Nord Italia, che nel nostro Paese, da decenni, controllano la politica agricola.

La nostra proposta, lo ribadiamo, non arriva dal nulla, ma dall’osservazione dei fatti. E i fatti ci dicono che, tra i consumatori italiani ed europei (per esempio in Germania, dove c’è grande sensibilità per la qualità del cibo, ma non soltanto in Germania), cresce giorno dopo giorno il numero di consumatori che si interroga sulla tossicità della pasta industriale.

Il messaggio che l’Unione Europea, per far arrivare il grano estero Europa (grano duro e anche grano tenero), ha innalzato il livello dei contaminanti, consentendo l’importazione in Europa di grano che presenta alti livelli di grlifosato e micotossine DON, è passato. Molti consumatori l’hanno capito e non acquistano più pasta industriale. 

Anche gli industriali l’hanno capito: e infatti cominciano a manifestare di nuovo interesse per il grano duro del Sud Italia che, notoriamente, non contiene né glifosato, né micotossine DON, se è vero che matura grazie al sole e non con le diavolerie chimiche che utilizzano nei Paesi freddi e umidi: Paesi che non dovrebbero certo coltivare il grano, duro e tenero!

Però gli industriali italiani non sono cambiati: hanno sì capito che, nel mondo dei consumatori, il vento sta cambiando, ma il bastone del comando vogliono tenerlo sempre loro. Vogliono tornare ad acquistare il grano duro del Sud Italia, ma al prezzo che dicono loro!

Il gruppo Barilla, ad esempio, è tornato in Sicilia. Tornato, come ha opportunamente sottolineato Margherita Tomasello, già titolare di un noto pastificio siciliano che ha prodotto per la Barilla pasta per oltre venti anni! 

Noi siamo contenti che le industrie della pasta tornino ad acquistare il grano duro del Sud Italia: anche perché non ne possono fare a meno. Non lo diciamo noi: lo dicono gli stessi industriali della pasta nelle pubblicità televisive e cartellonistiche: “Pasta prodotta con grano duro italiano”.

Vero è che il grano duro si coltiva ormai anche nel Centro Nord Italia – per esempio in Emilia Romagna – magari con ricche concimazioni azotate per ottenere quel grano duro altamente proteico (cioè ricco di glutine) che piace tanto alle industrie della pasta: ma il grano duro del Centro Nord Italia potrebbe presentare problemi legati all’umidità: per esempio, problemi con le micotossine! Problemi che sarà facile verificare con semplici analisi sullo stesso grano e sui prodotti finiti!

Insomma, che gli piaccia o no, gli industriali della pasta hanno bisogno del grano duro del Sud Italia. Ma debbono capire che non possono fare quello che hanno fatto fino ad oggi: e cioè considerare il Sud Italia come una colonia da sfruttare.

I contratti di filiera che gli industriali del Nord tornano a proporre ai produttori di grano duro del Sud Italia non sono altro che la riproposizione di una concezione coloniale dell’agricoltura. Sapete in cosa consiste un contratto di filiera, che qualche organizzazione agricola – non meno colonialista e antimeridionale degli industriali del Nord – avalla?

Loro, gli industriali, si impegnano, sulla carta, ad acquistare tutto il grano duro di una certa azienda a un certo prezzo, che è maggiore del prezzo di mercato del grano duro del Sud Italia che una volgare speculazione di mercato tiene basso. Però…

Però ci sono almeno un paio di però.

Però l’agricoltore del Sud deve coltivare la varietà di grano duro ‘consigliata’ dagli industriali.

Però l’agricoltore del Sud deve far raggiungere al grano duro una certa percentuale di proteine, sennò il contratto di filiera non vale più: e per raggiungere alte percentuali di proteine ci vuole la concimazione di azoto (che, peraltro, non sempre si può effettuare nel Sud, perché ci vuole l’acqua: e se non piove e hai concimato è un bel problema!).

Con questi però gli industriali ‘incaprettano’ i produttori di grano duro del Sud. Per questo è importante che gli agricoltori del Sud Italia e siciliani non cadano nel tranello dei contratti di filiera!

Tra l’altro, i contratti di filiera, quest’anno, non sono praticabili per le stesse industrie del Nord Italia, perché tra l’offerta di grano duro mondiale che si è ridotta e il contestuale aumento della domanda di grano duro del Sud Italia, il prezzo del grano duro del Sud Italia è in rialzo: basti pensare che nel mercato di Foggia in questi giorni ha toccato i 28-29 euro al quintale!

Gli industriali, con i contratti di filiera, offrono non più di 28 euro per quintale di grano duro (peraltro con le penalizzazioni che abbiamo descritto). Possono fare breccia in Sicilia, dove il prezzo del grano duro è sì cresciuto, ma meno che nel resto del Sud Italia (per ora oscilla tra 22 e 25 euro).

Ma sarebbe un gravissimo errore, per i produttori siciliani di grano duro, sottoscrivere i contratti di filiera per i motivi che proviamo a illustrare.

Primo: il prezzo del grano duro è cresciuto anche in Sicilia: meno che nel resto del Sud Italia, ma è cresciuto. E continuerà a crescere. Sottoscrivere, oggi, un contratto di filiera a 28-30 euro al quintale (e stiamo largheggiando nel prezzo) potrebbe essere un errore, perché il prezzo del grano duro del Sud Italia, il prossimo anno, potrebbe essere addirittura maggiore di 30 euro al quintale!

Leggendo quello che scriviamo i produttori di grano duro della Sicilia ci prenderanno per matti. Ora vi dimostriamo che non siamo affatto matti.

Dopo una lunga battaglia giudiziaria condotta da GranoSalus – e in particolare dal senatore Saverio De Bonis – il Governo nazionale si vede costretto a far partire la CUN, la Commissione Unica Nazionale che stabilirà i prezzi del grano duro non sulla base delle indicazioni degli industriali del Nord Italia, ma sulla base del volume degli scambi che sono in aumento!

La CUN – lo ribadiamo – partirà nonostante il disinteresse, se non dell’ostracismo, delle Regioni meridionali. La Regione Puglia e la Regione siciliana – che sono le prime due Regioni italiane per la produzione di grano duro – non hanno fatto nulla per far decollare la CUN che, lo ribadiamo, partirà dopo una lunga battaglia giudiziaria vinta dagli agricoltori pugliesi.

Con molta probabilità, il Nord proverà a portare a Bologna la sede della CUN (così come ha portato a Bologna il grano duro antico Senatore Cappelli scippato al Sud e ‘privatizzato’ sotto il ferreo controllo di un gruppo economico del Nord, grazie anche a un’organizzazione agricola che non ha nulla a che vedere con il Sud!).

Ma appena verrà messo in atto il tentativo di portare la sede della CUN a Bologna scoppierà un ‘Bordello’ e, che gli piaccia o no, la politica italiana dovrà per forza di cose portare la sede della CUN a Foggia, che è il mercato del grano duro più importante del Sud Italia.

Sarebbe veramente ridicolo, infatti, istituire la sede della CUN a Bologna, visto che l’80% del volume degli scambi di grano duro avviene nel Sud Italia!

Vero è che l’Italia considera il Sud una colonia, vero è che il Nord si è preso anche la più importante varietà di grano antico del Sud Italia – la citata varietà Senatore Cappelli -: ma questa volta sarà impossibile istituire al Nord uno strumento che serve a tutelare i produttori di grano duro del Sud Italia!

Una volta istituita la CUN – e, lo ribadiamo: il Governo nazionale è costretto ad istituirla, perché lo prevede la Legge – la stessa CUN dovrà basarsi non soltanto sul volume degli scambi di grano duro, ma anche in ragione della cosiddetta ‘Griglia tossicologica’. 

Che significa? Che il grano duro che non contiene glifosato e micotossine DON dovrà per forza di cose avere un valore di mercato maggiore del grano duro che arriva dall’estero non le navi – grazie alla ‘simpatica’ Unione Europea – che contiene invece sia il glifosato, sia le micotossine DON!

Già quest’anno, senza fare nulla – ma solo grazie a una riduzione dell’offerta internazionale di grano duro – il prezzo del grano duro del Sud è in crescita e a Foggia – lo ribadiamo: a Foggia – ha toccato i 28-29 euro al quintale.

Con la CUN operativa e con la ‘Griglia tossicologica’ il prezzo del grano duro del Sud Italia – che matura con il sole, senza glifosato e senza micotossine – dovrebbe attestarsi intorno a 35-40 euro al quintale.

Cosimo Gioia obietta che in Sicilia non ci sono centri di stoccaggio? Intanto a Modica, un privato un grande centro di stoccaggio lo ha realizzato.

Bene: se un grande centro per lo stoccaggio di cereali è stato realizzato da un privato, cosa impedisce alla Regione siciliana, con i fondi europei destinati all’agricoltura, di realizzare due grandi centri di stoccaggio per i cereali pubblici nel Nisseno e nell’Ennese?

Non crediamo che il Governo regionale siciliano di Nello Musumeci si tirerà indietro.

Cosimo Gioia obietta che molti agricoltori siciliani non hanno nemmeno i soldi per acquistare la semente e, in generale, tutto l’occorrente per la coltivazione del grano duro. Ha ragione: fino ad oggi le cose sono andate così.

Ma sono andate così perché con il grano duro a 18-20 euro al quintale l’agricoltore siciliano, consegnando tutto il grano duro al commerciante, riesce a malapena a ripagare le sementi per la semina e il resto, guadagnando qualcosa con l’integrazione (e con gli interventi ‘a pioggia’ sempre con i fondi europei).

Se, però, il grano duro si venderà a 35-40 euro al quintale, gli agricoltori siciliani avranno bisogno del capitale di anticipazione per il solo primo anno: poi non avranno più bisogno di altro.

Quanto all’abbassamento dei limiti del glifosato e delle micotossine giustamente sollecitato da Cosimo Gioia, pensiamo di aver risposto: con la ‘Griglia tossicologica’ della CUN – e con una corretta informazione – saranno i consumatori a non acquistare più pasta prodotta con il grano contaminato! Non sarà un processo veloce – anche perché in Italia ci sono 13 milioni di poveri a cui rifilare la “pasta di grano duro italiano” a 0,50 centesimi al Kg! – ma ci si arriverà.

Quello che vogliamo dire al nostro amico Cosimo Gioia è che la realtà del Sud Italia e siciliana in particolare – nonostante il Nord Italia, nonostante la politica e nonostante Giovanni Verga e il suo pessimismo ultra-cosmico – si può cambiare!

Foto tratta dal Quotidiano di Foggia

 

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