Le trivelle nel Mediterraneo potrebbero provocare più danni di una guerra

2 marzo 2022
  • In una lettera al presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, Domenico ‘Mimmo’ Macaluso, uno dei maggiori conoscitori dei fondali del Mediterraneo, segnala i danni che le trivelle dei petrolieri potrebbero provocare andando a cercare petrolio e gas nei fondali marini dove sono presenti i fenomeni di vulcanesimo sedimentario   
  • Geo-hazard
  • Pockmarks ed idrocarburi
  • Attenzione agli speculatori che, pur di fare soldi, negano la presenza di pericoli nel fondali del Mediterraneo

di Domenico Macaluso
Ispettore onorario dell’assessorato dei Beni culturali della Regione siciliana n materia di Geologia marina 

In una lettera al presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, Domenico ‘Mimmo’ Macaluso, uno dei maggiori conoscitori dei fondali del Mediterraneo, segnala i danni che le trivelle dei petrolieri potrebbero provocare andando a cercare petrolio e gas nei fondali marini dove sono presenti i fenomeni di vulcanesimo sedimentario   

Signor Presidente, il rischio di una crisi energetica, conseguenza della crisi Russo-Ucraina, non deve rappresentare per alcune società petrolifere e speculatori senza scrupoli l’alibi per una corsa selvaggia alle prospezioni di idrocarburi, sia su terraferma che in mare, una sorta di assalto alla diligenza che non tenga conto della natura geologica delle aree oggetto delle prospezioni, con il rischio che queste attività possano causare disastri ambientali. Nello Stretto di Sicilia, alla presenza di vulcanismo che ha determinato la nascita di isole come Pantelleria e Linosa, si associa un altro fenomeno simile per le sue manifestazioni, ma geologicamente diverso: il vulcanesimo sedimentario; questo fenomeno si riconosce per la presenza nei fondali marini di particolari strutture circolari, dei crateri da esplosione di metano chiamati pockmarks. Nel corso di una crociera oceanografica effettuata nel 2006 tra Sciacca e Pantelleria, le strumentazioni di bordo rivelarono la presenza di numerosi edifici vulcanici fino a quel momento sconosciuti, adiacenti ai resti del vulcano Ferdinandea emerso nel 1831 e scomparso dopo pochi mesi; un sonar multibeam ed un side-scan sonar rivelarono oltre che la presenza di un cratere vulcanico isolato del diametro circa 110 m, prospiciente le coste di Agrigento, anche uno dei più grandi crateri da esplosione di metano di tutto il Mediterraneo, con un diametro di circa 1000 metri ed altre decine di crateri da espulsione parossistica di gas, furono rinvenuti poco a sud di Pantelleria, riportati in alcune carte batimetriche, come pockmark field.

Geo-hazard

Il rischio geologico determinato da un pockmark è legato alla esplosione del gas, ma anche alla espansione repentina del suo volume. Nel primo caso, il rischio è a carico di oleodotti o pozzi, adagiati sul fondale marino, in prossimità del luogo dell’esplosione; nel secondo caso, l’espansione di una sacca di gas in fase di risalita in superficie, può investire una piattaforma petrolifera, danneggiandola: è quanto successo nel Golfo del Messico nel 2010 alla piattaforma Deep Water Horizon della British Petroleum, la cui esplosione ha determinato la catastrofe ambientale più grave di tutti i tempi. Come si evince dalle ricerche condotte nello Stretto di Sicilia, il vulcanesimo sedimentario (che su terraferma, il 27 settembre 2014ha ucciso due fratellini alle Macalube di Aragona), è un fenomeno diffusissimo e non soltanto nel mare di Pantelleria: nel 2013, un campo di pockmars, di circa 18 km2, è stato anche individuato a poche miglia dal litorale di Gela, in prossimità di alcuni pozzi ENI.

Pockmarks ed idrocarburi

In uno studio pubblicato nel 2003, alcuni tra i più eminenti geologi mondiali, si sono espressi sulla pericolosità di queste strutture geologiche in relazione all’attività di estrazione di idrocarburi, asserendo che “… nelle prospezioni per la ricerca di idrocarburi, il vulcanesimo sedimentario rappresenta il maggior rischio geologico”. Pertanto, relativamente ai potenziali rischi rappresentati dai vulcani di fango, nella realizzazione di strutture offshore (piattaforme, oleodotti, scavi di trincee per il posizionamento di cavi sottomarini) è richiesto un accurato studio dei fondali che non sembra essere stato effettuato nello stretto di Sicilia. Nel mare di Sciacca si è verificato un evento geologicamente recente (considerati i tempi geologici), un maremoto che il 12 novembre del 1951 ha danneggiato il porto di Sciacca da mettere in relazione con l’esplosione di una sacca di gas. L’evento fu così disastroso da fare intervenire il governo in aiuto alla popolazione, come si evince dalle Cronache Parlamentari del 1951. Il vulcanesimo sedimentario, è noto nel Mediterraneo centro-orientale, mentre sono molti i vulcani di fango ancora da scoprire nel mare di Sicilia; d’altronde, i pockmarks sono comuni in aree tettonicamente dinamiche come lo stretto di Sicilia: è dunque improcrastinabile la mappatura di questi fondali, considerato che la presenza di vulcanesimo sedimentario richiede cautela per il geo-rischio insito nelle sue manifestazioni parossistiche. Analoghe condizioni di instabilità dei fondali potrebbero riscontrarsi anche nell’Adriatico e, anche in questo caso, sarebbe auspicabile un attento studio dei fondali.

Attenzione agli speculatori che, pur di fare soldi, negano la presenza di pericoli nel fondali del Mediterraneo

Ma di tutto questo non sembra esserne consapevole chi ha la responsabilità di vigilare sui rischi per la popolazione e per l’ecosistema. Nel corso della puntata di RAI 3 REPORT del 31 Ottobre del 2010, con l’ingegnere Mario Di Giovanna, abbiamo espresso il nostro disappunto su una autorizzazione rilasciata ad una società petrolifera con un capitale sociale di soli 10.000 euro, per effettuare delle prospezioni petrolifere, una società che peraltro aveva esibito degli studi di impatto ambientale falsi; in seguito, durante la puntata di Presa Diretta del 22 Febbraio 2015, ho descritto l’instabilità geologica dello Stretto di Sicilia, denunciando il tentativo di trivellare poco al largo di Pantelleria, da parte di una grande società petrolifera, che rimaneggiando ad arte delle carte batimetriche per negarne l’esistenza, dichiarava che in quel tratto di mare non erano presenti manifestazioni di vulcanesimo sedimentario o rischi geologici: ebbene, a sole 4 miglia a nord di Pantelleria, nel mese di Ottobre del 1981 si è manifestata l’eruzione sottomarina del vulcano Foerstner, con l’innalzamento della costa dell’isola di oltre un metro! Eppure nel corso di quella trasmissione c’era chi, di fronte a quelle evidenze, dichiarava che non esistono altri vulcani nel Canale di Sicilia, mentre oltre ai crateri vulcanici che abbiamo rinvenuto nel 2006 con la nave da ricerca UNIVERSITATIS, Emanuele Lodolo, ricercatore dell’Istituto Oceanografico Sperimentale di Trieste, nel 2019 in questo tratto di mare prospiciente le coste sud-occidentali della Sicilia, di vulcani ne ha scoperti altri sei! Ecco l’appello a vigilare su gente senza scrupoli che, cavalcando l’ondata emotiva e la drammaticità di questi momenti, alla stregua di chi ha festeggiato dopo il terremoto dell’Aquila o allo scoppio della pandemia, potrebbe speculare anche su una crisi energetica che potrebbe manifestarsi in seguito a questa deprecabile guerra. Si è perduto prezioso tempo nell’orientare la politica energetica mondiale verso le energie rinnovabili, ma non è il momento di piangere sul latte versato, tantomeno sul petrolio sversato: dunque non una preclusione all’utilizzo dei combustibili fossili per far fronte ad una crisi che di fatto c’è! Consapevoli e coscienti che in un momento delicato come quello che stiamo vivendo è urgente un approvvigionamento energetico, di qualunque natura esso sia, bisogna tuttavia vigilare sulle aree oggetto di prospezione, per evitare conseguenze che potrebbero essere dannose quanto una guerra!

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