Garibaldi in Sud America: un corsaro, predone e saccheggiatore al servizio dei potenti

16 marzo 2017

Altro che ‘eroe dei due mondi’, come lo definiscono gli storici di regime italiani. Nelle puntate precedenti di questo ‘viaggio’ nella vita di Peppino Garibaldi, il nostro Ignazio Coppola ha descritto i danni e i saccheggi di questo personaggio ai danni della Sicilia in particolare e del Sud Italia in generale. Oggi vi raccontiamo le nefandezze commesse da questo signore in Sud America…

di Ignazio Coppola

Giuseppe Garibaldi avventuriero giramondo che nel corso della sua esistenza, sia nella sfera pubblica che privata, riuscì come abbiamo visto in precedenti inchieste pubblicate su questo blog e come continueremo a vedere in seguito a combinarne di cotte e di crude. Girando il mondo in lungo e in largo, fu più volte fuggiasco e cambiò spesso identità per sottrarsi ai propri inseguitori, come quando, nell’agosto del 1835, s’imbarcò per la prima volta in direzione dell’America del Sud, precisamente verso Rio de Janeiro, sotto il falso nome di Giuseppe Pane. E fu lì che iniziò la sua fulgida carriera di “eroe dei due mondi”.

Già, un “eroe dei due mondi” che si pose, da buon mercenario, al servizio dei potenti di turno e, in particolare, di Bento Conçalves, un latifondista e ricco allevatore che, per biechi interessi, più che per fulgidi ideali, si era ribellato al Brasile proclamandosi presidente della repubblica del Rio Grande do Sul, combattendo una sua sporca guerra e mandando allo sbaraglio i farrapos (gli straccioni): contadini, pastori e schiavi negri.

Garibaldi non trovò di meglio che entrare a libro paga del presidente Conçalves e ottenere da lui la patente di corsaro. Ossia, nel senso più letterale e meno nobile del termine, ebbe l’autorizzazione come avvenne in più occasioni a saccheggiare, sequestrare o depredare imbarcazioni per conto della Repubblica Riograndese, in cambio di buona parte del bottino delle navi catturate. Non poteva esserci per il nostro “eroe” esordio più onorevole nel Nuovo Mondo.

Dopo questa esperienza di predone, si rifugiò per breve tempo in Uraguay e Argentina per poi ritornare a combattere agli ordini della Repubblica Riograndese. È in questo periodo, nel novembre del 1839, che Garibaldi si macchiò – come, tra l’altro, ricorda nelle proprie memorie – di crimini, come si direbbe oggi, contro l’Umanità. Per esempio, la strage di Imaurì, una cittadina dello Stato di Santa Caterina i cui abitanti, rimasti fedeli al Brasile, avevano la sola colpa di non aver alzato sulla cittadina la bandiera riograndese e, per questo, andavano esemplarmente puniti.

Per questo ingrato compito, come racconta nelle sue memorie, Garibaldi vi fu inviato dal generale Canabarro. La città fu saccheggiata, uomini e donne e bambini massacrati e, a quanto pare, alla fine Garibaldi non disdegnò il ricco bottino frutto del saccheggio. Del resto, analogo avvenimento si ripeterà con altrettanta barbarie molti anni dopo in Sicilia, quando, proclamatosi dittatore dell’Isola, manderà Bixio a reprimere la rivolta di Bronte, per non dispiacere agli inglesi, e a passare per le armi e mettendo al muro innocenti e inermi cittadini, colpevoli di reclamare le terre che il dittatore aveva promesso ai siciliani all’atto del suo sbarco sull’Isola.

Anche in Sicilia fu dunque un massacro per dare l’esempio. A Imaurì fu Canabarro a inviare Garibaldi. A Bronte fu Garibaldi a mandare Bixio. Invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia. L’ ‘eroe dei due mondi’, alla luce di tutto questo, certo a ragion veduta non può essere definito come ce lo hanno sempre dipinto l’apostolo delle genti e della fratellanza universale.

Scrive Giuseppe Guerzoni, segretario e biografo di Garibaldi, a proposito della sua avventurosa e enigmatica permanenza in Sudamerica:

“Costretto a vivere la vita nomade e quasi selvaggia dei gauchos e dei rastreadores, mescolato dalla sorte alla schiuma degli avventurieri e dei fuorilegge di tutte le stirpi, cresciuto suo malgrado alla scuola delle rivoluzioni e delle guerre perpetue, travolto nella mischia delle fazioni feroci e sanguinarie, riportando da quel consorzio qualche difetto e qualche stranezza”.

Difetti e stranezze che furono molte nella vita del nizzardo Questo, quindi, è quanto sostiene Guerzoni, a proposito delle poco raccomandabili frequentazioni di Garibaldi in Sudamerica, avvalorate da quanto abbiamo visto a proposito dei suoi difetti e delle sue stranezze: eredità e commistioni che gli rimarranno per il futuro. Del resto, a proposito della mescolanza alla schiuma degli avventurieri e dei fuorilegge di tutte le specie ricordati da Guerzoni, li ritroviamo a fianco e agli ordini di Garibaldi nelle stragi e nel saccheggio di Imaurì. Ecco quanto a tal riguardo il nostro stesso eroe riporta testualmente nelle sue memorie. E se lo dice lui dobbiamo crederci ed arrenderci all’evidenza:

“Il generale Canabarro mi diede l’esoso incarico di sottomettere quel paese e per castigo saccheggiarlo (sì, l’apostolo delle genti dice proprio saccheggiarlo). Io sbarcai a tre miglia di distanza a levante e li assaltai improvvisamente dalla montagna alle spalle. Sconfitta ed in fuga la guarnigione, fummo padroni di Imaurì. Io desidero per me ed a chiunque non abbia dimenticato d’essere uomo, di non essere obbligato a dar sacco. Io mai ho avuto una giornata di tanto rammarico e di tanta nausea dell’umana famiglia. Il mio fastidio e la fatica sofferta in quel giorno nefasto per raffrenare per lo meno le violenze contro le persone furono immense. Ma circa alla roba d’ogni specie non mi fu possibile evitare un disordine terribile (il disordine delle uccisioni, delle violenze sulla popolazione e del saccheggio da parte dei suoi stessi uomini)”.

“Nulla valeva a trattenere gli insolenti saccheggiatori (che erano appunto i suoi uomini ndr) – prosegue Garibaldi – e disgraziatamente, quel paese, benché piccolo, era riccamente provvisto di ogni genere massime di bevande spiritose. Dimodoché l’ubriachezza fu generale. Infine con minacce e percosse ed uccisioni si pervenne ad imbarcare quelle belve scatenate (ovvero i suoi uomini ndr). Imbarconsi alcune botti d’acquavite e commestibili per la divisione e ritornassi alla laguna” (Giuseppe Garibaldi “Memorie edizioni BUR pagine 85-86).

Del resto, una replica dei fatti e delle stragi di Imaurì si avrà in un’altra analoga occasione nel settembre del 1845 con il saccheggio della cittadina di Gualaguaychu dove i contadini con le loro famiglie che non passarono dalla sua parte vennero severamente puniti e saccheggiati e depredati dai mercenari di Garibaldi, che anche in questa occasione, come ad Imaurì, vediamo impegnato ad adempiere sino in fondo il proprio mestiere di di predone e di corsaro.

A tal proposito ha senza dubbio ragione la storica Lucy Riall nel suo libro: “Garibaldi invenzione di un eroe” ( 2007) in riferimento alla permanenza del nostro eroe in Sud-America quando sostiene che:

“La cattiva reputazione di Garibaldi a Buenos Aires, dove lo si considerava un pericoloso avventuriero, non era del tutto ingiustificata”.

Di questi episodi, pressoché ignorati e minimizzati, come fa ad esempio Giorgio Candeloro nella sua monumentale Storia dell’Italia moderna, non resta altro nel racconto storiografico che la transustanziazione ideale dell’ ‘eroe dei due mondi’. Episodi ed avvenimenti puntualmente sottaciuti dalla storiografia ufficiale in un modellamento mitologico immaginifico nella costruzione di un mito come Garibaldi. Un uomo che, in realtà, quando operò in sud-America, come abbiamo visto, fu corsaro, predone e saccheggiatore di città e di inermi villaggi. Altro che ‘eroe dei due mondi’!

E in un paese come l’Italia dove lo stalliere di Arcore tempo addietro fu definito un eroe ci può anche stare che un predone, saccheggiatore e corsaro come lo fu Garibaldi in più occasioni in Sud-America come in Europa possa essere definito un eroe. Ce l’hanno data a bere da 156 anni ad oggi ed ora che vengono fuori gli scheletri dagli armadi e scoperti gli altarini, beh, è proprio giunto il momento di finirla.

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