Con Zingaretti e Landini PD e CGIL provano a ‘svoltare’ a sinistra. Per incontrare i grillini?

22 gennaio 2019

L’obiettivo finale dovrebbe essere un Governo Movimento 5 Stelle-PD (con l’appoggio della CGIL), mettendo fuori dalla ‘stanza dei bottoni’ la Lega di Salvini. Ma è una strada politicamente difficile, perché l’Unione europea dell’euro farà di tutto per far restare il PD (o almeno un ‘pezzo’ di questo partito) nell’area liberista. La sfida parallela di Nicola Zingaretti e Maurizio Landini. I cattolici comunque in uscita dal PD  

Il PD è al 18%, ma chi ha provocato il disastro – non parliamo solo di Matteo Renzi e dei renziani, ma di chi ha spostato l’asse di questo partito da una peraltro blanda posizione di sinistra verso gli interessi dell’Unione europea liberista – non ha alcuna intenzione di mollare. L’appello lanciato dall’ex Ministro, Carlo Calenda, già in Confindustria, personaggio legato a doppio filo all’Europa liberista in disfacimento, è un chiaro tentativo di condizionare la vita di questo disgraziato partito e delle stesse elezioni europee.

La partita si gioca anche sul fronte sindacale – con riferimento alla CGIL – che la prossima settimana, con circa due mesi di anticipo sul Partito Democratico – eleggerà il nuovo segretario generale.

Sono due partite politiche strettamente interconnesse. Con due progetti politici e sindacali diametralmente opposti. Vediamo di illustrare, per grandi linee, come stanno le cose.

Nel PD, al momento, si contano 8 candidati. Sono Nicola Zingaretti, Maurizio Martina che ‘corre’ insieme con Matteo Richetti, Francesco Boccia, Dario Corallo, Maria Saladino e il ticket Anna Ascani-Roberto Giachetti.

Chi si è chiamato fuori dalla mischia è il citato Carlo Calenda, che ha presentato un manifesto ‘europeista’ ma che, come vedremo, svolge un ruolo importante non dentro il PD, ma nel cercare di mantenere questo partito in un’area politica che non ha nulla a che vedere con la sinistra.

Se volete approfondire chi sono gli otto candidati alla segreteria del Partito Democratico POTETE LEGGERE QUESTO ARTICOLO.  Noi, invece, proviamo ad affrontare il tema sotto un altro aspetto. Partendo dalla candidatura di Nicola Zingaretti.

Zingaretti, da quello che si intuisce, ha un progetto politico piuttosto chiaro: riportare il PD sui binari della sinistra. Questo perché questo partito, con la fallimentare segreteria di Renzi, ha spostato l’asse politico verso l’Unione europea dell’euro.

Quando parliamo di Unione europea dell’euro non ci riferiamo soltanto ai liberisti che fino ad oggi hanno governato a Bruxelles, ma a qualcosa di più ampio: uno schieramento che vede insieme non soltanto l’attuale Commissione europea di stampo liberista, ma anche gli interessi finanziari, gli interessi bancari governati dalla BCE (Banca Centrale Europea) e le multinazionali.

Non sfugge agli osservatori che tutte le discusse leggi imposte dal Governo Renzi al passato Parlamento italiano (che, non a caso, era composto da ‘nominati’ eletti con la legge elettorale Porcellum) sono state ‘sussurrate’ dalla UE: dall’attacco allo Statuto dei lavoratori al Jobs Act fino alla ‘Buona scuola’, per citare solo alcuni esempi.

Per non parlare degli accordi sugli immigrati fatti transitare quasi tutti dall’Italia in cambio di ‘flessibilità’ (formula eufemistica che significa aumento del debito: guarda caso, ciò che non è stato concesso all’attuale Governo italiano gialloverde). Il nel nome della solidarietà, ma in realtà con il preciso scopo di ridurre i salari in Europa (e, con riferimento all’Italia, consentendo a cooperative ‘rosse’ e ‘bianche’ di lucrare sulla gestione dei migranti.

Sempre sotto il segno del renzismo si è consumato il sì al Parlamento europeo al CETA, un trattato commerciale internazionale che penalizza l’agricoltura in favore di industria e servizi.

Un trattato internazionale, il CETA, che penalizza soprattutto l’agricoltura del Sud Italia (COME POTETE LEGGERE QUI).

Quando Renzi – sempre per conto dell’Unione europea dell’euro – ha provato ad assestare all’Italia il colpo di maglio finale, con lo stravolgimento della Costituzione del nostro Paese (peraltro già vulnerata dal delirio antikeynesiano del Fiscal Compact), gli elettori l’hanno fermato e, con molta probabilità, gli stessi ‘eurocrati’ hanno mollato Renzi.

Hanno mollato Renzi, ma non il PD, che rimane fino ad oggi l’unico strumento politico-elettorale con il quale l’Unione europea dell’euro deve provare, quanto meno, a tenere un piede nel sistema politico italiano.

Il tentativo di Zingaretti e di chi l’appoggia (di fatto, quasi tutta l’area del vecchio Pci, a cominciare da Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, ma non soltanto loro, al netto di parte degli ex ‘miglioristi’, cioè quella che era la destra del Partito comunista italiano), come già ricordato, è di riportare a sinistra il partito. Va da sé che chi vuole il PD ancora ‘prigioniero’ dell’Europa dell’euro farà di tutto per ostacolare Zingaretti.

In questo scenario si inseriscono le elezioni europee: e lì entra in scena il già citato ex Ministro Calenda, che con il suo ‘manifesto’ per rinnovare l’Europa (non c’è bisogno di illustrare che tipo di ‘rinnovamento’ della UE sogna un esaltato dalla globalizzazione dell’economia come Calenda…) finirà inevitabilmente per condizionare la stessa partecipazione del PD alle elezioni europee di maggio.

Per chiudere questo passaggio sul PD, l’obiettivo degli avversari di Zingaretti – dentro e fuori il partito – è evitare che il Partito Democratico torni a sinistra.

Comunque andranno le cose, quello che succederà nel PD dovrebbe liberare il cattolici oggi presenti nel PD: e il riferimento non è tanto ai dirigenti cattolici di questo partito, quando agli elettori cattolici, già provati dal renzismo, che dovrebbero provare a ricollocarsi in una cornice sturziana. Ma questo è un altro argomento.

Un dibattito simile è in corso nella CGIL. Dove Maurizio Landini sta provando a dare una ‘sterzata’ a sinistra, dopo gli anni non certo esaltanti della segreteria di Susanna Camusso.

Rispetto al PD, nella CGIL la ‘lettura’ è meno netta. Ma c’è una singolarità che non sfugge agli osservatori di cose politiche: ovvero una contrapposizione tra due candidati, che è una novità per questa organizzazione sindacale.

“La CGIL – leggiamo in una nota dell’ANSA – alza il sipario sul XVIII Congresso nazionale in programma a Bari la prossima settimana, da oggi a venerdì 25 gennaio, che chiude l’era Camusso alla guida del sindacato di corso d’Italia e apre ufficialmente la sfida al vertice tra Maurizio Landini e Vincenzo Colla. Per la prima volta si va alla conta per scegliere il nuovo segretario generale. Uno scenario inedito per il sindacato”.

Uno scontro frontale tra due candidati alla segreteria non si era mai verificato nella CGIL.

“La partita per il dopo-Camusso – leggiamo sempre nel lancio dell’ANSA resta da giocare. Nello scacchiere interno gli schieramenti delle categorie sono pressoché equivalenti: con Colla ci sono lo Spi (il sindacato dei pensionati che conta 2,7 milioni di tesserati, quasi la metà degli oltre 5,5 milioni di iscritti alla Cgil, ed esprime il 25% dei delegati al congresso), la Fillea (edili), Filctem (chimici-tessili), Filt (trasporti) e Slc (telecomunicazioni). Al fianco di Landini, invece, i metalmeccanici della Fiom che ha guidato per sette anni, la Filcams (la categoria del commercio e servizi che conta il maggior numero di iscritti tra gli attivi, oltre mezzo milione), Fp (pubblico impiego), Flai (agroalimentare), Flc (scuola), Fisac (credito) e Nidil (atipici). Entrambi sostengono il documento congressuale ‘Il lavoro è’, che ha raccolto il 98% dei consensi”.

Ribadiamo: interpretare ‘politicamente’ il congresso della CGIL potrebbe sembrare una forzatura. Ma ci sono due elementi – con riferimento a Landini – che sono noti da tempo.

Landini è un sindacalista di sinistra: su questo non ci piove. E questo è il primo elemento oggettivo.

Il secondo elemento è che Landini non ha mai nascosto le sue simpatie per il ‘movimentismo’. Ed è stato tra i primi a dare una ‘lettura’ senza peli sulla lingua della sconfitta del PD alle elezioni politiche del 4 marzo dello scorso anno, quando ha detto che tanti iscritti al sindacato avevano abbandonato il PD per votare il Movimento 5 Stelle (QUI L’ARTICOLO).

Cosa vogliamo dire? Semplice: che Zingaretti e Landini, se le condizioni politiche (e, naturalmente, i numeri in Parlamento) glielo consentiranno, potrebbero dare vita a un Governo grillini-PD, mettendo all’angolo la Lega di Salvini.

Ma per fare questo, come già accennato, ci vogliono i numeri in Parlamento.

Foto tratta da dagospia.com

 

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