I 70 anni dell’Autonomia siciliana: verso un anniversario da dimenticare

3 maggio 2016

 

Difendere l’Autonomia siciliana, oggi, non è facile. A causa di un Governo di ‘ascari’ la Sicilia, in Italia, è ultima in tutto ciò che viene valutato positivamente e prima in tutto ciò che viene valutato negativamente. Ma abbattersi – e ci rivolgiamo soprattutto ai giovani – non serve. Non bisogna confondere le istituzioni con i ‘nani’ della politica che oggi rappresentano la nostra Regione. Mai gettare la spugna, ragazzi. Sottrarsi al dovere di combattere contro questi miserabili e accattoni significa diventare come loro…

       

Luigi Einaudi, sia da parlamentare alla Costituente, sia da ministro e infine da Presidente della Repubblica concepì un odio tutto savoiardo per l’Autonomia regionale e lo Statuto speciale della Sicilia, e non ebbe pace finché l’istituto statutario da lui ritenuto più pericoloso non fu abolito. Parlo dell’Alta Corte, il supremo organo deputato a giudicare della legittimità costituzionale delle leggi della Regione e dello Stato con riguardo alla autonomia. Fece cadere il Governo regionale presieduto da Giuseppe Alessi, il quale si oppose fino alla fine all’inglobamento dell’Alta Corte nella neonata Corte Costituzionale e finalmente si placò.

La grandezza e la potenzialità innovativa, ai limiti dell’eversione, della l’Autonomia regionale la si può giudicare meglio dai giganti che l’avversarono che non dai nani che la difesero o dai miserabili che la detrattano e questo  differenziale, questa forbice è andata allargandosi   tragicamente negli ultimi 15 anni, con l’entrata in vigore della legge sull‘elezione diretta del Presidente della Regione, e cioè da quando la sfiducia al Presidente o le sue dimissioni portano allo scioglimento dell’Assemblea regionale siciliana.

Dall’Aula la politica si è trasferita in cucina. I margini per la difesa dell’Autonomia connessi al possibile cambio di una figura presidenziale “molle”, con una più determinata, sono virtualmente esclusi. L’impossibilità di ricambio interno al Parlamento e la conseguente fossilizzazione del Parlamento stesso per il prevalere di interessi di bottega, connessi con la sopravvivenza politica di ciascun deputato, esclude infatti ormai un ricambio al rialzo, al meglio.

I sussulti morali, le posizioni politiche fatte di dignità sono sempre più rare.

Lo Stato dunque ha vinto la sua lunga battaglia, sorda e implacabile, iniziata il giorno stesso della promulgazione dello Statuto, 70 fa, per riprendersi ciò che i Siciliani avevano ottenuto con lacrime e sangue?

E’ bastato dunque allo Stato, negli ultimi anni, accentuare i livelli di politicizzazione del rapporto amministrativo con la Regione, abbatterne le residue barriere e disporne a suo piacimento?

Parrebbe di sì.

Nessuna voce si leva ormai a difesa dell’Autonomia, anzi, tutta la stampa e  gli “intellettuali allineati” trovano ormai normale che la Regione sconfessi il perché della sua Autonomia e si adegui pedissequamente al “resto della Nazione”.

Del resto, si afferma, perché mantenere in piedi un’istituzione che, non avendo  la capacità di  valorizzare le specificità regionali, è di intralcio alla sua omologazione piena della Sicilia al sistema nazionale?

Ma forse, argomenta qualcun altro, le ragioni dell’Autonomia sono venute meno per naturale  esaurimento, avendo eseguito il suo compito di omologazione al resto del Paese. Magari fosse così!

Purtroppo i numeri sono contro questa tesi. Siamo gli ultimi nel Paese in tutto ciò che viene valutato con indici positivi e i primi in quelli che vengano valutati con un indici negativi. 

Allora  forse qualche giornalista con la schiena dritta, qualche politico con la P maiuscola, qualche professore in buona fede dovrebbe porsi qualche domanda e tentare di darsi una risposta.

A quanti invece, e non sono pochi, queste verità sono note da tempo, chiedo di ritrovare non solo dentro di sé le ragioni dell’Autonomia, ma di unirsi in una comune battaglia, con la consapevolezza che noi lottiamo per evitare un male mentre tanti altri lottano per infliggercelo.

Invito i giovani ad una riflessione: non confondete le istituzioni con le persone che in un determinato momento storico le occupano e talvolta profanano. Le istituzioni sono organi viventi, sono umane: se gli uomini migliorano, migliorano le istituzioni. Non allontanatevi dalle istituzioni e dalla politica: voi siete migliori di questa politica e questa per voi è una grande responsabilità, un grave fardello. Se vi sottrarrete, sarete come loro.

 

 

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