L’Autonomia siciliana vista da Aldo Cazzullo e dal ‘Corriere della Sera’: come si fa a dice certe cose?

4 marzo 2020

Riprendiamo la risposta che il giornalista del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo, ha dato a un lettore sull’Autonomia siciliana. Da questo blasonato giornalista piemontese apprendiamo che il Separatismo siciliano si esaurì “solo quando la mafia venne a patti con la Democrazia Cristiana”. Più altre ‘perle’. Dire che non abbiamo parole è poco. Le parole per replicare a questo ‘storico’ le ha trovate Ignazio Coppola

Qualche giorno fa, esattamente giovedì 27 febbraio scorso, sul Corriere della Sera, nella rubrica Lo dico al Corriere, in risposta al lettore Fausto Romano che gli chiedeva che gli spiegasse perché la Sicilia è ancora Regione autonoma e perché ancora nessun governo ha mai deciso di sospendere dopo 70 anni questa incomprensibile grande facilitazione nei confronti della Sicilia e dei siciliani, Aldo Cazzullo, evidentemente disinformato, così rispondeva:

“Dopo la seconda guerra mondiale la Sicilia fu percorsa da spinte separatiste, che si esaurirono, solo quando la mafia venne a patti con la Democrazia Cristiana. L’autonomia fu concessa all’epoca anche ad altre Regioni di confine come: la Venezia Giulia, la Valle d’Aosta, l’Alto Adige e la Sardegna”. E alla fine concludeva la sua risposta al lettore: “Sono stato ospite di una scuola a Palermo, la preside era neo-borbonica. Un siciliano neo-borbonico è come un ghiacciolo in fiamme o un deserto gelido. Un ossimoro. I Siciliani si ribellarono ai Borbone più volte. E a liberare la Sicilia non furono certo i mille da soli. Furono i siciliani, Garibaldi si limitò ad accendere la miccia dell’insurrezione. Ma tutto questo è oggi dimenticato”.

Tutto questo caro Cazzullo non è stato dimenticato, ma travisato da mistificatori della storia. Per sua opportuna conoscenza, a proposito dell’Autonomia siciliana, si documenti e sappia che fu una conquista della Sicilia e non una concessione alla classe politica siciliana di quei tempi.

Lo Statuto siciliano si ottenne con la conquista, il 15 maggio del 1946, della piena Autonomia politica, legislativa, amministrativa e fiscale grazie alla strenua lotta di uomini integerrimi che facevano l’interesse e volevano il bene della loro terra e che rispondevano ai nomi di Giuseppe Alessi, Salvatore Aldisio, Gaspare Ambrosini, Antonio Canepa, Attilio Castrogiovanni, Ettore Cipolla, Pompeo Colajanni, Andrea Finocchiaro Aprile, Giovanni Guarino Amelia, Enrico La Loggia, Franco Restivo, Girolamo Li Causi, Mario Mineo, Vincenzo Purpura, Luigi Sturzo.

Uno Statuto, inteso appunto come conquista e non come concessione, che porta la firma di Umberto II e la controfirma del guardasigilli di allora, Palmiro Togliatti e, quindi, di fatto precedente alla Costituzione della stessa Repubblica italiana che lo recepirà per intero con legge costituzionale n° 2 del 1948.

La Regione siciliana nasce, quindi, da un accordo “pattizio” ancor prima della nascita della Repubblica tanto che, forzando il concetto e facendo proprio il pensiero di uno dei padri della nostra Autonomia e primo presidente delle Regione siciliana, Giuseppe Alessi, si può affermare che la Regione siciliana non si può definire, in senso stretto, una Regione a Statuto speciale, essendo nata prima della Repubblica e il suo Statuto precede la Costituzione repubblicana, portando la firma di Umberto II.

La Regione siciliana, per quanto detto, si può, in linea di diritto, definire non italiana, ma legata all’Italia da un patto federativo, essendo la sua Carta costitutiva, per l’appunto, precedente di quasi due anni la nascita delle Repubblica.

Lo Statuto siciliano fu dunque un accordo di origine pattizia. Pacta servanda sunt. Ma via via i patti, da parte dello Stato Italiano e da parte del potere centrale nei confronti della Regione siciliana, superata l’emergenza del separatismo, saranno puntualmente disattesi nella maggior parte dei punti fondamentali dello Statuto; e tutto con la complicità, più o meno recente, della classe politica siciliana figlia degenere dei nobili padri dell’autonomismo, che per ascarismo e servilismo al potere centrale ha avuto anch’essa interesse a disattendere lo Statuto e a tradire l’Autonomia.
Una Sicilia tradita e uno Statuto, in gran parte e per lungo tempo, disatteso e mai applicato in molte sue parti, da una classe politica siciliana ascara, servile e condiscendente al potere centrale.

Uno Stato centralista che, da parte sua, venne meno al rispetto degli accordi, disattendendo, in più parti e in più punti, a quel patto d’onore che è lo Statuto siciliano, sottoscritto tra la Sicilia e l’Italia in quel lontano 1946 e ancor prima della Costituzione della Repubblica italiana.

Uno Statuto tradito e, in buona parte, mai applicato e di questo se ne facciano, loro malgrado, una ragione i rottamatori in tredicesima che dimostrano nel migliore dei casi di non conoscere la storia della propria terra. E proprio dalla disattesa e dalla non applicazione dello Statuto, rendendosi servili ascari e accondiscendenti al potere e allo Stato centrale che non ha mai avuto interesse all’attuazione dell’Autonomia regionale, che i politici siciliani hanno fatto le loro fortune, ottenendo, per tornaconto personale, riconoscimenti e prebende a discapito dell’Autonomia della loro terra.

Ecco perché lo Statuto e l’Autonomia, che sono un patrimonio inalienabile del popolo siciliano, frutto delle sue lotte e delle sue conquiste, non vanno aboliti o svenduti, ma difesi strenuamente – come nel passato hanno fatto Piersanti Mattarella e Pio La Torre – da tutti noi e con tutte le forze, dagli attacchi strumentali da chi, come Cazzullo e come tanti altri personaggi funzionali a disegni strategici che intendono asservire l’Autonomia regionale agli interessi delle oligarchie nazionali e di una Italia che nei confronti della Sicilia è stata da sempre matrigna trattandola, ancor peggio, al rango di colonia.

Quindi per quanto detto detto e a differenza da quanto sostenuto da Aldo Cazzullo l’Autonomia siciliana non ha niente a che spartire con le autonomie della altre Regioni italiane, perché storicamente ha le sue peculiari caratteristiche e differenziazioni. Inoltre Cazzulllo, in quanto storico, dovrebbe sapere che Garibaldi non liberò ma conquistò la Sicilia grazie all’aiuto determinante della mafia (tali erano i cosiddetti “picciotti” che accorsero in suo aiuto), della massoneria, della corruzione dei generali borbonici e degli inglesi.

Il popolo siciliano fu marginale nell’impresa dei Mille e dovette anche subire il piombo della repressione garibaldina come avvenne a Bronte ad opera di Nino Bixio, mandato lì da Garibaldi per reprimere la rivolta contadina.

Quando si racconta la storia è bene, caro Cazzullo, raccontarla nel verso giusto e non mistificarla

Foto tratta da IlSussidiario.net

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