Cari Siciliani – agricoltori, autonomisti, indipendentisti – divisi non abbiamo dove andare/ MATTINALE 305

10 marzo 2019

“In Sicilia ogni uomo è un’isola”, diceva Luigi Pirandello. E a giudicare da quello che succede oggi il grande scrittore siciliano aveva ragione. la Sicilia sta affondando, l’agricoltura siciliana sta morendo. E invece di trovare una sintesi politica – anche tra istanze e posizioni diverse – prevale, tra i Siciliani, la metafora dei porcospini del grande filosofo, Arthur Schopenhauer…

Il prossimo 30 marzo ricorderemo il 737esino anniversario della rivolta del Vespro. Rispetto agli ultimi anni, in Sicilia, registriamo qualcosa di nuovo? In parte sì: registriamo un certo risveglio e, soprattutto, tanta confusione. Manca, tanto per cambiare, la sintesi: la voglia e la capacità di mettere da parte le divisioni per arrivare a un progetto comune di rinascita della nostra Isola.

Quasi settant’anni di tragico industrialismo hanno cambiato in peggio la Sicilia. Proprio ieri abbiamo pubblicato l’appello di Don Palmiro Prisutto (CHE POTETE LEGGERE QUI), il coraggioso sacerdote che si batte per cercare di fermare l’inquinamento che continua a tormentare il ‘triangolo compreso tra Priolo, Melilli e Augusta, con il doloroso rosario di malattie e di morti.

Quando nei primi anni ’50 del secolo passato l’ingegnere Domenico La Cavera sognava di industrializzare la nostra Isola un allora giovane Pio La Torre manifestava dubbi. Vuoi perché La Torre veniva dalle lotte contadine, vuoi perché, forse, la Sicilia, la conosceva meglio di La Cavera, il grande dirigente del Pci siciliano non credeva nell’industrializzazione della nostra isola “saltando il settore primario”.

Passò la tesi di La Cavera, ma alla lunga avuto ragione Pio La Torre.

L’industria, in Sicilia – quella di La Cavera promossa a partire dalla fine degli anni ’50 del secolo passato con la SOFIS, la prima società finanziaria pubblica italiana e buona parte di quella che attualmente opera nella nostra Isola, ma anche la successiva, compresa la Fiat di Termini Imerese  – ha creato più problemi che sviluppo.

Noto – una deliziosa cittadina che è un esempio del Barocco siciliano – e la Riserva naturale di Vendicari oggi esistono solo perché, negli anni ’60, i netini persero la ‘battaglia’, chiamiamola così, contro Priolo e Melilli.

In ballo c’era il grande investimento per l’area industriale. Investiamo a Priolo e a Melilli o a due passi da Noto? Alla fine si optò per Priolo e Melilli, sia perché le pressioni erano maggiori, sia perché allora Marina di Noto era molto conosciuta e sin pensava, per questo angolo della Sicilia, al turismo (il tutto mentre Noto cadeva a pezzi).

Erano tanto felici, allora, gli abitanti di Melilli e Priolo; e, invece, tra Noto e Marina di Noto la mancata ‘industrializzazione’ venne vissuta come una sconfitta.

E’ stata la storia, nel suo incedere, a rimettere le cose a posto. Oggi a Melilli e a Priolo piangono per i danni subiti: malati, morti, inquinamento senza limiti né confini. A due passi da Priolo e Melilli, ad Augusta – che era una cittadina bellissima con un mare bellissimo, con un porto che aveva tutti i numeri per diventare uno dei più importanti d’Europa – ci hanno piazzato le raffinerie. E la rada di Augusta è stata per decenni avvelenata dal mercurio, che è ancora lì, in mare, sepolto sotto la sabbia. Mentre i netini hanno visto rinascere la loro città – Noto – che per decenni somigliava alla Palermo di oggi: tutta transenne.

Noto è rinata e i Pantani di Vendicari sono oggi sede di una delle più belle Riserve naturali della Sicilia, luogo dove si danno appuntamento ornitologi di tutto il mondo.

Pio La Torre – tornando all’agricoltura – ha avuto ragione. La Sicilia doveva diventare la ‘Capitale’ di un Mediterraneo all’insegna della pace; l’agricoltura e la piccola industria legata alla stessa agricoltura, insieme con l’artigianato di qualità, avrebbero dovuto diventare il fulcro dello sviluppo economico e sociale della Sicilia. Altro che grande industria!

Gli uomini che vengono dalla terra sono sempre quelli con i piedi per terra. Ma oggi, la nostra agricoltura, anche se fatta da uomini e da donne di buona volontà, stenta a trovare la soluzione a un problema immenso: i guasti che sta provocando la globalizzazione dell’economia.

La coscienza del problema c’è: tutti i protagonisti del mondo agricolo siciliano, ognuno per la propria parte – i produttori di grano massacrati dal grano canadese e, in generale, estero; i produttori di latte; i produttori di agrumi; i produttori di ortaggi, i produttori di olio d’oliva e via continuando con la frutta secca e altro ancora – sanno che non possono competere con chi produce a costi molto più bassi (e, spesso, utilizzando pesticidi che gli agricoltori siciliani non utilizzano più da decenni perché dannosi per la salute umana). Ma non si trova il modo unitario e concreto per affrontare il problema.

Ieri, nel porto di Catania – lo riportano qua e là i giornali di oggi – c’è stata una manifestazione di agricoltori. Erano in duecento circa, leggiamo qua e là. C’è la buona volontà. Ma ci sono ancora tante, troppi divisioni.

Quello che succede oggi nel mondo agricolo siciliano ricorda una parabola descritta in modo magistrale da Arthur Schopenhauer:

“Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore. Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione”.

Gli agricoltori siciliani capiscono che, per trovare una soluzione ai loro problemi, debbono stare uniti: ma appena i Forconi siciliani si avvicinano ad altri agricoltori – per esempio, agli agricoltori che ieri hanno manifestato a Catania – il “dolore delle spine reciproche” prende il sopravvento e si allontanano gli uni dagli altri…

E lo stesso discorso vale per la miriade di movimenti autonomisti, sicilianisti, indipendentisti che, da anni, operano in Sicilia. Ognuno è un mondo a sé. E non c’è verso di riunificarli tutti.

Nella vera storia dell’impresa dei Mille scritta da Giuseppe Scianò – che è una delle figure storiche dell’indipendentismo siciliano – proprio nella tredicesima puntata che abbiamo pubblicato oggi (CHE POTETE LEGGERE QUI), si ricorda che, già nei primi dell’800, i siciliani si ribellavano al Regno delle Due Sicilie non perché volevano consegnarsi – come purtroppo avvenne – ai predoni dei Savoia, ma perché volevano l’indipendenza.

Dopo Ruggero Settimo – finito, di fatto, ‘prigioniero’ degli inglesi a Malta, visto che gli inglesi dovevano eliminare il Regno delle Due Sicilie per fini molto diversi dall’indipendenza della Sicilia – la nostra Isola ha vissuto due momenti di speranze autonomiste.

Il primo, alla fine degli anni ’50, con l’Operazione Milazzo: al di là dei risultati scadenti di questo Governo siciliano, al di là della mafia che alla fine prese il sopravvento, allora ci fu un grande risveglio, testimoniato dalle intuizioni dell’ideologo del milazzismo, il professore Francesco Pignatone, forse l’unico esponente di questa fase storica che non aveva secondi fini e che lavorava solo nell’interesse della Sicilia.

Il secondo momento – questo bisogna riconoscerlo – è stato tra il 2005 e il 2008 – quando Raffaele Lombardo ha tirato fuori dal cilindro il Movimento per l’Autonomia siciliana. l’intuizione politica era giusta. Ma era sbagliato l’uomo-Lombardo, che ha utilizzato malissimo una fase storica che avrebbe potuto dare molto alla Sicilia.

E oggi? Salvo Fleres, già bravo parlamentare regionale, già parlamentare nazionale, ha dato vita a un movimento – Siciliani verso la costituente – presentato come autonomista. Ieri ci ha colpito un suo comunicato stampa:

“Siciliani verso la Costituente non intende essere un partito, né un’associazione chiusa, ma un’invenzione civile e politica offerta a tutti coloro che intendono unirsi in un unico ma articolato progetto comune combattere, finalmente, per sé e non essere ascari o servi. Non abbiamo nominato generali, ma elaborato un quadro di regole per dare vita ad una grande forza popolare che costruirà, giorno per giorno, la sua gerarchia, mentre va combattendo per la liberazione della Sicilia da ogni sopruso e per la rivendicazione del suo ruolo centrale in Europa e nel Mediterraneo”.

“Abbiamo predisposto uno statuto ‘anarchico’ – leggiamo ancora nel comunicato di Fleres – perché vogliamo che le cento, mille sigle che ogni giorno nascono dalla disperazione popolare rimangano ognuna a costruire valori, mentre tutti insieme potremo utilizzare il Movimento ‘Siciliani verso la costituente’ come strumento di lotta per vincere, per non essere costretti a fuggire, per sfruttare la ricchezza che la natura e la storia ci hanno regalato, mentre traditori e mercanti ci rapinano ogni giorno”.

Nel corso dell’Assemblea provinciale di Siracusa di Siciliani verso la Costituente – leggiamo sempre nel comunicato – sono state effettuate due nomine: Giancarlo Confalone coordinatore provinciale e Rosario Scirè presidente dell’Assemblea provinciale”.

“L’adesione a Siciliani verso la Costituente non implicherà l’abbandono o lo scioglimento di alcun altro movimento che abbia a cuore la Sicilia – precisa Fleres -. Al contrario, saremo contenitore delle idee e delle istanze di tutti. Insieme potremo cogliere l’ultima occasione utile a fondare una Sicilia diversa, libera ed efficiente, costruita sulla base di tre sole semplici parole: responsabilità, perché nessuno farà mai ciò che è nostro dovere fare; risorse, perché dobbiamo bene utilizzare e tutelare quelle di cui disponiamo in tutti i campi; perequazione infrastrutturale, perché vogliamo e ci spetta la stessa rete di infrastrutture delle altre regioni italiane”.

Siamo curiosi, l’ammettiamo. Ma una domanda la dobbiamo porre: questo movimento dove vuole andare a parare? Serve per fare rinascere la Sicilia o è il solito contenitore elettorale in vista delle elezioni europee?

A Palermo Vincenzo Figuccia sta dando vita a un’interessante scuola di politica all’insegna dell’autonomia siciliana. Lo seguiamo con interesse. Ma perché infarcire questa esperienza con personaggi della vecchia politica che hanno prodotto e che continuano a produrre danni?

A Messina Cateno De Luca – vulcanico sindaco della città, già bravo deputato regionale – sta ragionando su come guardare avanti per valorizzare la propria esperienza politica. Sembra voglia candidare qualcuno dei suoi – si dice una donna – nella lista di Forza Italia alle elezioni europee. E’ convinto di prenderà più voti di Berlusconi.

Domanda: perché regalare una bella esperienza a Forza Italia? De Luca pensa veramente che Berlusconi, che prende in giro il Sud Italia dal 1994, possa dare qualcosa per la Sicilia? De Luca, all’Ars, ha dato vita a battaglie politiche molto belle per la moralizzazione della vita pubblica. E ora se ne vuole andare con il presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè, che sta facendo le barricate per non ridurre i vitalizi agli ex deputati del Parlamento siciliano?

Riusciremo a combinare qualcosa di buono il 30 marzo?

 

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