La Sicilia da Garibaldi a Baccei, tra storia negata, ignominia e tradimenti

12 maggio 2017

Ieri, a Palermo, nel salone della Chiesa Valdese, organizzato da questo blog, è andato in scena un convegno su Garibaldi e la sua ‘impresa dei mille’. L’occasione per raccontare alcune verità che i libri di storia continuano a negare. Tante storie nascoste. Che arrivano agli anni in cui la Sicilia conquista l’Autonomia oltraggiata dallo Stato centrale con l’aiuto degli ‘ascari’. Ma la storia, quella vera, ci dice che i Siciliani debbono cominciare a ribellarsi, contro gli storici ‘negazionisti’ e contro i Baccei di turno

Ci capita spesso di scrivere del risorgimento in Sicilia (con la erre minuscola). E, soprattutto, di Garibaldi. Torniamo a scriverne per raccontarvi di un bel convegno organizzato ieri a Palermo, nella sala della Chiesa Valdese, dal titolare di questo blog, Franco Busalacchi. E’ stata l’occasione per ‘rileggere’ la storia della Sicilia dal 1860 ad oggi. I genocidi computi da Savoia nel Sud Italia, Sicilia in testa, erano ancora chiari e noti alla fine della seconda guerra mondiale. Forse anche per questo lo Statuto autonomistico del 1946 presenta un’impostazione ‘riparazionista’.

Insomma, un convegno interessante, moderato dal giornalista Piero Fagone, decano dei cronisti parlamentari della Sicilia. Ed è stato proprio Fagone – che la storia dell’Autonomia siciliana l’ha vissuta da cronista a partire dagli anni ’50 del secolo passato, quindi dagli albori della stessa Autonomia regionale – a sottolineare il cresciuto interesse verso le tante pubblicazioni che oggi sono disponibili sui garibaldini e, in generale, sugli anni dell’unificazione italiana.

Uomo pacato, mai sopra il rigo, Fagone non si è sottratto a un giudizio politico sui 157 anni di unificazione italiana, ricordando che gli “squilibri economici e sociali tra Nord e Sud Italia si sono accentuati” dal 1860 ad oggi.

Prima dell’inizio dei lavori è stato letto un messaggio inviato dal giornalista scrittore, Pino Aprile, autore di libri, articoli e saggi (potete leggerlo qui). Suo il volume Terroni, che ha il grande merito di aver portato all’attenzione del grande pubblico le nefandezze commesse dai Savoia nel Sud Italia. Un genocidio che è stato nascosto sotto la formula di “lotta al brigantaggio”.Ignazio Coppola, Andrea Piraino,

Dove si dimostra che i veri ‘briganti’ erano i piemontesi, che si sono impossessato di un luogo – il Sud Italia – che non era messo male sotto il profilo economico e che, in ogni caso, nel 1860, era molto più civile del Piemonte e della Lombardia messi insieme.

Il primo relatore è stato un personaggio che i lettori di questo blog conoscono bene: Ignazio Coppola, appassionato di storia della Sicilia e autore di una biografia di Garibaldi dove si leggono tanti fatti – tutti rigorosamente documentati da articoli dei giornali dell’epoca e da altri documenti – che tanti storici italiani, chissà perché, hanno ignorato e continuano a ignorare.

A Coppola è toccato ripercorrere lo sbarco dei mille a Marsala. Una farsa che è stata celebrata come una cosa seria.

“L’11 maggio del 1866 – ha detto Coppola – è iniziata l’occupazione della Sicilia. Quella che è passata alla storia come l’impresa dei mille è stata, in realtà, un’operazione coloniale. I veri protagonisti sono stati gli inglesi e i piemontesi”.

Già, l’Inghilterra, che aveva interessi precisi in Sicilia e nel Mediterraneo; e il Piemonte, che aveva solo un interesse: conquistare la Sicilia e, in generale, il Sud Italia. Conquistarlo e depredarlo. Non è un caso se, ieri, Coppola ha ancora una volta ricordato il “saccheggio” del Banco di Sicilia ad opera di Garibaldi (che potete leggere qui) e dei suoi sgherri, che un’insopportabile retorica ci ha consegnato come le ‘mitiche’ camice rosse.

Ignazio Coppola ha anche ricordato le vergogne, ancora oggi tenute nascoste dagli storici officiali: e quindi fatti, personaggi e cose che non arrivano nelle scuole dove, ancora oggi, si continua a definire Garibaldi “l’Eroe dei due mondi”, offendendo la verità e l’intelligenza dei siciliani.

Ecco la sceneggiata delle due navi – i piroscafi Piemonte e Lombardo – scortate, durante la traversata, dalle navi inglesi; lo sbarco a Marsala, forse la cosa più farsesca di questa vicenda; il ruolo dei fratelli Antongini, che ‘cacciarono’ i soldi; e, soprattutto, i tradimenti dei militari borbonici, che si vendettero in cambio di danaro e prebende varie.

Nasceva l’Italia, all’insegna della corruzione e dei tradimenti: due condizioni ancora oggi presenti – eccome! – nel nostro Paese: le cronache di questi giorni, del resto, tra governi, banche e lotte intestine all’interno delle forze politiche ne sono una palmare dimostrazione.

Da sinistra: Ignazio Coppola, Piero Fagone, Andrea Piraino, Pippo Scianò, Franco Busalacchi

Coppola ha ricordato la strage di Bronte (una delle poche verità che la Repubblica italiana non è riuscita a nascondere e che noi abbiamo raccontato qui). Ed è arrivato alla conclusione che “la Sicilia,è ancora oggi, è una colonia”. Anche quest’affermazione è dimostrata dai fatti: basti pensare a Renzi che ha inviato in Sicilia Alessandro Baccei, imponendolo come assessore-commissario al Bilancio. Se oggi le ‘casse’ della regione sono vuote il merito non è solo del Governo Renzi e di Baccei, ma di un Governo regionale debole che, pur di mantenere le proprie mance personali, dà ‘in pasto’ la Sicilia al lanzichenecchi del PD romano.

Interessante l’intervento di Giuseppe ‘Pippo’ Scianò, leader storico degli Indipendentisti siciliani. Scianò ha evitato di cimentarsi con un intervento torrenziale, regalando alla platea alcune testimonianze di conoscenza e di saggezza. Ha ricordato che i piroscafi con a bordo Garibaldi e i suoi ‘mille’, oltre che dagli inglesi, vennero scortati dalle navi dall’ammiraglio Persano, quello che renderà ridicola l’Italia nascente agli occhi di tutta l’Europa rendendosi protagonista della battaglia di Lissa, quando, scrive Indro Montanelli nella sua eccezionale Storia d’Italia, la flotta di un ammiraglio austriaco “con le navi di legno, ma con la testa di ferro, sconfisse la flotta di un ammiraglio italiano con le navi di ferro, ma con la testa di legno”.

La scena da film di Totò era la seguente: avanti i due piroscafi con a bordo Garibaldi e i suoi scagnozzi; dietro Persano con le sua navi; dietro a Persano – a controllare tutto – la flotta inglese.

Ancora oggi lo sbarco viene presentato come un evento glorioso. Nulla di più falso. Intanto, contrariamente a quello che ancora raccontano, lo sbarco non venne ostacolato dalla flotta del Borbone. Fu uno sbarco ‘pattiato’, come si dice oggi. Tutti i protagonisti sapevano tutto. Ognuno recitò la parte che doveva recitare.

“A Marsala, il giorno dello sbarco, non c’era il popolo – ha ricordato Scianò -. C’era il sindaco, che aveva cambiato casacca. E non c’era una sola bandiera italiana”.

La prima mezza bandiera, non meno ‘sgarrupata’ della stessa spedizione dei ‘mille’, comparirà solo a Salemi.

Anche Scianò ha ricordato il tradimento dei generali borbonici. A cominciare dal generale Landi: “U venduto – ha detto il leader storico degli Indipendentisti siciliani -. Un venduto che prendeva ordini dai servizi segreti inglesi”.

Oggi ci si lamenta delle prebende che vengono elargite agli ex parlamentari, i ‘famigerati’ vitalizi. Scianò ha ricordato che i “pensionisti” garibaldini – cioè coloro i quali vennero ricompensati con laute pensioni solo perché avevano partecipato o applaudito ai garibaldini – mantennero questo privilegio, tramandandolo ai figli, fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, quando Mussolini decise di mettere fine a questi privilegi.

Pippo Scianò durante il suo intervento

La storia – falsa – che si legge nei libri di storia ci racconta di folle di siciliani che, festanti, accoglievano i garibaldini e li seguivano nelle ‘battaglie’ in Sicilia. Il popolo, come abbiamo già sottolineato, non c’era. Gli unici che seguirono Garibaldi erano i picciotti della mafia: mafiosi con i quali ‘l’eroe dei due mondi’ e i suoi giannizzeri erano in combutta.

Insomma: in Sicilia, nel 1860 non ci fu alcuna rivoluzione, ha detto Scianò. Al massimo “qualche invito a cena”. E c’era, soprattutto, l’invito a non provocare danni alle abitazioni e, in generale, ai luoghi dove campeggiava la scritta: “Domicilio inglese”.

Superfluo ricordare che la ‘battaglia di Calatafimi’ fu una farsa, mediata dal tradimento del generale Landi.

E il Borbone? I militari di questo Regno presenti in Sicilia – quasi tutti traditori e venduti – bombardarono Palermo per due giorni. Anche questo faceva parte della ‘recita’: bisognava fare vedere che c’era stata la ‘battaglia’…

Così come una recita – forse la recita più indegna di tutte – fu la ‘presa’ di Palermo, quando un’armata di 20 mila persone abbandonava la città.

Questo, ha raccontato Scianò, è stato il momento più difficile. Perché, su 20 mila soldati, c’era sempre il pericolo che una parte di questi militari avrebbe potuto ribellarsi agli ordini dei generali felloni: se una parte di questi soldi si fosse ribellata ai traditori, sarebbe finita in tragedia, per Garibaldi e i suoi. Fortuna volle che, per i felloni, andò tutto liscio.

L’intervento di Scianò è stato importante non tanto e non soltanto per le cose che ha detto, ma perché ci ha ricordato che, a noi Siciliani, l’Italia, da 157 anni, nasconde la verità. Dal 1860 ad oggi si continuano a scrivere bugie nei libri di storia. Generazioni su generazioni – anche frequentando le università – non sanno come sono andate le cose in Sicilia nel 1860 perché la storia officiale nega i fatti avvenuti.

Ci hanno raccontato che il Sud era povero e il Nord, invece, era ricco. Altre falsità.

“In Sicilia, in quegli anni, non c’era emigrazione – ha ricordato Scianò -. Allora, ad emigrare, era la gente del Nord Italiana. Basti pensare al libro Cuore, dove si raccontano anche le storie di gente del Nord Italia emigrata in Sudamerica”.

“I minatori siciliani stavano molto meglio dei minatori di altre parti d’Europa – ha ricordato ancora il leader degli indipendentisti. Le prime navi a vapore sono state costruite a Napoli e in Sicilia. In tutto il Mediterraneo si parlava il siciliano. In Sicilia c’erano tre università. C’era una grande reste di assistenza sociale per i più poveri. Il regno delle Due Sicilia, insomma, era uno dei più importati del mondo”.

Per oltre 150 anni ci hanno negato la storia. Oggi ci dicono: “Ancora con la storia dell’unità d’Italia? ormai sono passati 150 anni”. Ci hanno fregato e dobbiamo restare fregati. Se ci ragionate, Renzi, il PD nazionale Baccei sono su questa linea: non a caso continuano a depredare la nostra Regione e di dicono: “Via, ora vi daremo lo sviluppo”. E invece continuano a massacrare la Sicilia, grazie ai dirigenti del Partito Democratico siciliano chiamato al ruolo di collaborazionisti…

Ribellarsi no? Nel passato qualche ribellione c’è stata. Come la rivolta di Castellammare del Golfo, detta anche Rivolta dei cutrara, quando i piemontesi fucilarono anche una bambina di 9 anni, Angelina Lombardo (Coppola ha raccontato questa rivolta qui).

“A Castellammare del Golfo ci furono centinaia di morti – ha raccontato Scianò -. E migliaia di orti si contarono a Palermo durante i giorni della Rivolta del sette e mezzo (sempre il nostro Coppola ne ha scritto qui).

Anche le rivolte dei Fasci siciliani dei lavoratori. “Questa rivolta viene ricordata perché c’era una componente socialista – ha ricordato Scianò -. Ma in questo movimento c’è stata anche una componente sicilianista”. Della quale non si parla mai, aggiungiamo noi. Chissà perché.

Andrea Piraino, docente di Diritto Costituzionale all’università di Palermo, si è soffermato sugli anni in cui la Sicilia conquistò l’Autonomia. Ricordando che, in sede di Consulta regionale – il consesso dove venne discusso e scritto lo Statuto autonomistico siciliano – si fronteggiavano due progetti di Autonomia. Il primo era imperniato sul già citato ‘riparazionismo’, voluto dall’avvocato e politico, Errico La Loggia, e dal giurista Giovanni Salemi. Il secondo era patrocinato dall’allora giovane studioso marxisista, Mario Mineo. Il secondo modello era imperniato sulla programmazione.

La programmazione – che forse negli anni ’40 del secolo passato si chiamava pianificazione – non ha avuto molta fortuna in Sicilia. Non l’ha avuta con lo Statuto, se è vero che passò la linea ‘riparazionista’. E non l’ha avuta negli anni successivi. Solo per un periodo la Regione siciliana ha adottato la programmazione, ha ricordato il professore Piraino: e precisamente quando alla presidenza della Regione c’era Piersanti Mattarella, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 del secolo passato.

Andrea Piraino

Allora si registrò anche un’alleanza politica tra le regioni del Sud Italia.

“Quel periodo – ha ricordato Piraino – è stato l’unico in cui si è ridotto il divario economico tra il Mezzogiorno e il centro Nord Italia”.

Piraino ha colto una contraddizione che è tutta nella storia politica dell’Autonomia siciliana, la dove i partiti politici siciliani erano (e in buona parte sono ancora oggi) collegati ai partiti nazionali:

“Attraverso i partiti nazionali la Sicilia è stata consegnata allo Stato”.

Che fare? Piraino non è mai stato innamorato dello Statuto siciliano: “Il Diritto – ha ricordato citando Kelsen – è dinamico. Oggi il problema è: quale modello di governance serve alla Sicilia?”. A suo avviso, oggi bisogna guardare ai territori e alle comunità. Con un’apertura alle aree del Mediterraneo”.

Le conclusioni dell’incontro sono state affidate all’organizzatore del convegno, Franco Busalacchi, titolare di questo blog.

Busalacchi è partito da Machiavelli: come governare un Paese occupato? Due le opzioni: o con un’occupazione militare, o con un governo-fantoccio.

Il Sud Italia ha provato entrambi. dagli anni dell’unificazione italiana (o presunta tale) fino al 1943 il Mezzogiorno d’Italia è stato governato con il braccio armato. Busalacchi ha ricordato il ruolo dei Prefetti:

“Gaetano Salvemini – ha detto il titolare de I Nuovi Vespri – ci ha raccontato come funzionava il sistema dei Prefetti”.

C’è un volume, oggi ancora attuale, Il Ministro della malavita, che Salvemini ha dedicato al sistema di potere di Giolitti, altro personaggio storico celebrato come ‘statista’, che nel Sud Italia governava a colpi di brogli elettorali.

Oltre all’occupazione militare, come già ricordato, un Paese occupato può essere gestito con governi-fantoccio. In questo caso servono figure ‘importanti’: gli ‘ascari.

Storicamente, gli ‘ascari’ erano soldati mercenari eritrei dell’Africa orientale italiana. In pratica, erano espressione di una nazione occupata da se stessa.

La parola ‘ascari’ viene anche utilizzata per indicare i politici del Sud Italia che si mettono al servizio di chi penalizza lo stesso Sud. La Sicilia, ad esempio, è ancora oggi piena di ‘ascari’. Basti pensare ai parlamentari dell’Ars che, pur sapendo che Baccei è stato mandato in Sicilia per penalizzare la nostra Regione, invece di combatterlo hanno agevolato il suo gioco.

Franco Busalacchi

“Quante volte, in tutti questi anni, qui in Sicilia – ha ricordato Busalacchi – abbiamo sentito dire ai politici: ‘Si deciderà tutto a Roma’. E’ stata ed è ancora una regola della politica ascara. Dobbiamo rompere con questo modo di fare. Per rompere non c’è che una via: invitare i Siciliani a non votare più per i partiti nazionali”.

Busalacchi ha concluso il suo intervento ricordando il blocco sociale di 800 mila elettori tenuti assieme con le clientele (qui potete leggere un approfondimento). Oggi, in realtà, questo blocco si è un po’ sfaldato. Rimane in piedi non tanto per le risorse finanziare reali, che non ci sono più, quanto per le promesse, che ancora fanno breccia.

E’ il caso dei precari. La vecchia politica promette ancora ‘stabilizzazioni’ e continua ad avere credito perché i primi a non capire come funziona il gioco sono proprio gli stessi precari. E’ inutile spiegare a queste persone che se la vecchia politica lo dovesse ‘stabilizzare’ non li controllerebbe più…

Qui invece il messaggio di Pino Aprile in occasione del convegno di ieri. 

 

 

 

 

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