Il prezzo del grano duro crolla mentre il prezzo della pasta no e in alcuni casi aumenta. Come mai?/ MATTINALE 891

15 aprile 2023
  • Un illuminante post della pagina Facebook Fodiverso fa riflettere e stimola alcune riflessioni    
  • Che fine fa il fiume di grano duro estero presente in Italia?
  • Cosa fare per tutelare i produttori di grano duro di Sud Italia e Sicilia e per tutelare i consumatori 

Un illuminante post della pagina Facebook Fodiverso fa riflettere e stimola alcune riflessioni    

Un post della pagina Facebook Foodiverso affronta una questione che per il Sud e la Sicilia è centrale: il grano duro a la pasta. O meglio, il prezzo del grano duro, che negli ultimi mesi è precipitato, e il prezzo della pasta, che invece non ha subito alcun ritocco e in alcuni casi è anche cresciuto. Una stranezza, perché in Italia, a norma di legge, la pasta deve essere prodotta con il grano duro e se il prezzo del grano duro precipita – che è quanto sta accadendo – dovrebbe andare giù anche il prezzo della pasta. Ma andiamo al post: “LO STRANO CASO DEL PREZZO DELLA PASTA – Il prezzo del #grano duro utilizzato per la #pasta è inserito in un chiaro trend discendente; nei primi sei mesi dell’anno scorso aveva un prezzo di 550 €/t, che è poi sceso a 450, per toccare gli attuali 350 €/t, con prospettive di arrivare a 300 €/t. Le ragioni di questo calo sono geopolitiche, speculative, finanziarie, agronomiche etc. A questa discesa non è però seguito un aggiornamento al ribasso dei prezzi della pasta, così sollecitamente recettivi quando si tratta di adeguamento al rialzo. Pastifici industriali e Grande Distribuzione si rimpallano le responsabilità asserendo che questo mancato adeguamento dipenda da contratti già stipulati, tra le due parti, per tutto il 2023. Di certo non fanno una bella figura entrambi: già producono e vendono pasta di qualità discutibile che a questi prezzi diventa imbarazzante. Un sistema distributivo che evidenzia falle a ripetizione, in cui la #GDO, in combutta con i grandi gruppi, fa il bello e cattivo tempo, operando in regime di monopolio di fatto. L’unico dato certo è la penalizzazione di consumatori e piccoli produttori: è ora che questo stato dell’arte venga disarticolato, ma chi ha veramente interesse a farlo?“.

 

Che fine fa il fiume di grano duro estero presente in Italia?

Come sempre, le riflessioni di Foodiverso sono stimolanti. La prima considerazione che ci sentiamo di mettere per iscritto è che se il prezzo del grano duro italiano – e segnatamente del grano duro di Puglia e Sicilia, che sono le prima due Regioni italiane per la produzione di questo cereale – è andato giù e continua ad andare giù è perché, in Italia, è presente tanto grano duro estero. Per i lettori de I Nuovi Vespri non è una novità, se è vero che, già nel Settembre dello scorso anno, scrivevamo che tanto grano dell’Ucraina, invece di essere esportato in Africa e in Medio Oriente, è arrivato in Europa, per ammissione dello stesso Governo ucraino. E siccome dall’Ucraina è arrivato in Europa sia grano tenero, sia grano duro; e siccome l’Italia fa parte dell’Europa; e siccome in Italia ci sono tante industrie che lavorano il grano duro per produrre pasta, ebbene, non è inverosimile che il grano duro ucraino sia arrivato in Italia. Ricordiamo che, lo scorso Gennaio, abbiamo ripreso un articolo pubblicato dal giornale on line DURODISICILIA, dove si dice a chiare lettere che la guerra in Ucraina sta spingendo verso l’Europa grano contaminato commercializzato illegalmente in barba ai controlli. Al grano duro arrivato in Italia dall’Ucraina si somma il grano duro canadese che, dopo un periodo tragico dovuto ai cambiamenti climatici, è tornato agli ‘antichi splendori’ (per il Canada che ci guadagna, non certo per chi mangia derivati del grano canadese, sia perché il grano trasportato sulle navi non è il massimo, sia perché il grano canadese coltivato nelle aree fredde e umide di questo Paese viene fatto maturare artificialmente a colpi di glifosato, come potete leggere qui e come potete leggere qui).

 

Cosa fare per tutelare i produttori di grano duro di Sud Italia e Sicilia e per tutelare i consumatori 

Semplificando al massimo, lo scenario è il seguente. Il Sud e la Sicilia producono l’80% e forse più del grano duro italiano. I cittadini del Sud e della Sicilia consumano, in media, 35-40 kg di pasta pro capite all’anno, a differenza del Nord Italia dove il consumo di pasta è molto più basso. La grande quantità di grano duro estero presente in Italia non è arrivato al Sud e in Sicilia, dove di grano duro ce n’è tanto, ma nel Nord Italia. Di fatto – lo illustra molto bene Foodiverso – pastifici e grande distribuzione non solo fanno pagare ai cittadini del Sud e della Sicilia la pasta ad un prezzo che è rimasto invariato nonostante il prezzo del grano duro sia precipitato, ma sono anche i protagonisti di un sistema che sta penalizzando pesantemente gli agricoltori meridionali e siciliani che producono grano duro. Questi ultimi, a fronte di un aumento dei costi di produzione del 100%, vendendo il grano duro a 35-30 euro al quintale lavorano praticamente in perdita, anche se si considera l’integrazione prevista dalla PAC (Politica Agricola Comune), che per i cereali, è noto, favorisce le aziende cerealicole del Nord Italia. Arriviamo così alle considerazioni finali di Foodiverso: “L’unico dato certo è la penalizzazione di consumatori e piccoli produttori: è ora che questo stato dell’arte venga disarticolato, ma chi ha veramente interesse a farlo?”. A disarticolare questo sistema devono essere Sud e Sicilia. Un’idea potrebbe essere quella di invitare i produttori di grano duro di Sud e Sicilia a non vendere i proprio grano duro: questi dimostrerebbe – matematicamente – che le industrie della pasta italiana stanno lavorando grano duro estero. Obiettivo difficile da realizzare, perché i piccoli agricoltori preferiranno vendere comunque il proprio grano duro anche a prezzi bassi, secondo il detto che “E’ meglio perdere che straperdere”. Però qualcosa si può fare, cominciando, piano piano, ognuno nel proprio piccolo con i propri contatti, ad invitare i consumatori siciliani e delle Regioni del Sud a portare in tavola solo pasta prodotta con i grani duri delle proprie zone, insomma pasta a km zero. Ricordiamoci che il mercato della pasta, in Italia, è tenuto in piedi per il 70% da meridionali e siciliani che, come già ricordato, mangiano, in media, 35-40 kg di pasta all’anno. Già esistono iniziative come Compra Sud e Io compro siciliano o Comprare siciliano. Acquistando pasta a km zero i consumatori di Sud e Sicilia realizzano due risultati. primo risultato: danno una mano agli agricoltori e ai piccoli pastifici di Sud e Sicilia. Secondo risultato: tutelano la propria salute e soprattutto quella dei bambini, perché i grani duri del Su d e della Sicilia maturano al sole e non contengono glifosato e altre sostanze contaminanti che fanno male alla salute . Si tratta di organizzarsi, prima sulla rete e poi con i produttori di pasta locali. provando anche a organizzare manifestazioni con il volantinaggio. L’unico modo per cominciare a colpire questo sistema coloniale antimeridionale e antisiciliano consiste nel cominciare a fargli perdere quote di mercato. Ci proviamo insieme?

 

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