Rivolta dei pastori anche in Sicilia: dopodomani prima manifestazione a Poggioreale

13 febbraio 2019

Intanto abbiamo chiesto ‘lumi’ a un noto allevatore e produttore di formaggi della Sicilia, Giuseppe Scarlata, che nel 2011 è stato tra i protagonisti della rivolta dei Forconi. “Il nemico da battere – ci dice – si chiama globalizzazione dell’economia. Subito una legge per bloccare il latte rumeno che arriva in Italia senza dazi”. Cosimo Gioia: “Se fosse dipeso da me avrei già scaricato i camion di grano canadese in Piazza Indipendenza, a Palermo”

Per ora la notizia trova conferma solo per Poggioreale, dove un nutrito gruppo di pastori siciliani si è dato appuntamento per dopodomani, venerdì 15 febbraio, per iniziare la prima protesta di piazza, come leggiamo in un articolo di Belice news:

“Venerdì la protesta siciliana si concentrerà a Poggioreale. Centinaia di pastori del Palermitano, del Trapanese e dell’Agrigentino si sono, infatti, dati appuntamento vicino la Fondovalle Sciacca-Palermo statale 624 nei pressi della cantina ‘lacrimedilatte'”.

E’ una protesta che si associa a quella dei pastori sardi:

“Per lo stesso identico problema anche i pastori siciliani preannunciano di fare sentire la loro voce”, spiega Domenico Bavetta, pastore di Montevago sempre su Belice News.

Noi abbiamo chiesto ‘lumi’ a Giuseppe Scarlata, allevatore e produttore di formaggi, che nel 2011 è stato uno dei protagonisti del movimento dei Forconi:

“La rivolta dei pastori sardi – ci dice – è più che legittima -. Ma bisogna avere il coraggio di chiamare le cose per nome e cognome: oggi, anche per il latte italiano, il nemico è uno: la globalizzazione dell’economia”.

Scarlata ci spiega che, in Romania, produrre un litro di latte costa 25 centesimi di euro e lo stipendio di un ‘casaro’ è di circa 300 euro al mese.

“Con questi prezzi non possiamo competere – ci spiega Scarlata -. Non possiamo competere qui in Sicilia, non possono competere i pastori sardi e, in generale, non possono competere gli allevatori italiani”.

Gli industriali usano il latte rumeno per produrre formaggi? 

“Certo, perché lo pagano a un prezzo molto più basso del latte italiano”.

In effetti, oggi, a Radio Radicale, una parlamentare della Sardegna ha detto che il latte di pecora dovrebbe essere pagato ai pastori sardi da un euro a 30 a un euro e 50 al litro. E invece viene pagato a 55 centesimi di euro…

“La parlamentare sarda ha detto una grande verità: con il latte di pecora a 55 centesimi i pastori sardi possono anche smettere di lavorare, perché lavorano in perdita. E lo stesso discorso vale per noi siciliani”.

Cosa bisognerebbe fare? 

“Serve una legge per impedire che il latte di pecora rumeno arrivi in Italia a dazio zero. Se non si agirà su questo fronte perderemo solo tempo”.

A noi hanno detto che la DOP del Pecorino romano vieta categoricamente di utilizzare il latte di pecora che non sia prodotto in Sardegna, nel Lazio e in Toscana…

“In teoria è così. In pratica il latte non parla…”.

Cioè?

“Chi è che, oggi, in Italia, effettua i controlli? Ci verrebbero dei controlli sul ‘Dna’ dei formaggi, a cominciare dal Pecorino, ma non solo. Controlli serrati per capire da dove arriva il latte con il quale, in Italia, vengono prodotti i formaggi. Ma questi controlli, oggi, non ci sono”.

Che cosa succede, secondo lei, in Italia, nel mondo del latte?

“Succede di tutto. Succede, ad esempio, che anche i piccoli produttori di formaggio tipico di questa o quella Regione italiana sono costretti a inseguire chi produce con un latte che costa molto meno, spesso di qualità scadente. E sono sempre più in difficoltà”.

Scusi, ma allora le DOP a cosa servono?

“Le DOP non sono nelle mani dei produttori. Chi gestisce le DOP si muove in Ferrari, mentre gli allevatori fanno la fame”.

Insomma, la storia è sempre la stessa: il grano duro canadese che soppianta quello siciliano, pomodoro e passata di pomodoro cinese al posto del nostro pomodoro, angurie nord africane al posto delle angurie siciliane (e infatti molte delle angurie sono immangiabili), olio d’oliva ‘extravergine’ tunisino al posto dell’olio d’oliva extra vergine del Sud Italia, arance marocchine al posto delle arance siciliane, carciofi egiziani al posto dei carciofi siciliani e via continuando.

Chiediamo ‘lumi’ anche a Cosimo Gioia, battagliero produttore di grano duro nell’entroterra della Sicilia:

“Gli allevatori siciliani stanno scendendo in piazza? Non posso che essere felice – ci dice Gioia -. Almeno si dà la scossa all’attuale Governo regionale che, in agricoltura, è immobile e insensibile ad ogni sollecitazione. Anche noi abbiamo fatto un paio di incontri tra agricoltori. E ne abbiamo in programma un altro a Caltanissetta. Spero che il mondo agricolo siciliano sollevi la testa. Se dipendesse da me avrei già rovesciato in Piazza Indipendenza, a Palermo, davanti la sede della presidenza della Regione siciliana, i camion di grano duro canadese e, in generale, di grani duri esteri che arrivano in Sicilia”.

Foto tratta da Reporter gourmet

 

QUI L’ARTICOLO DI BELICE NEWS

 

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