Le ‘trombature’ di Orlando, Bianco e Accorinti a sindaci metropolitani di Palermo, Catania e Messina: cosa c’è sotto?

2 aprile 2016

Il Governo Crocetta, che si è ‘sbracato’ al cospetto di Roma, mettendo sotto i piedi lo Statuto siciliano, si è rifiutato, per la seconda volta, di seguire le indicazioni della legge nazionale Delrio sui sindaci metropolitani. Appoggiato, in questo, dall’Ars. Perché la politica siciliana si rifiuta, quasi all’unisono, di dare un vantaggio a Orlando, Bianco e Accorinti? Proviamo a fornire qualche spiegazione

 

Sta passando quasi sotto silenzio la ‘trombatura’ politica dei sindaci di Palermo, Catania e Messina che, legge Delrio alla mano, sarebbero dovuti diventare, automaticamente, i sindaci metropolitani delle tre più grandi città della Sicilia. Proviamo a raccontare cosa ci potrebbe essere dietro tale vicenda.

Con’è noto, con la riforma delle nove ex Province siciliane, oltre ai Consorzi di Comuni, sono state istituite le città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. La genesi risale al 1990, quando, con la legge nazionale numero 142, vengono istituite le città metropolitane e i relativi sindaci metropolitani.

Siamo davanti a un caso classico del Legislatore che va troppo avanti rispetto alla politica del proprio tempo.

Se andiamo a rileggere oggi la legge 142 ci rendiamo conto che le tre città metropolitane e, in generale, le città metropolitane istituite nel resto d’Italia hanno poco o punto a che vedere con le previsioni legislative dell’ormai lontano 1990. Allora, in Italia c’era, come si usa dire oggi, “la politica”, e le leggi importanti erano di ampio respiro.

Le leggi di oggi – comprese quelle costituzionali – non hanno alcun ‘respiro’ politico e costituzionale, ma sono pensate e approvate per fronteggiare problemi di bilancio provocati da vincoli comunitari, spesso irragionevoli.

Nel caso delle tre città metropolitane siciliane istituite dalla cosiddetta ‘riforma’ delle Province ci sono, addirittura, aspetti paradossali e assurdi. Come si può pensare a un’area metropolitana facendo coincidere i confini delle vecchie Province con la città metropolitana? Che cosa hanno di ‘metropolitano’ i centri delle Madonie, nel Palermitano? Cosa c’è di ‘metropolitano’ nei paesi di Catania arroccati sull’Etna? Cos’ha di ‘metropolitano’ Mongiudìffi Melia, nel Messinese?

E’ evidente che la legge che ha istituito in Sicilia le città metropolitane di Palermo, Catania e Messina – forse la peggiore legge regionale della storia dell’Autonomia siciliana – non è stata ‘pensata’: o meglio, è stata approvata a ‘sacco d’ossa’ per finalità che nulla hanno a che vedere con l’idea stessa di città metropolitana e, soprattutto, nulla hanno a che vedere con lo spirito dell’articolo 15 dello Statuto.

L’articolo 15 dello Statuto è importante. Punta non all’abolizione dell’ente intermedio tra Regione e Comuni, ma al superamento dei confini territoriali delle vecchie Province, ‘disegnate’, in alcuni casi’ per esigenze ‘militari’, dai generali inviati in Sicilia da casa Savoia, all’indomani della ‘presunta’ unificazione italiana, per reprimere non il ‘brigantaggio’, ma migliaia di contadini siciliani che si ribellavano a una pessima dinastia – i già citati Savoia – alla quale quel brigante, lui sì, di Garibaldi e un gruppo di massoni avevano consegnato la Sicilia.

Sui “Cialtroni, incolti e ‘sgarrupati’ personaggi di casa Savoia” ha scritto bene Franco Busalacchi: articolo che potete leggere qui.

L’articolo 15 dello Statuto dà ai Comuni siciliani – e non alla Regione! – la facoltà di dare vita a “liberi Consorzi di Comuni”. Dunque il superamento delle vecchie Province e l’inevitabile abolizione delle Prefetture. Tutto questo non sta avvenendo. I Comuni non hanno alcuna libertà di decidere, perché sono stati privati di risorse finanziarie e – anche se nella prima commissione legislativa dell’Ars non c’è ancora un disegno di legge apposito – si parla già di accorpamento dei Comuni.

In alcuni casi accorpare i Comuni potrebbe anche essere giusto. Ma questo deve avvenire nello spirito dell’articolo 15 dello Statuto, non sotto costrizione!

Torniamo alle tre città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. La legge nazionale Delrio – che peraltro ha suscitato malumori in mezza Italia – prevede che i sindaci dei capoluoghi di provincia diventino, automaticamente, sindaci metropolitani. Ma l’Assemblea regionale siciliana, per la seconda volta, ha detto no a tale impostazione. E ha ribadito che i tre sindaci metropolitani delle tre città dell’Isola verranno individuati con elezione di secondo grado, anche se ponderata.

Insomma, saranno i sindaci e i consiglieri comunali dei Comuni di ognuna delle tre province ad eleggere (tenendo conto del numero di abitanti di ogni Comune) i sindaci metropolitani di Palermo, Catania e Messina.

Non è da escludere che il Governo Renzi – che è un Governo di prepotenti – impugni per la seconda volta la legge siciliana. Ma non è da escludere che, questa volta, la Regione di Rosario Crocetta porti la questione innanzi la Corte Costituzionale. Se così non fosse l’approvazione, per la seconda volta, della legge da parte dell’Ars non avrebbe senso.

Di fatto, la scelta operata dal Parlamento siciliano, come ricordato all’inizio, impedirà ai sindaci di Palermo, Catania e Messina – rispettivamente, Leoluca Orlando, Enzo Bianco e Renato Accorinti – di diventare sindaci metropolitani.

E’ evidente che l’attuale politica siciliana non ha voluto dare tutto questo potere – e soprattutto il controllo di ingenti risorse finanziarie – a questi tre personaggi.

Di fatto, applicando in Sicilia la legge Delrio, Orlando, Bianco e Accorinti sarebbero diventati i ‘capi’ delle rispettive ex Province. Un potere enorme, se consideriamo che le città metropolitane, una volta istituite, hanno la possibilità di intercettare linee finanziarie nazionali e fondi europei della Programmazione 2014-2020.

Insomma, Orlando, Bianco e Accorinti avrebbero potuto affrontare le prossime elezioni ‘in carrozza’. Usando questo grande potere per ricandidarsi (è il caso di Orlando a Palermo e Accorinti a Messina), o per raggiungere altri obiettivi nel caso di Bianco (che non ha mai fatto mistero di puntare alla presidenza della Regione.

Nel caso di Orlando e di Bianco, nel PD siciliano, c’è una sorta di questione generazionale: i due attuali sindaci di Palermo e Catania sono sulla breccia dalla metà degli anni ’80 del secolo passato: non c’è da stupirsi se nel Partito Democratico c’è chi vorrebbe mandarli in ‘pensione’.

A Palermo, ad esempio, la poltrona di sindaco fa gola all’assessore regionale Antonello Cracolici, anche se con la condanna della Corte dei Conti (dovrà restituire all’Erario circa 346 mila Euro, come potete leggere qui) le sue aspirazioni dovrebbero essersi oggettivamente ridotte.

A Messina la vecchia politica e la Massoneria (che in questa città è fortissima) non hanno mai ‘digerito’ il colpo di testa che ha portato i messinesi ad eleggere sindaco Renato Accorinti. In una realtà italiana dove molti ex comunisti ‘duri e puri’ sono diventati uguali, se non peggiori, dei politici-politicanti (basti ricordare l’esperienza non esaltante di Nicki Vendola in Puglia, o i disastri che Rifondazione comunista sta combinando a Palermo con la tragicomica vicenda della ZTL da parte dell’assessore comunale rifondarolo Giusto Catania: come vi abbiamo raccontato qui), Accorinti, con i suoi modi sbarazzini, costituisce un’anomalia.

Tra l’altro, a quanto si sussurra, sulla poltrona di sindaco di Messina avrebbe gettato gli occhi l’attuale presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Giovanni Ardizzone. Che, ovviamente, verrebbe sostenuto dal suo grande amico, Giampiero D’Alia. Se ne deve dedurre che Ardizzone – che quando vuole le cose all’Ars le impone – sarà stato contento della decisione di sala d’Ercole di non concedere al suo avversario il vantaggio di diventare sindaco metropolitano di Messina.

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