Sono i cambiamenti climatici che possono provocare la crisi alimentare mondiale non la guerra in Ucraina

17 maggio 2022
  • La guerra in Ucraina, al limite, ha accentuato qualche problema, ma è il clima che muta che rischia di mettere in ginocchio le agricolture del mondo
  • L’esempio dell’India
  • La petizione di Greenpeace per salvare la foresta Amazzonica, il  Pantanal e il Cerrado 
  • E l’Unione europea? Un disastro al glifosato 

La guerra in Ucraina, al limite, ha accentuato qualche problema, ma è il clima che muta che rischia di mettere in ginocchio le agricolture del mondo

Confusione. Sì, non possiamo che confessare la nostra confusione nel leggere e nel provare a commentare quello che sta succedendo nel mondo tra cambiamenti climatici e guerra in Ucraina. Il prezzo del grano e, in generale, delle derrate alimentari è in aumento dall’Ottobre dello scorso anno. Un allarme lanciato dalla FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ben prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Sembra che tutti abbiano dimenticato che il prezzo del grano, nel mondo, è aumentato perché, già due anni fa, i cambiamenti climatici cominciavano a creare problemi alle colture in alcune aree del mondo. La guerra in Ucraina ha solo amplificato un problema già presente. E la situazione peggiorerà non tanto perché l’Ucraina esporta molto meno grano, molto meno mais e molto meno olio di girasole, quanto perché i cambiamenti climatici vanno avanti. Chi scrive che la Russia, causa la guerra, non esporta cereali e altri prodotti, scrive inesattezze. Se non ci fossero di mezzo i cambiamenti climatici – che sono in corso e sono gravi – la produzione mancate di grano dell’Ucraina, di mais dell’Ucraina e, in parte, anche dell’olio di girasole dell’Ucraina sarebbero già state compensate. Cosa vogliamo dire? Che – almeno fino ad ora – non è la guerra in Ucraina che sta facendo venire meno grano, mais e olio di girasole ad alcuni Paesi del mondo, segnatamente nel Nord Africa. Sono i cambiamenti climatici che stanno facendo venire meno le forniture di grano, mais, olio di girasole, ma anche di soia.

L’esempio dell’India

L’esempio dell’India è emblematico. Questo paese – grande produttore di grano – aveva deciso di aumentare le esportazioni di grano. Ma la siccità che ha colpito questo Paese ha costretto il Governo indiano a fare marcia indietro. Cosa, questa, che creerà grandi problemi al Nord Africa, perché il grano indiano avrebbe dovuto sostituire il grano dell’Ucraina. Un altro esempio è dato dai fertilizzanti. La riduzione dell’export di fertilizzanti da parte di Cina e Russia non ha nulla a che spartire con la guerra in Ucraina. I cinesi, nell’Estate dello scorso anno, hanno deciso di ridurre l’esportazione di fertilizzanti perché, a differenza di altri Paesi, non hanno mai snobbato i cambiamenti climatici e hanno deciso di incrementare la produzione interna di grano, cereali e altre colture: da qui la decisione di tenersi i propri fertilizzanti e di esportarne meno. Idem la Russia, che ha deciso di ridurre l’esportazione di fertilizzanti: piuttosto che guadagnare nella bilancia dei pagamenti hanno preferito tenersi i fertilizzanti ed evitare ai propri agricoltori  prezzi alti dei fertilizzanti. I governanti dell’Unione europea che dicono che la crisi alimentare e l mancanza di fertilizzanti sono dovuti alla guerra in Ucraina sono solo in malafede e cercano di nascondere i propri errori. L’Unione europea, da quasi trent’anni, paga gli agricoltori per non fargli coltivare il grano (leggere Set-Aside) e non ha fatto nulla per incrementare le coltivazioni di soia e di mais perché, secondo le folli e criminali leggi del liberismo economico e del globalismo, è più conveniente importarli dal Sudamerica dove, per produrre mais e soia, distruggono la foresta amazzonica. Il risultato è che oggi, in Europa, a causa dei cambiamenti climatici, rischia di mancare il grano e mancano già soia e mais, indispensabili per gli allevamenti da animali da carne.

La petizione di Greenpeace per salvare la foresta Amazzonica, il  Pantanal e il Cerrado 

Oggi lo scenario si complica, perché i cambiamenti climatici stanno colpendo l’India, alcune aree del Sudamerica, il Nord degli Stati Uniti, alcuni Paesi dell’Africa, la Francia, la Spagna, il Nord Italia e – per restare dalle nostre parti – non sappiamo come finirà quest’anno in Sicilia, dove invece di presidiare il territorio (con riferimento alle aree verdi) con gli operai della Forestale in servizio H24 si va avanti con elicotteri, con aerei anfibi e adesso anche con i droni. In questo scenario va ricordato che in Sudamerica – da anni fornitore privilegiato di soia e mais (e, in parte, anche di grano) di mezzo mondo si pone la questione ecologica. La poine correttamente Greenpeace con una petizione da titolo: “LA FORESTA NON E’ UN DISCOUNT”. “Ogni due secondi, nel mondo, un’area di foresta grande come un campo da calcio viene rasa al suolo. L’80% della distruzione delle foreste è causata dalla produzione intensiva di soia, olio di palma, cacao e altre materie prime. Cibo che divora le foreste. Il conto alla rovescia per l’estinzione è già cominciato: aziende e governi devono smettere di trarre profitti dalla distruzione dell’ambiente”. E ancora: “La soia divora le foreste del Sudamerica – 33 milioni di tonnellate di soia e prodotti a base di soia arrivano ogni anno in Europa. La quantità maggiore di soia proviene dal Cerrado brasiliano -la savana più ricca di biodiversità del mondo- e dal Gran Chaco. la seconda foresta più grande del Sudamerica. La maggior parte di questa soia non è destinata al consumo umano, ma all’alimentazione di animali all’interno degli allevamenti intensivi. Animali destinati ad essere macellati per produrre carne o ad essere sfruttati per la produzione di prodotti lattiero caseari”. Allevamenti intensivi di animali che, detto pe inciso, sono una grande fonte di inquinamento: basti vedere cosa succede nel Nord Italia tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Ancora la petizione di GreenPeace: “L’olio di palma consuma l’Indonesia – L’olio di palma è presente in gran parte dei prodotti che troviamo nei supermercati, ed è sempre più usato anche per produrre biodiesel. Dal 2010 la produzione di questa materia prima a basso corso, è aumentata del 75%, divorando foreste e torbiere indonesiane”. Anche se, in realtà, l’Indonesia ha bloccato l’export di olio di palma. Ancora la petizione di Greenpeace: “Gli incendi stanno consumando l’Amazzonia, la più grande foresta pluviale tropicale del Pianeta: la loro portata è aggravata dai cambiamenti climatici in corso, ma l’origine è in gran parte dolosa. I roghi infatti vengono appiccati per espandere le piantagioni destinate alla produzione di mangimi o per fare spazio a pascoli di bovini. Tra agosto 2020 e luglio 2021, sono stati distrutti 13.235 km2 di Amazzonia: un aumento del tasso di deforestazione di oltre il 75% rispetto al 2018. Non solo Amazzonia: in Sudamerica anche il Pantanal (la zona umida più grande del mondo) e il Cerrado (la savana più ricca di biodiversità del Pianeta) hanno subito danni enormi a causa degli incendi sempre più devastanti. Nel 2020, 17 milioni di animali sono morti a causa degli incendi del Pantanal brasiliano”.

E l’Unione europea? Un disastro al glifosato 

Inutile prendersela solo con gli speculatori del Sudamerica che distruggono l’ambiente: se l’Occidente industrializzato, Unione europea in testa, invece di organizzarsi per produrre soia e mais li acquista a prezzi bassi dal Sudamerica, le devastazioni dell’ambiente, nello stesso Sudamerica, non si fermeranno. L’Unione europea, in materia di agricoltura, ha sbagliato quasi tutto. In pratica, la Ue è autonoma in parte dell’ortofrutta e nel vino. Per fortuna che, nonostante l’Unione europea, ha resistito il grano, che oggi è ‘attaccato’ dai cambiamenti climatici. La Ue ha sacrificato l’agricoltura agli interessi dell’industria e della chimica. Il CETA – un balordo accordo commerciale con il Canada (applicato peraltro in deroga, senza il voto di tutti i parlamenti dei 27 Paesi dell’Unione) – ha assestato un colpo durissimo all’agricoltura dell’Europa mediterranea. In più, la Germania continua a imporre il glifosato che negli Stati Uniti d’America viene combattuto a colpi di sentenze milionarie di risarcimento in favore di cittadini. In Europa il glifosato è sempre più usato in agricoltura e anche nella gestione del verde cittadino perché così piace alle multinazionali: con il glifosato aumentano e malattie e, di conseguenza, aumenta il business delle multinazionali farmaceutiche (quelle che vendono i celeberrimi ‘vaccini anti-Covid’ che non danno immunità…). Forse gli unici fattori che possono fare crollare questo sistema folle sono la guerra in Ucraina e, soprattutto, i cambiamenti climatici…

Foto Pianeta Science

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