Anche Garibaldi pagò il pizzo ai mafiosi: il nuovo libro di Ignazio Coppola sulla farsa dei Mille

19 luglio 2019

Il caso ha voluto che la recensione alla nuova fatica letteraria di Ignazio Coppola (il suo libro s’intitola: “Anche Garibaldi pagò il pizzo – i picciotti di mafia nell’impresa dei Mille”) coincida con la pubblicazione – da parte di questo blog – del libro di Giuseppe Scianò, proprio della parte che riguarda i Mille a Palermo. Detto questo, il libro di Coppola è veramente bello e completo: soprattutto nel raccontare le ‘vite parallele’ di Rosolino Pilo, Giovanni Corrao e Giuseppe La Masa. E Garibaldi e i suoi? Pupi manovrati dagli inglesi (foto sopra appropriata assai) 

Con il titolo “Anche Garibaldi pagò il pizzo – i picciotti di mafia nell’impresa dei Mille”, va un volume di Ignazio Coppola, che i lettori di questo blog conoscono bene per aver letto i suoi articoli su Garibaldi e, in generale, sulla storia della Sicilia subito successiva all’unificazione italiana (o presunta tale). Il volume inaugura una nuova collana della casa editrice ‘Spazio Cultura’ di Palermo, diretta da Pasquale Hamel.

Il libro, che è stato presentato, nelle scorse settimane a Palermo, presso i   Cantieri culturali alla Zisa, è veramente un gioiello: in cento pagine sono concentrate informazioni interessanti suffragate da un’attenta bibliografia e da testimonianze importanti. Comprese la prefazione di Lucio Zinna e la postfazione di Tommaso Romano.

Con la prefazione di Lucio Zinna, letterato e scrittore noto non soltanto per la sua vena poetica e per i saggi, ma anche per la sua conoscenza di fatti storici legati alla Sicilia: basti pensare al suo volume di Ippolito Nievo, l’autore de Le confessioni di un italiano, tra i protagonisti dell’impresa dei Mille, scomparso in circostanze mai del tutto chiarite nel naufragio della nave a vapore ‘Ercole’ lungo la rotta tra Palermo e Napoli.

La postfazione è stata affidata Tommaso Romano, un autore che i nostri lettori conoscono bene, se è vero che viene spesso citato nella rubrica ‘Schegge’ di storia’ curata per il nostro blog da Giovanni Maduli. Tommaso Romano è un grande conoscitore della storia della Sicilia, oltre che fine letterato.

Volume di Ignazio Coppola, a nostro modesto avviso, è importante perché, con la forza di testimonianze precise, mette a tacere quanti – e non sono pochi – bollano come “revisionismo storico senza basi scientifiche” le verità sulla “Conquista del Sud” (per dirla con Carlo Alianello) emerse piano piano negli ultimi quarant’anni.

Coppola, quando racconta un fatto che stona con le tesi storiche ufficiali, lascia parlare scrittori e storici. Tra questi, Leonardo Sciascia e lo storico Gaetano Falzone. Davanti a questi personaggi della cultura siciliana, beh, chi demonizza le critiche a Garibaldi e all’impresa dei Mille è servito!

Né può passare la tesi – peraltro enunciata nella presentazione del libro a Palermo – che bisogna comunque evitare di distruggere i ‘miti’ del Risorgimento per evitare di minare dalle basi l’Italia di oggi.

Questa seconda tesi – tipica di chi, rispetto alla storia della Sicilia, ha deciso di mettere la testa sotto la sabbia – è illogica, oltre che immorale, perché le basi dell’Italia sono già state minate non da chi, nel Sud, cerca di ricostruire una storia negata per convenienza di parte, ma da chi, nel Nord, con la Lega, vuole continuare a derubare il Sud pensando di superare così la fase storica odierna dove il Nord Italia, piaccia o no ai leghisti, è diventato periferia della Germania.

Il titolo del libro, forse, non rende giustizia a un lavoro che, in realtà – a parte le importanti testimonianze sulla presenza della mafia nella spedizione dei Mille – è incentrato su tre figure: Rosolino Pilo, Giovanni Corrao e Giuseppe La Masa.

Anche in questo caso l’autore si basa su fonti certe, autorevoli e difficili da smentire.

Sono, questi personaggi, protagonisti dell’impresa dei Mille.

Rosolino Pilo era un nobile – quartogenito del conte di Capaci – tra i protagonisti dei moti del 1848. Nel 1860, insieme con Giovanni Corrao, era una figura importante dell’impresa dei Mille. Ma morì, colpito da una pallottola alla nuca, in circostanze mai chiarite. Anche se, in realtà, Ignazio Coppola – che ha fatto ricerche personali – sembra sia arrivato alla verità.

All’inizio si disse che Rosolino Pilo era stato colpito da una pallottola di rimbalzo sparata dai militari Duosiciliani. Tesi che è sempre stata inverosimile.

Molto più probabile che, ad assassinare Rosolino Pilo sia stato qualcuno dei suoi uomini con i quali, a quanto pare, nei giorni precedenti, aveva avuto discussioni piuttosto accese.

La terza tesi – e secondo noi è la più inverosimile di tutte – è che a sparare sia stato Giovanni Corrao, suo amico e compagno d’armi. Sparare a un amico: perché, poi? Perché, magari, era un po’ invidioso del suo compagno, nobile e di linguaggio forbito: requisiti che non erano di Giovanni Corrao, che invece era di estrazione popolare.

Ribadiamo: questa tesi non ha senso logico e, soprattutto, non sarebbe mai stata nelle ‘corde’ di Giovanni Corrao che, sicuramente, non era un letterato, ma era un uomo coraggioso e leale.

Andiamo al secondo personaggio del libro: Giovanni Corrao. Ignazio Coppola lo tratteggia in modo egregio: e noi non vogliamo togliere ai lettori il piacere di leggere la sua storia nel libro. Vi diciamo soltanto che, per tanti anni, la morte di Giovanni Corrao, o meglio, l’assassinio di questo personaggio non è stata chiarita.

Chi ha fatto luce su questo personaggio è stato lo storico Gaetano Falzone che, non a caso, Coppola cita. Corrao, un uomo alto due metri, come leggerete nel volume, fu protagonista di vita avventurosa e tribolata. Ma era una persona seria, anche se le voci lo davano vicino alle cosche mafiose.

Chi legge I Nuovi Vespri sa, noi dedichiamo molto spazio alla storia della Sicilia negli anni pre e post unificazione d’Italia. In questo periodo stiamo pubblicando, a puntate, il volume di Giuseppe Scianò “…e nel mese di maggio del 1860 la Sicilia diventò colonia” e, sempre a puntate, le Schegge di storia curate da Giovanni Maduli.

Chi ci sta seguendo sa che l’impresa dei Mille è stata solo una sceneggiata orchestrata e pagata dagli inglesi (e, in parte, anche dal Piemonte di Cavour). E sa anche che ad appoggiare i garibaldini, oltre ai mercenari ‘affittati’ per l’occasione dall’Inghilterra, c’erano anche i picciotti di mafia.

Ma i rapporti tra mafia e Garibaldi vanno visti nella giusta luce. Il nizzardo sapeva che i mafiosi erano con lui e che non avrebbe potuto fare a meno di loro. Ma i mafiosi non erano schierati con Garibaldi: erano schierati con il nuovo Stato italiano nascente, che gli avrebbe garantito l’impunità: impunità che, grosso modo, è durata fino al 1992.

Cosicché, quando Garibaldi si prepara per andare a conquistare Roma, la mafia lo mollerà, come spiega molto bene lo storico Gaetano Falzone nella sua Storia della mafia.

“La mafia – scrive Falzone – avrà il suo chiarimento di fondo proprio al momento di Aspromonte. E proprio nei giorni in cui Garibaldi raccoglie adesioni al grido di ‘Roma o morte’ che si assiste alla prima e storica scelta della mafia. La mafia, ad eccezione di Corrao e di pochi altri, abbandona nel complesso Garibaldi e preferisce il rapporto col Governo e coi deputati governativi”.

Questo, a giudizio di Corrao – tesi che Coppola fa propria – segbna la condanna a morte di Corrao.

“Giovanni Corrao – scrive Gaetano Falzone – verrà ucciso per lo ‘sgarro’ di avere fatto una scelta di campo diversa da quella fatta della mafia del tempo, tradendo quelli che erano stati sino ad allora i suoi sodali e i suoi referenti”.

Coppola va un po’ al di là e sostiene – e forse ha ragione – che Corrao aveva capito che gli ideali della ‘liberazione’ della Sicilia erano stati una presa in giro: aveva capito – e non gli mancava l’intelligenza per capirlo – di essere stato prima ‘usato’ e poi ‘posato’ e che la Sicilia non si era affatto ‘liberata’, ma era stata conquistata dai Savoia.

Covava una vendetta? Forse sì. Ignazio Coppola sostiene – che se non fosse stato ammazzato, Giovanni Corrao avrebbe guidato la ‘Rivolta del Sette e mezzo’ del 1866, la prima, vera ribellione contro i criminali, assassini e ladri dei piemontesi.

Giovanni Corrao verrà ammazzato a Palermo, con la lupara, il 3 agosto del 1863 mentre tornava a casa, sulla strada che da quartiere di Brancaccio porta ai giardini di Ciaculli: più delitto di mafia di questo non si può!

Nel libro troverete, su Corrao, altri particolari sulla sua rocambolesca sepoltura.

L’ultimo personaggio che Coppola tratteggia sempre in modo magistrale è Giuseppe La Masa al quale si deve l’entrata di Garibaldi a Palermo.

Siciliano di Trabia, La Masa era quello che teneva i rapporti con i picciotti mafiosi (e anche con gli inglesi e i massoni, aggiungiamo noi).

A differenza di Garibaldi – che solo dopo essere entrato a Palermo comincerà a realizzare bene qual era il ruolo degli inglesi – e soprattutto a differenza di Nino Bixio e di Giovanni Sirtori, che invece erano due proverbiali teste di legno, con i quali gli inglesi nemmeno parlavano – Giuseppe La Masa era informatissimo sui progetti degli inglesi, sugli interessi della massoneria e sul tradimento dei generali Duosiciliani ‘acquistati’ da inglesi e piemontesi.

Sapendo che i generali felloni del Borbone avrebbero lasciata sguarnita la parte sud orientale di Palermo – la zona di Ponte dell’Ammiraglio – La Masa consiglia Garibaldi di catapultarsi in città da lì. Bixio e Sirtori, sia perché non avevano le informazioni di La Masa, sia perché – al di là delle fesserie che poi racconteranno gli storici officiali – in Sicilia, fino a quel momento, non avendo vinto una sola battaglia, per timore di prendere un’altra ‘legnata’ si volevano ritirare ad Enna, che allora si chiamava Castrogiovanni.

Alla fine Garibaldi – questa è storia – ascolterà La Masa, mettendo da parte Bixio e Sirtori. E, grazie al tradimento dei generali Duosiciliani, entrerà ‘vittorioso’ a Palermo (l’articolo che state leggendo cade a puntino, perché, proprio in questi giorni, stiamo pubblicando i capitoli del citato libro di Giuseppe Scianò che riguardano l’entrata di Garibaldi a Palermo, altra sceneggiata governata dagli inglesi COME POTETE LEGGERE QUI).

Avendo fatto la figura di idioti, Bixio e Sirtori non perdoneranno mai a La Masa di averli fatti passare, agli occhi di Garibaldi, per quello che erano: cioè idioti!

Sia durante le successive battaglia, sia – soprattutto – negli anni successivi, sfruttando le proprie amicizie con i piemontesi, Bixio e Sirtori faranno di tutto per screditare La Masa. Aiutati, in questa miserabile opera, dai soliti storici officiali impegnati a nascondere la presenza dei picciotti di mafia nell’impresa dei Mille (una cosa simile avverrà nel 1943, quando – sempre loro! – gli storici officiali proveranno ad occultare il ruolo della mafia, siciliana e americana, nello sbarco in Sicilia: il vezzo di nascondere la verità, tra certi ‘intellettuali’ siciliani, è inveterato…).

Gliene combinano di tutti i colori, a La Masa: fatti di raro squallore che Coppola descrive con dovizia di particolari: e noi non ve li riveliamo per non togliervi il piacere della lettura del libro.

Una cosa, però, la dobbiamo dire: a un certo punto La Masa va da Garibaldi e gli dice:

“Che dobbiamo combinare con questi due ‘fanghi’?” (noi l’abbiamo tradotto alla siciliana).

L’eroe dei due mondi gli allarga le braccia… Lo fa promuovere generale (Bixio e Sirtori erano riusciti anche a bloccare la promozione di La Masa, che avrebbe dovuto essere automatica). Ma altro non può fare. Né può fare qualcosa per dare ai picciotti di mafia quel poco di merito (non molto, in verità) che avevano conquistato durante la farsa dei Mille.

Del resto, che altro poteva fare Garibaldi? Avrebbe dovuto dirgli che lui, in Sudamerica, era considerato per quello che era: e cioè un delinquente? Che faceva soldi con il mestiere che oggi si definisce di “scafista”? (COME POTETE LEGGERE QUI) Che lui, Garibaldi Peppino, non voleva più tornare nel Sud, perché temeva di essere preso sassate in testa (testuale, da una sua lettera)?

Miserie e altre miserie. Del resto, questo è stato Garibaldi; e questa è stata la farsa dei Mille…

 

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