Stato sociale 5/ I costi sociali? Paga la collettività. Esempio: i morti di amianto

24 aprile 2018

E’ di questi giorni l’assoluzione di industriali che, indirettamente, ovvero a causa dei processi di produzione industriale, hanno causato i morti di amianto. Questo è un caso tipico di costi sociali scaricati sulla collettività. Pagano le persone. E tutto è a ‘norma di legge’… 

Uno Stato che soppesi e valuti con intelligenza e lungimiranza il rapporto tra i costi per la collettività e i benefici di un’intrapresa industriale deve fare un’attenta analisi e una valutazione dei costi sociali delle stesse. Se non procede preventivamente a tale operazione possono esserci due cause. Una, appunto, dovuta alla miopia dei governati e ad anche alla colpevole inosservanza dei precetti costituzionali (e questo vale per il nostro Paese) nei primi 10 articoli della Costituzione italiana che definiscono e costruiscono lo STATO SOCIALE. Può esservi un’altra e ben più grave ragione: la corruzione dei politici che vengono addomesticati con robuste mazzette e che chiudono tutti e due gli occhi sulla inosservanza da parte delle imprese ai precetti normativi.

L’Italia è ricchissima di questi esempi ma difficilmente è possibile risalire agli autori di fatti e omissioni i cui effetti dannosi (es. amianto) si possono valutare spesso quando chi li ha causati è addirittura morto, ricco e felice. Ecco perché, alla fine, di tanti processi e tanti gradi di giurisdizione tutti i responsabili vengono puntualmente assolti.

Analizziamo noi a beneficio di politici onesti e corretti (prima o poi verranno) le “controindicazioni” dell’industrializzazione e dello “sviluppo” liberista prima e neoliberista poi, che nel nostro territorio risultano particolarmente evidenti e allarmanti, e quindi riflettiamo sulla la categoria di analisi economica dei Costi Sociali.

Per una definizione dei costi sociali ci affidiamo R.W. Kapp:

“Il termine “costi sociali” riguarda tutte le perdite (danni), dirette e indirette, sostenute (subiti) da terzi o dal pubblico in generale come risultato di attività economiche non regolate. Queste perdite sociali possono prendere la forma di danni alla salute umana; possono trovare la propria espressione nella distruzione o deterioramento di valori di proprietà e nel prematuro esaurimento della ricchezza naturale; possono anche essere evidenziati in un indebolimento di valori meno tangibili”.

Quali sono le fonti dei costi sociali?

“I costi sociali hanno diverse origini. Alcuni hanno chiaramente la loro origine in industrie specifiche e possono essere ricondotti a particolari processi produttivi e pratiche di affari. Altri sono il risultato dell’interazione di un gran numero di fattori che rendono la causa complessa e frequentemente frutto di processi cumulativi” (e aggiungiamo noi, fonte di provvide e generose assoluzioni giudiziarie).

Non tutti i costi o danni sostenuti dalla società sono però costi sociali, per esserlo devono avere alcune caratteristiche:

“Deve essere possibile per le aziende eluderli, devono essere parte del corso delle attività produttive e essere trasferibili a terzi o all’intera comunità”.

Quindi i costi sociali non sono semplicemente dei costi che la collettività o alcuni individui devono assumersi (come potrebbero essere, per fare un solo esempio, le spese di ricostruzione dopo un terremoto), ma sono danni causati scientemente dall’attività produttiva industriale, attività finalizzata al guadagno in un sistema capitalistico liberista nel quale si privatizzano e massimizzano gli interessi e si socializzano le perdite:

“In quanto i costi sociali sono il risultato della minimizzazione dei costi interni dell’impresa è possibile considerare l’intero processo come evidenza di redistribuzione di redditi. Nel trasferire parte dei costi di produzione su terzi o sull’intera comunità i produttori sono in grado di appropriarsi di una maggiore fetta del prodotto nazionale (e oggi del capitale internazionale – finanziario) rispetto a quel che avrebbero potuto in caso contrario”.

Da questa prospettiva i costi sociali sono per l’impresa un debito con la collettività non pagato o non pagabile. Non pagabile per due ragioni: la prima è che non tutti i costi sociali sono traducibili in denaro, la seconda è che pagando questo debito, nella maggior parte dei casi, verrebbe meno la convenienza, in altre parole “l’economicità”, della produzione stessa:

“…i costi sociali sono intrinsecamente connessi con le operazioni dell’economia di mercato nel suo insieme, come, per esempio, lo sfruttamento competitivo delle risorse energetiche […]. Non ci sono basi per credere che le esistenti leggi o regolamentazioni create per arginare la problematica dei costi sociali offrano strumenti in grado di garantire che questi costi di produzione siano adeguatamente stimati rispetto alle spese imprenditoriali. Questo perché il sistema delle imprese d’affari si basa proprio su questa economia di costi non pagati, ‘non pagati’ in quanto una parte sostanziale dei costi di produzione rimangono esclusi dal calcolo delle spese di produzione”.

L’attualità dell’analisi di Kapp dimostra e nasce dal fatto che la “questione costi sociali” non è oggi certo risolta ed è anzi peggiorata, visto che è aumentata la portata e l’entità di tali costi (l’esempio più calzante è quello dei mutamenti climatici causati dal surriscaldamento globale), e visto che sono al contrario diminuite, dopo le politiche neoliberiste/thatcheriane e il contestuale smantellamento dello Stato sociale, le misure prese dagli Stati per risolverli.

Si può quindi dire senza timore di essere smentiti che l’economia di mercato non è stata e non è in grado di eliminare o anche solo di misurare oggettivamente i costi sociali. Da cosa deriva questa impossibilità? Ormai dovrebbe essere chiaro che non può esistere una forma di capitalismo senza costi sociali, i costi sociali sono l’altra faccia di un’economia di mercato. Non solo perché i costi sociali fatti ricadere sull’intera comunità: sono sostanziali e non certo marginali, né solamente perché il loro rigetto rappresenta il più tipico e regolare “comportamento” delle imprese. Ma soprattutto perché i costi sociali sono la condizione sine qua non dell’impresa d’affari: infatti è solo evitando di pagare o quantificare tali costi che il sistema di produzione capitalistico è economicamente vantaggioso:
ecco perché è molto più conveniente e meno dispendioso per le imprese pagare i politici (TUTTI I POLITICI), che intervenire sui processi di lavorazione per renderli ecologicamente sostenibili.

Ecco quindi l’interesse dei politici allo sviluppo delle grandi industrie, ecco come si arriva alle assoluzioni indiscriminate e inaccettabili per la coscienza civile. Tutti soldi risparmiati rispetto ai filtri, controllo di scarichi e simili scocciature.

Foto tratta da notizie.tiscali.it

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