Il Ministro Cingolani ha autorizzato le trivelle nell’Adriatico e a terra: non è che ora toccherà alla Sicilia?/ SERALE

7 aprile 2021
  • Il Governo Draghi inaugura la ‘Transizione ecologica’ autorizzando le trivelle nell’Adriatico e a terra. I grillini che dicono di questa particolare ‘Transizione ecologica’? 
  • Non è che adesso toccherà alla Sicilia? I due pozzi per l’estrazione di gas a Gela e il pericolo dei pockmark sottolineato da Domenico ‘Mimmo’ Macaluso, grande conoscitore dei fondali del Mediterraneo
  • La presenza dei campi di pockmark rappresenta una limitazione alla concessione di permessi di prospezione/trivellazione. L’incidente dell’Aprile 2010 della Deepwater Horizon, nel Golfo del Messico
  • I luoghi a terra della Sicilia minacciati dalle trivelle petrolifere

Il Governo Draghi inaugura la ‘Transizione ecologica’ autorizzando le trivelle nell’Adriatico e a terra. I grillini che dicono di questa particolare ‘Transizione ecologica’? 

Ricordate la ‘Transizione ecologica’ di Beppe Grillo? Il voto sulla piattaforma Rousseau, cari grillini votare sì alla partecipazione del Movimento 5 Stelle al Governo di Mario Draghi perché ci sarà la ‘Transizione ecologica’? Bene, cari elettori del Movimento 5 Stelle che avete votato sì alla partecipazione del vostro Movimento al Governo Draghi: il Ministro della ‘Transizione ecologica’, Roberto Cingolani, sta inaugurando la ‘Transizione ecologica’ autorizzando le trivelle nel mare Adriatico e anche in terra. A caccia di petrolio e, soprattutto, di gas nel nome della ‘Transizione ecologica’. E’ con questa ‘Transizione ecologica’ che Giuseppe Conte rilancerà il Movimento 5 Stelle? Che ne dice lo stesso Conte delle trivelle nell’Adriatico e in terra? E che ne dicono i senatori e i deputati grillini? E che ne dicono, soprattutto, gli elettori della piattaforma Rousseau che hanno votato sì alla partecipazione del Movimento alla ‘luminosa’ esperienza del Governo Draghi? Ma andiamo alla notizia: “Nel sito del Ministero dell’Ambiente (ribattezzato ‘Transizione ecologica’ ndr), si scopre che tra i primi provvedimenti ci sono alcune messe in produzione di alcuni giacimenti nell’Adriatico, nello specifico quello denominato ‘Teodorico’, e altre trivellazioni a terra”. Lo scrive sulla propria pagina Facebook il parlamentare nazionale, Gianluigi

Paragone. Conte, Luigi Di Maio, Roberto Fico e gli altri parlamentari grillini sono stati informati? Lo stesso Paragone ricorda l’impegno ‘ecologico’ assunto dal Ministro Cingolani: ““È intenzione del Ministero della Transizione ecologica definire il Pitesai (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, la mappa delle aree in Italia dove si possono cercare ed estrarre idrocarburi) entro i termini di legge del prossimo 30 settembre”. E ancora: ” “la collaborazione delle amministrazioni regionali” e individuare “un quadro definito da sottoporre a Vas delle aree ove è consentita l’attività ricerca ed estrazione di idrocarburi sul territorio nazionale”(qui per esteso l’articolo di Paragone).

Non è che adesso toccherà alla Sicilia? I due pozzi per l’estrazione di gas a Gela e il pericolo dei pockmark sottolineato da Domenico ‘Mimmo’ Macaluso, grande conoscitore dei fondali del Mediterraneo

Ok, si comincia con l’Adriatico. Toccherà anche alla Sicilia? Ricordiamoci che nel Mediterraneo non mancano certo gli interessi dei petrolieri. Lo scorso Dicembre tre deputati regionali del Movimento 5 stelle della commissione Ambiente Giampiero Trizzino, Stefania Campo e Stefano Zito hanno affermato: “Non esiste alcun rischio immediato di un ritorno alle trivellazioni in poche settimane di fronte alle nostre coste. Vogliamo rassicurare gli esponenti dei partiti tradizionalmente amici dei petrolieri che con il M5S al governo non si corre alcun rischio di nuove trivelle nei nostri mari”. Speriamo. Intanto ricordiamo che a due passi da Gela, come ci ricorda Domenico ‘Mimmo’ Macaluso, grande conoscitore dei fondali del Mediterraneo, sono operativi due pozzi per l’estrazione del gas: “Non è una cosa da niente – ci dice Macaluso – perché a circa sei miglia da questi pozzi ci sono i cosiddetti pockmark: e questo è un problema serio”. Cosa sono i pockmark e cosa possono provocare Macaluso lo ha illustrato in un’intervista a I Nuovi Vespri: “Nel corso di una crociera oceanografica che abbiamo effettuato nel 2006, mediante ultrasonografia multibeam – racconta Macaluso – abbiamo rinvenuto, oltre a Ferdinandea, altri 8 edifici vulcanici, fino a quel momento non noti… Nel corso di quella crociera abbiamo avuto l’intuito che tutti questi crateri potessero essere parte di un unico complesso vulcanico, che in quella occasione ho battezzato Empedocle, in memoria del filosofo e naturalista agrigentino che, secondo la tradizione, morì cadendo nel cratere dell’Etna mentre lo studiava. Il complesso vulcanico Empedocle è ufficialmente entrato a far parte della topografia ufficiale del Mediterraneo redatta dell’ONU. Ma non finisce qui, dato che in una campagna di ricerca condotta dall’Istituto di Oceonografia Sperimentale di Trieste, in un tratto di mare prospiciente le coste sud-occidentali della Sicilia, nel 2019, sono stati osservati altri sei vulcani. Non c’è nemmeno bisogno di soffermarsi troppo sugli effetti di un’eruzione sottomarina su di una piattaforma petrolifera o sugli oleodotti che sono adagiati sui nostri fondali…”.

La presenza dei campi di pockmark rappresenta una limitazione alla concessione di permessi di prospezione/trivellazione. L’incidente dell’Aprile 2010 della Deepwater Horizon, nel Golfo del Messico

“La proficua crociera del 2006 – prosegue Macaluso – rivelò, alcune miglia a sud-est rispetto al banco di Graham (Ferdinandea), anche una grande struttura circolare, localizzata ai margini di una piattaforma crustale. Una struttura giacente su batimetriche di circa 190 metri talmente estesa (quasi mille metri di diametro) che, al momento della scoperta, fu di difficile interpretazione. Decisiva per la sua identificazione fu una successiva sua esplorazione mediante un ROV, in cui si evidenziò la presenza di fumarole, una delle quali, al centro del grande cratere. Si procedette quindi al prelievo di campioni di gas, grazie al braccio articolato di cui era dotato il ROV: era metano. Il grande cratere, del diametro di circa 900 metri e profondo 50, era un grande pockmark, cioè il cratere che si forma dopo la esplosione di una sacca di metano: eravamo in presenza di un altri fenomeni geologici che nulla hanno a che vedere con i vulcani che eruttano magma, dato che in questi casi i fondali marini eruttano fango ed emettono gas, che in determinate occasioni possono esplodere: si tratta del fenomeno del vulcanesimo sedimentario, che sulla terraferma, in Sicilia, ha dato origine alle Macalube di Aragona. Questo fenomeno, che ad Aragona nel 2014 ha causato la morte di due fratellini, investiti da una esplosione di fango, sott’acqua è ancora più subdolo: la liberazione repentina ed esplosiva di una sacca di gas in mare può essere determinata, oltre che dall’aumento del volume del gas, anche dall’aumento della sua temperatura o da un terremoto. Sotto la superficie del mare il gradiente di pressione è più elevato e le esplosioni sono più violente, con la possibile formazione di un’onda anomala. La presenza di vulcanesimo sedimentario – come cosiddetti campi di pockmark – rappresenta una limitazione alla concessione di permessi di prospezione/trivellazione. E non certo a caso. Il 29 Aprile 2010 l’incidente della Deepwater Horizon, nel Golfo del Messico, uccise undici uomini ed ha provocato il disastro ambientale da idrocarburi più grande della storia, con 507 milioni di litri di petrolio versati nel Golfo del Messico. Una recente indagine ha appena fatto luce sulle cause del disastro, grazie ad un nuovo consulente, Dag Vavik, un ingegnere norvegese. Dopo avere trovato il petrolio, l’equipaggio della piattaforma da ricerca ha sigillato il pozzo in modo che potesse essere successivamente avviata l’estrazione, ma la chiusura non è avvenuta correttamente a causa di un enorme accumulo di gas nel sistema di tubazioni ed il gas è esploso. Era stato intercettato accidentalmente un giacimento di idrato di metano, che in seguito ad una sua rapida espansione ha determinato l’esplosione. Ecco il motivo delle raccomandazioni: quando si effettuano le prospezioni petrolifere bisogna accertare l’eventuale presenza di sacche di metano: proviamo ad immaginare un incidente di questo tipo, in un bacino semichiuso come il Mediterraneo!” (QUI L’INTERVISTA A ‘MIMMO’ MACALUSO PER ESTESO)

I luoghi a terra della Sicilia minacciati dalle trivelle petrolifere

Questo dovrebbe bastare per segnalare i pericoli dele trivellazioni in mare. Ma, in Sicilia, c’è anche un problema di trivellazioni a terra. Lo scorso Dicembre Ragusa News ha puntato i riflettori sulla mappa ‘ArcGIS – DGS-UNMIG – Istanze per il conferimento di nuovi permessi di ricerca e istanze per il conferimento di nuove concessioni di coltivazione’: “Zoomando col mouse scopriamo che, solo nella provincia di Ragusa, sono 5 le domande di ricerca o coltivazione (dove cioè si è già bucato) che scalpitano ai nastri di partenza. Di cui tre in mano all’Eni Mediterranea Idrocarburi: ‘Cinquevie’, che interessa un’area di 71 km2 tra Modica e il capoluogo; ‘Contrada Giardinello’, oltre 380 km2 tra Ragusa, S. Croce Camerina, Vittoria, Comiso, Acate, Chiaromonte Gulfi, Caltagirone e Mazzarrone; e il ‘Piano Lupo’, altri 62 km2 tra Acate, Caltagirone, Gela e Mazzarrone. Gli altri due sono: il giacimento ‘Bonincontro’ della compagnia spagnola Petrex, 32 km2 tra Acate e Vittoria; e l’impianto ‘Case La Rocca’ della società concessionaria Irminio, per altri 80 km2 di territorio ragusano. Finora neanche l’ombra di un piano del Ministero dello Sviluppo economico per regolare e monitorare questa raffica di scavi ed estrazioni in partenza che daranno pure lavoro alla manodopera locale, arricchendo le tasche delle multinazionali, ma rischiano anche di trasformare e deturpare per sempre specchi d’acqua e zone di verde incontaminate, come già accaduto in Basilicata: hai voglia poi a risarcire il territorio piantando campi di lavanda! Mentre l’Europa chiede di ridurre le emissioni di Co2 del 55% entro il 2030, lo Stato italiano supporta con 18 miliardi di euro l’anno le estrazione fossili altamente inquinanti, anziché virare sulle fonti energetiche alternative. E l’inquinamento costa ogni anno al nostro Paese oltre 54mila decessi e 47 miliardi di costi sanitari e sociali” (QUI UN L’ARTICOLO PER ESTESO CON L’ARTIOCLO DI RAGUDA NEWS).

Foto trivelle tratta da Life Gate

 

 

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