Garibaldi e i Mille in Sicilia 4/ La prima trattativa tra Stato italiano e mafia porta la firma di Giuseppe Garibaldi e Francesco Crispi

11 maggio 2020

L’Italia – ci dispiace per i politici italiani degli anni ’90 che magari pensavano di essere stati originali – nasce sotto il segno di una trattativa con la mafia siciliana, con la ‘ndrangheta calabrese e con la camorra napoletana. La Sicilia, questo sì, ha la primogenitura: sono stati  Garibaldi, Francesco Crispi, Rosolino Pilo e Giuseppe La Farina, nel 1860, a trattare con i mafiosi per ottenere il ‘permesso’ di conquistare la Sicilia per conto dei Savoia

di Manfredi Mosca

12 maggio 1860Marsala è ”liberata”. Dopo una notte all’addiaccio, i nostri eroi, “con in testa il general”, a cavallo di un baio, regalo di un marsalese, forse antenato dell’attuale sindaco, si mettono in marcia in direzione di Salemi.

“Fatto un bel tratto della consolare, si pigliò la campagna”, scrive Abba. Perché? Non certo per prudenza. Del nemico non si sente dir nulla”, precisa ancora Cesare Abba. E allora?

E’ una sosta tecnica, una visita a domicilio al feudo Rampagallo, di proprietà dei baroni Sant’Anna.

Che c’entrano i baroni? C’entrano, c’entrano.. .

Le teste pensanti della spedizione, versante siciliano, Francesco Crispi, Rosolino Pilo e Giuseppe La Farina sapevano bene che, senza l’appoggio dei baroni, non si andava da nessuna parte. Non che i baroni fossero affidabili: facevano una loro politica di sganciamento della Sicilia dallo Stato napoletano, che però prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con Torino, perché i baroni in Sicilia, erano governi dentro il Governo.

Scrive  il barone  Brancaccio:

“Si andava giornalmente nelle vicine campagne per arruolare sotto la bandiera tricolore quei contadini animosi che odiavano la tirannide; era dura necessità reclutare gente di ogni risma”.

Quella sera a Rampagallo si unì ai mille la prima vera squadra. Così li descrive Abba:

“… armati di doppiette da caccia e di picche bizzarre. Parecchi vestono pelli di pecora sopra gli altri panni. Tutti paiono gente risoluta e si sono messi con noi”.

Che gente è veramente?

Nel febbraio del 1860 Michele Amari, il marchese Torrearsa, Filippo Cordova, Mariano Stabile e Vito  D’Ondes Reggio avevano incontrato Francesco Riso e Salvatore La Placa. Erano capipopolo in grado di raggruppare gente sveglia. Poi fu necessario incontrare i baroni e poi, attraverso loro, i gabelloti di riferimento per favorire la marcia di Garibaldi. Furono incaricati di questa missione Rosolino PiloGiovanni Corrao.

Garibaldi, giunto  a Marsala, si aspettava di essere ricevuto da migliaia di persone.

Quando Abba si sveglia a Rampagallo nota che ”Bixio, già in sella, veniva da chissà dove”.

Abba è un sempliciotto, non ha ruoli importanti e non capisce. Di queste sparizioni e riapparizioni o di visite misteriose, specialmente alla vigilia di  fatti d’arme ce ne saranno più di una.

Persino Garibaldi… Ma non anticipiamo.

E’  il 14  maggio, i mille sono a Salemi. Come bene ha detto Vittorio Sgarbi, per un giorno Salemi è capitale d’Italia. Tra un proclama e l’altro, un autodecreto e una autonomina, l’eroe dei due mondi, ormai consacrato, accoglie tra le sue truppe di ‘liberatori’ le squadre dei Baroni di Sant’Anna.

Dice Abba:

“Le squadre arrivano da ogni parte, a cavallo, a piedi, a centinaia; una diavoleria. Ho veduto dei montanari armati fino ai denti con certe facce sgherre, certi occhi che paiono bocche di pistole. Tutta questa gente è condotta da gentiluomini ai quali ubbidisce devota”.

Che quadretto! E questa gente sarebbe pronta a morire per l’Italia e per Vittorio Emanuele? Ma fatemi il piacere!

Ci vediamo a Calatafimi

Fine della terza puntata/ Continua 

Foto tratta da www.storiologia.it

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