Palermo intitola una via al giornale ‘L’Ora’ e una lapide a Vittorio Nisticò

29 settembre 2019

Stamattina la cerimonia. L’occasione per ricordare quello che è stato Vittorio Nisticò nel panorama giornalistico italiano. E quello che è stato il quotidiano ‘L’Ora’ in Italia e in Sicilia. Una storia che comincia a metà anni Cinquanta del secolo passato e che si conclude – guarda un po’ che caso – poco prima delle stragi degli anni ’90  

Stamattina, a Palermo, nella palazzina dove aveva sede il giornale L’Ora, è stata scoperta una lapide in ricordo di Vittorio Nisticò, protagonista di questo quotidiano dalla metà degli anni ’50 fino ai primi anni ’80 del secolo passato. Un riconoscimento a un grande giornalista che, in un momento molto particolare della storia italiana, ha raccontato, insieme con la sua squadra di giornalisti, in modo innovativo e anticonformista, la Sicilia degli anni ’50, ‘6o e ’70 (nella lapide ci sono anche i nomi di Mauro De Mauro, Cosimo Gristina e Giovanni Spampinato, giornalisti de L’Ora uccisi dai mafiosi).

Insieme alla lapide che ricorda Nisticò è stata intitolata una via al giornale L’Ora: si tratta del tratto di strada che unisce via Mariano Stabile con via Pignatelli Aragona: proprio la via dove si trova la palazzina dell’ormai ex giornale L’Ora, oggi sede dell’Agenzia delle Entrate. E’ la prima volta, in Italia, che si dedica una via a un giornale.

Cogliamo l’occasione – soprattutto per i più giovani che non hanno conosciuto il giornale L’Ora di Palermo – per ricordare cos’è stato questo giornale.

La fase più conosciuta di questo quotidiano è quella che va dalla seconda metà degli anni ’50 a metà anni ’70.

Degli anni ’50 il giornale L’Ora è molto importante per la cronaca e per le inchieste sulla mafia che costeranno al quotidiano anche una bomba (19 ottobre 1958, cinque di mattina); un po’ meno importante per la politica, forse perché, proprio alla fine degli anni ’50, va in scena l’operazione Milazzo, fase politica nata bene, sotto il segno del rilancio dell’Autonomia siciliana, e finita malissimo, con l’ombra della mafia.

Succede, nell’autunno del 1958, che Enrico Mattei, allora presidente dell’ENI, trova difficoltà ad acquisire i permessi di ricerca di idrocarburi in Sicilia. Così decide di fare alla sua maniera (Mattei diceva che per lui i partiti politici erano come i taxi: li prendeva, pagava il biglietto e poi, quando non gli servivano più, scendeva…).

Insomma, è Mattei che, nell’autunno del 1958, contro la DC ufficiale e contro la Confindustria – e, soprattutto, con l’aiuto dei dissidenti siciliani di Confindustria Sicilia capeggiati da Domenico ‘Mimì’ La Cavera – mette in crisi il Governo retto dal democristiano Giuseppe La Loggia.

Il pallino passa nelle mani di un parlamentare regionale sturziano, Silvio Milazzo, nativo di Caltagirone proprio come il suo mentore don Luigi Sturzo. Il battagliero sacerdote calatino, che già da qualche anno è in polemica con la Democrazia Cristiana (che, a suo giudizio, non assomigliava affatto al Partito Popolare) appoggia da Roma la candidatura del suo pupillo Milazzo alla guida della Regione siciliana non perché la pensa come Mattei (anzi!), ma perché vuole fare un dispetto alla DC e, in particolare, ad Amintore Fanfani che, in quel momento, è l’uomo più potente d’Italia: segretario nazionale della Dc, Presidente del Consiglio dei Ministri con l’interim del Ministero degli Esteri.

Insomma, il primo Governo Milazzo vede la luce con la ‘benedizione’ di don Sturzo, anche se la maggioranza che lo sostiene è quanto meno un po’ strana: un ‘pezzo’ di Dc capeggiata da Milazzo, i monarchici, i fascisti, i socialisti e il Pci retto allora da Emanuele Macaluso che, con il benestare del segretario nazionale del Pci, Palmiro Togliatti, appoggia l’operazione per provare a sfasciare l’unità dei cattolici in politica.

Sturzo non doveva essere al corrente del ruolo di Mattei e degli intrighi che coinvolgevano la mafia. E il fatto che a sostenere il governo c’erano i fascisti (che l’avevano costretto all’esilio per quasi vent’anni) e i comunisti non doveva proprio fargli piacere.

Infatti quando, dopo pochi mesi, il Governo Milazzo è in crisi, il sacerdote dà per scontato che il suo pupillo si dimetterà per tornare nell’ovile democristiano dopo aver dato una lezione ai fanfaniani.

Milazzo, invece, non si dimette e dà vita prima a un secondo Governo e poi a un terzo Governo. Sturzo romperà con Milazzo e lascerà questa terra, l’anno dopo – 1959 – con il dispiacere di vedere il suo allievo impelagato in una vicenda politica poco chiara.

Nel secondo e nel terzo Governo Milazzo la mafia si ‘respira’. E’ proprio in quegli anni che inizia a brillare la stella dei cugini esattori Nino e Ignazio Salvo di Salemi.

Perché, nel parlare di Nisticò, ricordiamo l’operazione Milazzo? Perché il giornale L’Ora – molto vicino alla sinistra comunista – seguì con grande attenzione questa tormentata e complicata fase politica. Perché se è vero che Milazzo ha avuto il merito di aver rilanciato in grande stile l’Autonomia siciliana come nessuno dopo di lui ha saputo fare (il soggetto politico fondato nel 1959 da Silvio Milazzo, da Francesco Pignatone, da Ludovico Corrao – l’Unione Cristiano Sociale e da altri si attestava intorno al 10% dei consensi), è anche vero che l’ombra della mafia ha accompagnato il secondo e il terzo Governo Milazzo.

Nel suo libro pubblicato nel 2001 Accadeva in Sicilia (edito da Sellerio), Nisticò dedica ampio spazio all’operazione Milazzo e, con grande onestà intellettuale, ammettete che sì, qualche problema con la mafia, in quel complesso passaggio politico, c’è stato.

Del resto, l’atteggiamento del Pci siciliano d quegli anni la dice lunga sulla mafia: nel 1955 tra grandi dirigenti del Pci siciliano, Pompeo Colajanni, Girolamo Li Causi e Pio La Torre, chiedevano l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulla mafia, in Assemblea regionale siciliana e a Roma.

Si dice che la prima commissione d’inchiesta sulla mafia sia stata varata dal Parlamento nazionale nel 1962, all’indomani della strage di Ciaculli. Non è così. La prima commissione d’inchiesta l’ha istituita il Parlamento siciliano nella seconda metà degli anni ’50, poco tempo prima dell’avvio dell’operazione Milazzo. Quando il Governo Milazzo comincia la propria avventura, però, della commissione parlamentare antimafia dell’Assemblea regionale siciliana non si parlerà più… (chissà perché).

Il L’Ora è stato testimone della prima commissione parlamentare Antimafia, istituita, come già ricordato, nel 1962 dal Parlamento nazionale. Di certo è la più importante commissione Antimafia nella storia parlamentare italiana per la mole e la qualità del lavoro svolto.

Ma i pregevoli e sterminati atti prodotti sono stati accompagnati da una lunga fase politica piuttosto squallida – durata per l’appunto fino al 1976 – periodo in cui Dc e Pci e, in parte, anche i socialisti, lungi da fare la lotta alla mafia, hanno strumentalizzato la mafia per beghe politiche di corto respiro.

Cosa, questa, che, alla fine, non ha fatto altro che agevolare la mafia.

Il L’Ora ha risentito di questo appesantimento strumentale? In parte sì, anche se, negli anni ’70, è stato in prima fila nel cogliere i mutamenti della mafia.

Va detto per onestà di cronaca che, a fine anni ’70 – non ce ne vogliano i colleghi (anche chi scrive è un giornalista dell’ormai ex giornale L’Ora) – chi ha veramente descritto con grande coraggio non solo l’arrivo, ma la ‘filosofia’ dei cosiddetti corleonesi, cogliendone aspetti che soltanto nei primi anni ’90 si sarebbero palesati (ci riferiamo ai collegamenti con settori dello Stato italiano che alcuni considerano ‘deviati’, forse per salvaguardare non tanto i rappresentanti, quanto le istituzioni italiane), è stato il giornalista del Giornale di Sicilia Mario Francese, che ha pagato con la vita la sua intuizione.

Per motivi che non riusciamo a comprendere, si parla sempre poco del giornale L’Ora degli anni ’80: e questo è un errore. Intanto perché ci sono stati due bravissimi direttori: Nicola Cattedra e Anselmo Calaciura; e poi perché, in Sicilia, negli anni ’80 sono successe tantissime cose, per certi versi più importanti dei fatti accaduti negli anni ’60 e ’70.

Basti pensare all’omicidio di Piersanti Mattarella, l’assassinio di Pio la Torre e Rosario Di Salvo, il delitto di carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente Domenico Russo. 

La nera e la giudiziaria. Ma anche l’economia. Come ha ricordato qualche settimana fa il giornalista Andrea Naselli in una lezione tenuta in un corso di formazione e aggiornamento per i giornalisti, il giornale L’Ora, nei primi anni ’80 – quando ancora la presenza di Vittorio Nisticò si avvertiva, anche se da dietro le quinte – è stato il primo giornale italiano – italiano! – a varare un supplemento economico animato da Enzo D’Antona e Vittorio Corradino.

Se il giornale L’Ora è stato una fucina di tanti giornalisti che poi si sono affermati in tutta l’Italia, portando alto e sempre il senso della libertà, il supplemento economico del giornale L’Ora ha formato un po’ di cronisti economici (e tra questi, nel nostro piccolo, ci siamo anche noi).

Il L’Ora, negli anni ’80 ha varato un supplemento con l’occhio rivolto al mondo arabo diretto dalla brava Kris Mancuso: oggi si parla di integrazione guardando agli emigrati che arrivano in Europa; il giornale L’Ora cominciò ad affrontare quest tena trentacinque anni fa!

Il giornale L’Ora ha raccontato la lunga stagione dei ‘delitti eccellenti’ e anche della ‘carneficina’ dei primi anni ’80, quando – in un periodo fu così – i morti ammazzati per le strade si contavano ogni giorno.

Il L’Ora, spesso, aveva un vantaggio: andava in edicola alle quattro del pomeriggio. Questo consentiva di raccontare i fatti di cronaca nera di Palermo e della Sicilia con maggiore tempismo, se tali fatti si verificavano di mattina o di notte (e questo avveniva spesso). Da qui la possibilità di dare il “là” ai fatti: e non era una cosa di poco conto.

Questo giornale, oltre che sulla nera, poteva contare su ottimi ‘battitori’ di cronaca giudiziaria: e infatti ha raccontato benissimo la stagione del ‘pentitismo’ di mafia, da Tommaso Buscetta in poi. E anche le grandi difficoltà incontrate da Giovanni Falcone dentro e fuori il Consiglio superiore della magistratura e nel mondo politico (basti pensare agli attacchi che Leoluca Orlando ha sferrato in quegli anni a Falcone).

Ci sarebbe da raccontare anche la politica siciliana di quegli anni. Ma siccome chi scrive, a partire dal 1985, ha cominciato ad occuparsi di politica proprio in quel giornale, evitiamo di scriverne per oggettivo conflitto di interessi.

Ci concediamo solo una ‘stoccata’ – dopo tanti anni ce lo possiamo permettere -: l’errore grossissimo commesso dal giornale L’Ora nell’appoggiare l’avventura di Leoluca Orlando al Comune di Palermo.

E’ vero, nel 1987 l’anti socialismo del Pci – anzi l’anticraxismo – era un sentimento incontrollabile. “Aveva ragione Craxi”, dirà negli anni ’90 Massimo D’Alema, che negli anni ’80 dirigeva l’Unità.

L’antisocialismo del Pci ha portato gli stessi comunisti (con alcune eccezioni) ad appoggiare il democristiano Orlando che in quegli anni cavalcava un’antimafia dimostratasi poi effimera: ma siccome andava contro i socialisti e contro la Dc andava bene!

Sarebbe ingiusto, però, ascrivere ai soli dirigenti comunisti siciliani (che dalla fine degli anni ’80 ai nostri giorni cambieranno nome: Pds, Dc, PD) l’errore di valutazione su Orlando: infatti, è l’allora segretario nazionale del Pds, Achille Occhetto, nei primi anni ’90, a mettere la parola fine al Governo regionale siciliano di Giuseppe Campione con dentro il Pds su input di Orlando.

Se oggi in Sicilia la sinistra conta poco, se nelle elezioni comunali di Palermo ormai – sempre su volere di Orlando – è sparito anche il simbolo del PD, questo lo si deve a un errore iniziato nel 1987 con l’appoggio del Pci ad Orlando e perpetrato fino ad oggi.

Orlando ha condizionato, in negativo, la sinistra in Sicilia e a Palermo. Ha condizionato prima il Pci e i suoi ‘derivati’. E oggi la condiziona ancora, condannando questa forza politica all’irrilevanza (le elezioni comunali di Palermo non fanno resto, perché lo spoglio delle schede dura non meno di un mese: e abbiamo detto tutto…).

Per dire: anche Matteo Renzi, alle elezioni regionali siciliane del 2017 ha dato ‘spago’ a Orlando: i risultati sono stati disastrosi!

La chiusura del giornale L’Ora, infine, avvenuta nel maggio del 1992.

La chiusura di questo giornale è maturata nel cuore di uno scontro tutto interno all’ex Pci tra l’allora segretario regionale del Pds in Sicilia, Pietro Folena, e la vecchia guardia del partito che alle elezioni di quell’anno aveva candidato nell’Isola il solito Emanuele Macaluso.

Risultato: alle elezioni politiche del 1992 Folena risultò eletto, Macaluso, no.

E’ per questo che si decise di chiudere il giornale L’Ora? A chi scrive, questa tesi ‘politica’ non convince affatto.

Il 1992 è l’anno delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. E degli attentati del 1993 a Firenze , a Roma e a Milano. Subito dopo sarebbe arrivata la ‘discesa in campo’ di Silvio Berlusconi.

In queste tre vicende degli anni ’90 c’è sicuramente ‘molta Italia’, ma c’è anche ‘molta Sicilia’.

Certe inchieste giudiziarie in questi giorni hanno riportato alla ribalta fatti, personaggi e cose del 1993, con precisi legami in Sicilia. Sono fatti che dovrebbero fare riflettere, anche perché maturati sula base di testimonianze importanti.

Ma sono fatti che emergono solo oggi. Così come tutto sommato recente è la scoperta dei depistaggi relativi alla strage di via D’Amelio.

Forse il giornale L’Ora, chiuso guarda caso nel 1992 – giornale curioso, con giornalisti spesso fuori dagli ‘schemi’ – avrebbe potuto cambiare non il corso degli eventi, ma magari la comprensione – magari in anticipo – di certi eventi? Questo non lo sapremo mai.

P.s.

Impossibile, per chi scrive, non ricordare due grandi giornalisti de L’Ora: Marcello Cimino e Mario Farinella.  

Foto di Vittorio Nisticò tratta da Repubblica Palermo

 

 

 

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