L’agricoltura siciliana non deve pensare all’export ma deve puntare sul km zero vendendo i prodotti ai 5 milioni di siciliani!/ MATTINALE 845

8 novembre 2022
  • Questo articolo prende spunto dalle considerazioni di un nostro amico agricoltore e allevatore che ha deciso di fare da sé, senza ricorrere più agli intermediari-commercianti per vendere il proprio prodotto
  • Vendere direttamente i propri prodotti agricoli freschi e trasformati: ” L’operazione ha funzionato alla grande, se è vero che oggi riusciamo a vendere il 99% del nostro prodotto”
  • Conti alla mano, illustriamo perché acquistando prodotti agricoli siciliani, freschi e trasformati, i cittadini della nostra Isola darebbero un sostegno concreto agli agricoltori locali e contribuirebbero a rilancerebbe l’economia siciliana
    Lo sapete, cari siciliani, che passata di pomodoro portare in tavola ogni giorno? 
  • Come organizzare e vendere ai siciliani che vivono in Sicilia e ai siciliani che vivono all’estero la passata di pomodoro siciliana 
  • Basta produrre frutta e ortaggi da esportare all’estero. Nell’economia globalizzata il modello di agricoltura italiana imperniato sull’export è destinato a fallire

Questo articolo prende spunto dalle considerazioni di un nostro amico agricoltore e allevatore che ha deciso di fare da sé, senza ricorrere più agli intermediari-commercianti per vendere il proprio prodotto

 

Oggi dedichiamo il nostro MATTINALE a un post scritto dal nostro amico Giuseppe Scarlata, titolare di un’azienda agricola e zootecnica dalle parti di San Cataldo, nel Nisseno. Abbiamo conosciuto Giuseppe nel Gennaio del 2012, quando era una dei leader dei Forconi siciliani. Lo abbiamo conosciuto meglio ed apprezzato quando siamo diventati suoi clienti. Giuseppe infatti produce formaggi spettacolari. Inarrivabile il suo Percorino, semi-stagionato e stagionato, ma non scherzano nemmeno gli altri formaggi che produce nella sua azienda, l’azienda Scarlata. Ormai da tempo Giuseppe non vende più i formaggi che produce ai commercianti-rivenditori: quasi ogni giorno con il suo mezzo gommato viaggia in lungo e in largo per la Sicilia e vende direttamente i propri prodotti. Quando non è in giro per la nostra Isola significa che quel giorno è rimasto in azienda per produrre formaggi. Scrive Giuseppe Scarlata su Facebook:

 

Vendere direttamente i propri prodotti agricoli freschi e trasformati: ” L’operazione ha funzionato alla grande, se è vero che oggi riusciamo a vendere il 99% del nostro prodotto”

 

“Quando ho iniziato a fare i mercati odiavo questo lavoro. L’ho fatto per necessità e non per piacere visto che i nostri prodotti venduti ai rivenditori non avevano nessun valore per noi che li produciamo e valevano come oro per i consumatori che dovevano comprare. Da lì nasce l’esigenza di levare il nostro prodotto ai rivenditori e fornire noi stessi i consumatori. L’operazione ha funzionato alla grande, se è vero che oggi riusciamo a vendere il 99% del nostro prodotto. Certo, questo comporta enormi sacrifici, nottate e giornate a lavorare e a macinare km su km, però possiamo dire di essere noi i padroni del prodotto com’è  giusto che sia. Ogni tanto qualcuno – il solito ‘luminare’ – ci suggerisce: ma perché non fate pure questo o quello… Noi ci facciamo una risata e andiamo avanti; le nostre giornate lavorative già sono di 48 ore sui 24 dell’orologio quindi diciamo a voi che avete belle idee e, magari, non lavorate: perché non vi mettete voi in gioco, vi sbracciate e lavorate in Italia? Ci raccontano che manca il lavoro, che cresce la disoccupazione eccetera eccetera. Via, su forza e coraggio: mettetevi in gioco a fare anche lavori che magari inizialmente non vi piacciono ma che poi vi permetteranno di vivere”.

 

Conti alla mano, illustriamo perché acquistando prodotti agricoli siciliani, freschi e trasformati, i cittadini della nostra Isola darebbero un sostegno concreto agli agricoltori locali e contribuirebbero a rilancerebbe l’economia siciliana

 

Giuseppe Scarlata sintetizza sintetizza ciò che noi de I Nuovi Vespri scriviamo da quando siamo in rete: e cioè che l’agricoltura siciliana, prima di pensare a produrre per esportare, deve pensare a fornire prodotti agli oltre 5 milioni di consumatori siciliani. La Sicilia, o meglio, i siciliani, ogni anno, per acquistare i beni alimentari spendono, in media, 13 miliardi di euro; forse quest’anno spenderanno qualcosa in meno, a causa dell’inflazione che non è al 12% come cercano di farci credere, ma è molto più alta, soprattutto per i prodotti agroalimentari. Ma non si scenderà sotto 12 miliardi di euro. Ebbene, oggi, su 12-13 miliardi di euro, i cittadini-consumatori siciliani portano sulle loro tavole appena un miliardo di euro di prodotti siciliani! Questo è un grandissimo errore: è un errore degli agricoltori siciliani che non riescono ad organizzarsi per vendere il proprio prodotto in Sicilia; ed è un errore dei cittadini-consumatori siciliani che, seguendo la logica della Grande distribuzione organizzata, acquistano prodotti agroalimentari che arrivano in parte dal Nord Italia e, in parte, da chissà dove. Sarebbe sufficiente che i consumatori siciliani acquistassero almeno 3-4 miliardi di euro di prodotti dagli stessi agricoltori siciliani per eliminare la crisi dell’agricoltura della nostra Isola e per rilanciare alla grande l’economia siciliana, perché questi 3-4 miliardi resterebbero in Sicilia! Il tutto senza bisogno della politica, che in Sicilia è un ostacolo all’agricoltura.

 

Lo sapete, cari siciliani, che passata di pomodoro portare in tavola ogni giorno? 

 

L’esempio che citiamo spesso è la passata di pomodoro che, quasi ogni giorno, è sulle tavole dei siciliani. La Sicilia è una terra vocata per la produzione del pomodoro ma… Ma come ha raccontato qualche giorno fa ITALIA FRUIT NEWS, quest’anno una particolare regione della Cina ha esportato nel mondo quasi 300 mila tonnellate di concentrato di pomodoro; “ebbene, il 20% del concentrato di pomodoro prodotto nella regione cinese delle Xinjiang è stato esportato in Italia, ovvero acquistato da imprese italiane”. Scrive ancora il giornale on line dell’ortofrutta italiana: “Allora cos’è che fa storcere il naso? Come mai, nelle migliaia di conserve e trasformati che troviamo sugli scaffali dei supermercati, non troviamo mai l’origine Cina? Ecco che qui vengono i nodi al pettine”. La solita storia: il concentrato di pomodoro invade l’Italia, ma non si sa che fine fa, perché nei supermercati e nei Centri commerciali dove campeggiano grandi distese di passata di pomodoro confezionata “non troviamo mai l’origine Cina”. Scopriamo, così, un problema e un paradosso. Il problema è che non si sa con quali pesticidi viene prodotto il pomodoro in Cina: magari con pesticidi che l’Italia ha bandito venti, trenta anni fa perché dannosi per la salute umana? Non si sa. Il paradosso è che in Italia c’è la lotta – legittima – al caporalato, cioè allo sfruttamento dei lavoratori nei campi; però la stessa Italia è il Paese maggiore importatore del mondo di passata di pomodoro cinese (e anche di pomodori cinesi). passata e pomodori che vengono prodotti sfruttando in modo inumano i lavoratori! Quindi i siciliani, in buona parte, portano in tavola passata di pomodori coltivati Iddio sa come e raccolti da uomini trattati come schiavi!

 

Come organizzare e vendere ai siciliani che vivono in Sicilia e ai siciliani che vivono all’estero la passata di pomodoro siciliana. Da evitare assolutamente la grande cooperazione

 

Esiste un’alternativa? Certo. Basterebbe che singolarmente, come fa Giuseppe Scarlata, o anche in gruppi – piccoli gruppi, perché in Sicilia, tranne pochi casi, la cooperazione, soprattutto nel settore agricolo e agro-industriale, è un mezzo fallimento, perché chi la gestisce finisce per approfittarne – gli agricoltori inizino a produrre passata di pomodoro vendendola direttamente ai consumatori, senza passare dagli intermediari. Potrebbero farsi conoscere dai cittadini della zona; e potrebbero fare come fa Giuseppe Scarlata: caricare un furgone di passata di pomodoro per venderla nei mercati agricoli e rionali della Sicilia. Oltre a saturare il mercato siciliano, che è immenso e oggi è nelle mani del Nord Italia, si può utilizzare anche la rete vendendo la passata di pomodoro siciliana prodotta al naturale, senza conservanti chimici, pastorizzando le bottiglie di salsa in casa come si faceva un tempo e poi organizzare le vendite, magari tramite con Amazon, ai tanti siciliani presenti nel mondo. E’ solo questione di organizzazione: tanti siciliani che vivono nel Nord Italia e all’estero acquisterebbero volentieri la scorta annuale di bottiglie di salsa fatta in casa al naturale. Il discorso vale anche per altri prodotti agricoli freschi e trasformati. Altro esempio: le arance. Basta con i grandi carichi. I produttori si potrebbero organizzare per vendere le arance nei mercati locali siciliani. Siccome l’arancia si vende meno del pomodoro, gli stessi produttori, sempre in piccoli gruppi, potrebbero contattare – direttamente o sulla rete – i ristoranti e gli hotel del Centro Nord Italia per recapitare le arance in questi luoghi con mezzi gommati. Ci sarebbero i costi di trasporto, che si riducono all’aumentare del prodotto che viene trasportato.

 

Basta produrre frutta e ortaggi da esportare all’estero. Nell’economia globalizzata il modello di agricoltura italiana imperniato sull’export è destinato a fallire 

 

Cosa stiamo cercando di dire? Che oggi, con la globalizzazione dell’economia, esportare un prodotto di qualità come quello siciliano è un’operazione demenziale oltre che economica. Giuseppe Scarlata dice una grandissima verità: quando vendeva i propri formaggi tramite i commercianti non riusciva a tirare avanti; oggi che vende direttamente i propri prodotti ha risolto, bene o male, i propri problemi. L’agricoltura siciliana non può competere con agricolture che producono con un costo del lavoro di circa 5 euro al giorno per operaio agricolo, quando in Sicilia un operaio agricolo costa da 80 a 100 euro al giorno, con lo Stato scatenato nell’effettuare i controlli, perché deve ogni anno trovare 10 miliardi di euro per pagare il Reddito di cittadinanza. Il modello agricolo del Nord Italia, imperniato sulle grandi produzioni da esportare nel Sud Italia e in Sicilia e all’estero è destinato al fallimento. Perché si scontra con la globalizzazione dell’economia, che fa arrivare in Italia gli stessi prodotti agricoli scadenti ma che hanno il solo, grande ‘pregio’ di costare molto meno. Tra l’altro, la globalizzazione impoverisce i Paesi che la subiscono: così in un’Italia sempre più povera le famiglie sempre più povere – soprattutto oggi con l’inflazione fuori controllo – sono portate ad acquistare i prodotti agricoli che costano meno, cioè quelli che arrivano dall’estero. Nel futuro si salveranno solo gli agricoltori che riusciranno a legarsi al proprio territorio per vendere prodotti a km zero e gli agricoltori che si organizzeranno per vendere i propri prodotti direttamente nei mercato locali, come fa Giuseppe Scarlata, o tramite la rete. Le aziende agricole italiane che producono per esportare entreranno in crisi perché non potranno competere con i Paesi che producono a basso costo del lavoro e che, magari, utilizzano pesticidi efficaci in Italia banditi dalla nostra farmacopea agricola perché dannosi per la salute umana. Se nella passata legislatura il Nord Italia è piombato nel Sud e in Sicilia per rubacchiare una parte dei fondi del FEASR, ebbene, ciò è avvenuto perché la stessa agricoltura del Nord Italia oggi – è proprio il caso di dirlo – è alla frutta! Chiudiamo con l’olio d’oliva extra vergine siciliano: sbagliato venderlo ai commercianti a 6 euro al Kg. Demenziale pensare di esportarlo con l’olio tunisino e con altri ‘presunti’ oli d’oliva che si vendono a 1-2 euro al Kg. I produttori siciliani di olio d’oliva extra vergine si organizzino in piccoli gruppi – evitando sempre le grandi cooperative – e provino a vendere il proprio prodotto ai 5 milioni di consumatori siciliani. Per le produzioni di nicchia si può provare con la rete. Quanto al grano, il discorso è un po’ diverso e ne scriveremo a parte.

Foto tratta da Confagricoltura Ragusa 

 

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