Italia invasa dalla passata di pomodoro cinese. Come mai nelle confezioni non troviamo mai l’origine Cina?/ MATTINALE 831

3 novembre 2022
  • A porre questa domanda – che interessa milioni di consumatori italiani – è ITALIA FRUIT NEWS, il quotidiano on line dell’ortofrutta italiana. Dobbiamo fare finta che il problema non esista? 
  • Con l’olio d’oliva tunisino e con i carciofi egiziani – per citare due esempi – non succede la stessa cosa? 
  • “Il pomodoro cinese arriva in Italia sotto forma di concentrato in fusti e viene, successivamente, ritrasformato e per magia l’origine della materia prima viene avvolta dal mistero”. In Italia ci sono i maghi della passata di pomodoro e noi non ne sapevamo niente? 
  • Noi in Italia combattiamo il ‘caporalato’ e poi importiamo ortaggi e frutta prodotti all’insegna dello schiavismo?  

A porre questa domanda – che interessa milioni di consumatori italiani – è ITALIA FRUIT NEWS, il quotidiano on line dell’ortofrutta italiana. Dobbiamo fare finta che il problema non esista? 

Questo MATTINALE lo apriamo con una domanda rivolta ai nostri lettori: quando entrate in un supermercato o in un Centro commerciale e acquistate il pomodoro pelato o, meglio ancora, la passata di pomodoro cosa pensate di portare nelle vostre case? Con quale pomodoro pelato o passata di pomodoro condirete la vostra pasta? A queste domande risponde un articolo pubblicato qualche giorno fa da ITALIA FRUIT NEWS, il quotidiano on line che si occupa di ortofrutta. Noi ci occupiamo spesso del pomodoro. Pensiamo, o forse ci illudiamo, di avere contezza di come e dove si coltiva il pomodoro in Sicilia. ITALIA FRUIT NEWS ha contezza dello scenario italiano del pomodoro. La fonte è autorevole. E se il giornale on line dell’ortofrutta italiana titola: “Pomodoro cinese, Italia principale importatore”; e aggiunge nel sottotitolo: “Quando il concentrato puzza di sfruttamento ai danni di lavoratori e ambiente”, ebbene, qualche domanda dobbiamo cominciare a porcela, anche per capire che cosa sta succedendo. O dobbiamo infilare la testa sotto la sabbia, andare nei ristoranti di grido, o nelle trattorie, e fare finta di non sapere che il pomodoro che troviamo nei primi piatti, nei secondi piatti e nei contorni potrebbe arrivare da chissà dove? Dobbiamo seguire i programmi di cucina che la televisione sforna a ritmo continuo facendo finta di non sapere quanto pomodoro cinese, fresco e trasformato, arriva in Italia? O facendo finta di non sapere che esistono ‘tarocchi’ del pomodoro San Marzano campano e dei pomodorini ciliegini e dei datterini di Pachino e Porto Palo di Pachino? Dobbiamo dimenticare che nel 2018, a Pachino, si vendeva pomodorino prodotto in Camerun? 

 

Con l’olio d’oliva tunisino e con i carciofi egiziani – per citare due esempi – non succede la stessa cosa? 

 

“Difficile da credere – leggiamo nell’articolo di ITALIA FRUIT NEWS – ma in Italia, ogni anno, arriva una valanga di pomodoro cinese: addirittura il Bel Paese è il principale importatore di merce proveniente dalla regione dello Xinjiang, areale della Cina a forte vocazione agricola per la produzione di cotone e pomodoro. In questa parte del mondo vengono prodotti un quarto dei pomodori del Pianeta, un’attività che – come riportato a più riprese dalla stampa internazionale – nasconde lo sfruttamento di migliaia di lavoratori e dell’ambiente”. Scopriamo così che quest’anno questa regione della Cina ha esportato nel mondo quasi 300 mila tonnellate di concentrato di pomodoro; ebbene, il 20% del concentrato di pomodoro prodotto nella regione cinese delle Xinjiang è stato esportato in Italia, ovvero acquistato da imprese italiane. Scrive ancora il giornale on line dell’ortofrutta italiana: “Allora cos’è che fa storcere il naso? Come mai, nelle migliaia di conserve e trasformati che troviamo sugli scaffali dei supermercati, non troviamo mai l’origine Cina? Ecco che qui vengono i nodi al pettine”. La solita storia: il concentrato di pomodoro invade l’Italia, ma non si sa che fine fa, perché nei supermercati e nei Centri commerciali dove campeggiano grandi distese di passata di pomodoro confezionata “non troviamo mai l’origine Cina”. Un po’ come succede con l’olio d’oliva tunisino, che l’Unione europea fa arrivare a fiumi: ne arriva tanto in Italia ma vi sfidiamo a trovare una bottiglia di olio d’oliva extra vergine o di olio d’oliva con la scritta “origine Tunisia”. L’esempio potrebbe essere esteso anche ad altri prodotti agricoli freschi: per esempio i carciofi: si sa che i carciofi, negli ultimi anni, sono arrivati dall’Egitto ma lo sanno gli addetti ai lavori, per i consumatori non c’è alcuna informazione (per aggiornamento di informazione va detto che anche in Egitto è arrivata la siccità e non si sa cosa succederà in agricoltura, anche con riferimento ai prodotti agricoli che l’Egitto esporta).

 

“Il pomodoro cinese arriva in Italia sotto forma di concentrato in fusti e viene, successivamente, ritrasformato e per magia l’origine della materia prima viene avvolta dal mistero”. In Italia ci sono i maghi della passata di pomodoro e noi non ne sapevamo niente? 

 

A questo punto c’è un passaggio dell’articolo di ITALIA FRUIT NEWS che vi consigliamo di leggere con grande attenzione perché è illuminante, soprattutto perché è scritto da una fonte – ribadiamo – autorevole: “Il pomodoro cinese arriva in Italia sotto forma di concentrato in fusti e viene, successivamente, ritrasformato e per magia l’origine della materia prima viene avvolta dal mistero. Dunque, per i consumatori è impossibile risalire all’origine esatta della merce. La mancanza di trasparenza è diventata un problema, molte aziende importatrici assicurano che viene lavorato e destinato all’esportazione ma i fatti e le diverse indagini appurano che succede anche altro. Nel 2021, per esempio, un colosso della trasformazione si è visto sequestrare 4.000 tonnellate di conserve etichettate come italiane, ma di origine cinese”. La storia è sempre la stessa: chi importa prodotti agricoli, soprattutto trasformati, si premura di precisare che i prodotti che ha importato dalla Cina ma anche da altre realtà del mondo non verranno commercializzati in Italia. Della serie: tranquilli, questo e quel prodotto che abbiamo importato lo esportiamo. Come se sbolognare ad altri Paesi certe produzioni agricole importate – ammesso che ciò sia vero – sia cosa buona e giusta. Il dubbio, quando si ha a che fare con produzioni agricole fresche e trasformate di Paesi del mondo dove il costo del lavoro agricolo è irrisorio rispetto ai Paesi del cosiddetto Occidente industrializzato, è che, da quelle parti, oltre a risparmiare sul lavoro (che in certi casi è quasi schiavistico a tutti gli effetti), si utilizzino pesticidi che dalle nostre parti sono stati banditi nel decenni passati perché pericolosi per la salute umana e per l’ambiente. Sono certamente pesticidi efficaci, che eliminato insetti dannosi per l’agricoltura e funghi responsabili di malattie per le piante. Certo, fanno aumentare le produzioni agricole: ma a che prezzo? Il conto, in questi casi, lo pagano la salute umana e l’ambiente.

 

Noi in Italia combattiamo il ‘caporalato’ e poi importiamo ortaggi e frutta prodotti all’insegna dello schiavismo?  

 

Oggi va di moda la parola “sostenibile”. La si usa soprattutto nell’agricoltura e nella pesca. Il concetto di sostenibilità ambientale abbiamo provato a descriverlo con il dubbio su pesticidi e, in generale, sui prodotti chimici utilizzati in agricoltura. Segnalando che da noi gli agricoltori sono oggi molto attenti nell’uso dei pesticidi, mentre non sappiamo cosa succede in certe aree del mondo da dove arrivano a fiumi prodotti agricoli freschi e trasformati all’insegna della globalizzazione dell’economia tanto cara all’attuale Unione europea. Ma c’è anche un problema di sostenibilità legata al lavoro. In Cina, leggiamo sempre nell’articolo di  ITALIA FRUIT NEWS non si fanno molti scrupoli. Nella regione dello Xinjiang, scrive il giornale dell’ortofrutta italiana, “le minoranze di etnia Uigura vengono deportate e messe a lavorare in campagna per limitare i costi di produzione”. Insomma, lo sfruttamento del lavoro. Così assistiamo al paradosso: in Italia, correttamente, si attua la lotta al ‘caporalato’, ovvero allo sfruttamento del lavoro. Solo che molte aziende agricole italiane – soprattutto oggi con i costi di produzione agricola alle stelle a causa della guerra in Ucraina e dei cambiamenti climatici in corso – decidono di non coltivare il pomodoro. Hanno torto? Non proprio! Il costo delle sementi è raddoppiato, il costo dei fertilizzanti è quasi triplicato, non parliamo dei costi energetici. Poi debbono pagare un operaio agricolo 80-100 euro al giorno (in questa cifra sono compresi i contributi da versare all’INPS oggi a caccia di soldi). Quanto lo dovrebbero vendere il loro pomodoro che, peraltro, subisce la concorrenza del pomodoro che arriva dall’Asia e dall’Africa prodotto chissà come e venduto a prezzi stracciati? Nella passata legislatura il Governo regionale siciliano si vantava di aver finanziato tante iniziative contro il ‘caporalato’. Peccato che tanti agricoltori siciliani il pomodoro di pieno campo. produzione che un tempo era uno dei fiori all’occhiello dell’agricoltura siciliana, lo coltivano sempre di meno (molti agricoltori siciliani lo coltivano per uso familiare: sia per le insalate sia, soprattutto, per preparare in casa le bottiglie di pomodoro per l’Inverno). E i siciliani? Quando vanno ad acquistare il pomodoro fresco nei supermercati, nei centri commerciali e anche nei mercati rionali se lo chiedono da dove arriva il pomodoro che porteranno sulle proprie tavole? Se lo chiedono da dove arriva la passata di pomodoro che acquistano in eleganti confezioni in vetro da tre quarti di litro al prezzo di 0,50 euro? Del resto, se non si chiedono da dove arriva “l’olio d’oliva extra vergine” imbottigliato a 4 euro, 3 euro a bottiglia perché si dovrebbero porre problemi per la passata di pomodoro? Il bello è che poi si parla di Dieta Mediterranea…

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