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Covid-19, la vaccinazione di massa è un azzardo: contrasta con il buon senso e con la precauzione

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  • Vaccino e Siero: termini utilizzati  in maniera alternativa e quindi impropria
  • Immunità di gregge e disinformazione scientifica
  • Le condizioni per arrivare all’immunità di gregge o di comunità
  • Ma cosa si sa alla fine di questo vaccino anti-Covid?
  • Non si utilizza una nuova tipologia di vaccino senza conoscere gli effetti che provoca nel medio e nel lungo termine 
  • Gli attuali vaccini anti-Covid-19 non dovrebbero essere utilizzati per vaccinazioni di massa
  • Seguire gli esempi dell’Islanda e della Nuova Zelanda
  • La speranza è che la natura sia benevola

di Marco Lo Dico
veterinario, specialista in Malattie Infettive, Profilassi e Polizia Veterinaria

Vaccino e Siero: termini utilizzati  in maniera alternativa e quindi impropria

In alcuni momenti siamo sottoposti a un bombardamento mediatico con informazioni spesso lontane dalla formazione personale, ciononostante è importante avere dei rudimenti per potere orientarsi con gli strumenti che tutti abbiamo, cioè quelli della logica e dalla volontà di approfondire temi a noi estranei. Da oltre un anno sentiamo, e diventano sempre più familiari, termini tecnici, che alcuni non avrebbero mai pensato di dovere conoscere. Chi non ha sentito in questi mesi i termini di asintomatico, infezione, virus, variante, plasma iperimmune, anticorpi monoclonali, immunità di gregge, ecc.. Per non essere portati ad avere idee diverse dalla realtà e trovarsi spaesati, spaventati e delusi, è importante che i termini e le definizioni tecniche siano comprese e comprensibili con un minimo di buona volontà. Usare in maniera alternativa, per esempio, il termine Siero con quello di Vaccino è errato e questo errore ha dei riflessi sulle aspettative che si hanno. Il Siero riferito alle malattie infettive è il siero ricavato da soggetti immunizzati che hanno gli anticorpi e che quindi vengono trasferiti, come terapia, al soggetto esposto all’infezione o infetto. Il vaccino è uno strumento profilattico (di prevenzione) che contiene l’antigene o porzione di esso ed è in grado di evocare la risposta anticorpale per la protezione del soggetto trattato. Tecnicamente e secondo la definizione ufficiale e attuale, è corretto chiamare vaccini gli attuali prodotti immunizzanti per l’immunizzazione nei confronti dell’infezione da Sars Cov 2? Questo tema lasciamolo per altre eventuali riflessioni future. Quindi da questo esempio notiamo come questi termini spesso vengono utilizzati in maniera alternativa e quindi impropria.

Immunità di gregge e disinformazione scientifica

Un concetto che sembra essere di pubblico dominio è quello di IMMUNITÀ DI GREGGE che più propriamente andrebbe definita come immunità di comunità. La nomenclatura in ambito scientifico è importante per evitare fraintendimenti fra chi ha conoscenza di una materia e per evitare cattive interpretazioni o aspettative, se proposte in modo improprio nella comunicazione e nella divulgazione ai non addetti ai lavori. Proviamo a dare una definizione comprensibile per “immunità di gregge”.
L’immunità di gregge è quella condizione nella quale i soggetti di una comunità o di una popolazione risultano avere una immunità protettiva verso un patogeno che ne impedisce o limita in maniera significativa la sua circolazione nell’ambito della popolazione. È chiaro che perché questo auspicio sia concreto debbano esplicitarsi alcune condizioni. Vediamole.

Le condizioni per arrivare all’immunità di gregge o di comunità

1. La platea dei vaccinati deve essere la più ampia possibile nella categoria di popolazione suscettibile all’infezione, tale per cui la carica infettante circolante si riduce in modo significativo trovando, nei soggetti protetti, un ostacolo alla sua diffusione.
2. L’immunità indotta sia caratterizzata da una protezione tale da indurre una immunità sterilizzante, cioè una immunità che non consenta la trasmissione nonostante la vaccinazione. Tale idea è ben conosciuta dalle autorità, meno nell’immaginario comune. Nella epidemia da Sars Cov2 in corso, questa considerazione è stata esplicitata dal Direttore generale della prevenzione del Ministero della Salute, Gianni Rezza, che ha dichiarato: “L’obiettivo non è l’immunità di comunità, ma proteggere la popolazione più a rischio mortalità e rendere gli ospedali Covid-free. Stiamo vaccinando per proteggere delle persone, non per ottenere l’immunità di comunità. Vacciniamo gli operatori sanitari per rendere covid-free gli ospedali e le persone molto anziane perché sono quelle a maggior rischio di mortalità”.
3. È necessario conoscere la categoria della popolazione più idonea a diffondere il patogeno (ad oggi non ancora chiaro per l’infezione da Sars Cov2).
4. È necessario conoscere il titolo anticorpale protettivo, cioè la dose minima di anticorpi che protegga dalla malattia e dall’infettarsi (ad oggi non certa e nota per l’infezione da Sars Cov 2).
5. È necessario conoscere la durata della protezione, cioè per quanto tempo gli anticorpi mantengono una concentrazione tale da indurre protezione nel soggetto vaccinato o che ha superato l’infezione (durata non nota né per l’immunità indotta dalla infezione naturale, né indotta dai prodotti immunizzanti oggi disponibili).
6. Che l’infezione o il vaccino siano in grado di dare memoria immunologica, cioè che un soggetto vaccinato o che ha superato l’infezione abbia la capacità di sviluppare una pronta difesa da un ulteriore contatto con il patogeno (condizione ancora non chiara e confermata).

Ma cosa si sa alla fine di questo vaccino anti-Covid?

Conoscendo queste condizioni non è possibile ipotizzare una immunità di gregge o meglio di comunità nel caso delle vaccinazioni in atto per l’infezione da Sars Cov2 con i dati e le conoscenze attuali. Alcuni dei dati essenziali li ricaveremo dalle evidenze della campagna in corso. Nella stessa autorizzazione dell’EMA all’impiego di questi vaccini è confermata la mancanza dei dati utili a ipotizzare di poter raggiungere l’immunità di comunità. Nel documento dell’EMA troviamo scritto: “Lo studio principale e altri studi aggiuntivi forniranno informazioni sulla durata della protezione, sulla capacità di prevenire dalla forma grave di COVID 19, sulla misura in cui il vaccino protegge le persone immunocompromesse, i bambini e le donne in gravidanza e sulla capacità di prevenire dalle forme asintomatiche”. Quindi da quanto si legge non sappiamo quanto dura la protezione, non sappiamo se protegge dalle forme gravi (che sarebbe l’unico motivo per indurre a sottoporsi alla vaccinazione se si è parte di una categoria a rischio o se le forme gravi fossero quantitativamente significative rispetto ai soggetti che si infettano)… non si sa se vengono protette le categorie a rischio o i soggetti fragili e non si sa neanche se si evita che i soggetti si infettino diventando portatori e diffusori comunque.

Non si utilizza una nuova tipologia di vaccino senza conoscere gli effetti che provoca nel medio e nel lungo termine 

Sempre nel documento di autorizzazione si dice: “Gli effetti indesiderati possono emergere solo quando si saranno vaccinate milioni di persone” soprattutto per quelli a medio lungo termine per i quali ovviamente non esistono dati. L’utilizzo di una nuova tipologia di vaccino, senza avere i dati degli effetti a medio lungo termine, quando si è scelto di vaccinare l’intera popolazione, è una idea che contrasta con ogni principio del buonsenso e di precauzione. I vaccini sono delle armi, ma che vanno usate secondo le caratteristiche specifiche del tipo di vaccino in uso e degli obiettivi che ci si prefigge. Si intende eradicare l’infezione o conviverci subendo il minor danno sanitario possibile? Sono questi obiettivi non sempre compatibili e non lo è di certo nella crisi pandemica che viviamo.

Gli attuali vaccini anti-Covid-19 non dovrebbero essere utilizzati per vaccinazioni di massa

I vaccini attuali a parere dello scrivente non dovrebbero essere utilizzati per campagne di vaccinazione di massa, perché è notorio che vaccini che proteggono dalla malattia, ma non dall’infezione inducono una pressione selettiva favorendo la possibilità di far emergere varianti più virulente e che comunque eludono le difese indotte, mettendo a rischio le categorie più fragili protette nei confronti di una variante, ma sempre esposti alla possibilità di infettarsi con altre “varianti di fuga” in grado di eludere l’immunità di comunità e diffondersi più facilmente. Tutte cose che già si è ampiamente tentato di illustrare in questo articolo. È da considerare che la popolazione sana e sotto i 60 anni (senza patologie pregresse riconosciute), nel 95,4% dei casi oggi, dopo essere risultata positiva ai tamponi, segue forme asintomatiche, paucisintomatiche o che non richiedono ricovero e che da vaccinati diventano, potenzialmente se infettati, portatori asintomatici e inconsapevoli e sarebbero proprio loro il maggiore rischio per i più fragili. Sempre tenendo in opportuno conto il significato reale di asintomatico, come illustrato in altro contributo (COVID-19: si fa presto a dire asintomatici!).  La campagna di vaccinazione attuale potrà senza dubbio avere un importante impatto nel ridurre le forme sintomatiche e le ospedalizzazioni nel breve e medio periodo, ma potrà essere anche il mezzo per radicare e rendere diffusa ed endemica l’infezione con più varianti circolanti contemporaneamente.

Seguire gli esempi dell’Islanda e della Nuova Zelanda

La scelta per scongiurare la possibile endemizzazione con varianti di fuga potrebbe essere la strategia che vede, dove possibile (ancora lo è, vista la bassa incidenza), il controllo e l’eradicazioni dai territori con le stesse strategie impiegate nel recente passato per altre forme infettive o seguendo l’esperienze di alcuni Paesi asiatici, l’Islanda o la Nuova Zelanda. O una strategia che veda l’impiego delle vaccinazioni solo alle categorie ad alto rischio (per le quali anche gli eventuali effetti a medio lungo periodo sono trascurabili) e per il personale sanitario destinato all’assistenza nei reparti COVID o che è delegato ad assistere le categorie a rischio. Vaccinare in maniera indiscriminata e senza il controllo costante dei vaccinati potrebbe favorire la circolazione virale delle varianti di fuga in una popolazione sana protetta ed esporre sempre più frequentemente e ad un rischio maggiore proprio le categorie più fragili.
In questo caso i soggetti vaccinati, essendo dei soggetti potenzialmente in grado di infettarsi senza manifestare i segni come i portatori asintomatici, andrebbero monitorati e controllati con una certa frequenza e regolarità per individuare gli eventuali portatori silenti. Lascia perplessi l’intenzione proposta da alcuni esponenti politici di istituire dei lasciapassare per i vaccinati o l’idea di un obbligo vaccinale per tutelare non si sa chi, se anche il vaccinato può essere veicolo della diffusione e trasmissione o potenziale selettore di varianti di fuga. A tal proposito si è tentato di analizzare tali proposte in questi due articoli: https://www.inuovivespri.it/2020/12/01/emergenza-covid-19-e-vaccini-attenzione-ai-fanatici-dei-patentini-o-dellobbligo-vaccinale/?

e https://www.inuovivespri.it/2021/03/06/il-passaporto-vaccinale-parente-stretto-dei-terrapiattisti/

La speranza è che la natura sia benevola

Il concetto di immunità di comunità per i virus influenzali, parainfluenzali o simil influenzali è ad oggi, con le conoscenze attuali, impensabile e improponibile. La speranza è che la natura sappia essere più benevola della presunzione, del cinismo e dell’avidità umana e induca una endemizzazione in senso benigno adattando questo coronavirus come altri coronavirus o altri virus che si sono adattati o in alternativa si esauriscano come successo in altre forme epidemiche in modo autonomo.nel

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