La protesta dei produttori di olio d’oliva extra vergine della Sicilia: la possibile soluzione a Km zero /MATTINALE 808

9 ottobre 2022
  • La soluzione non è la vendita dell’olio extra vergine di oliva a 6 euro al kg. Per quest’anno i commercianti dovrebbero fare uno sforzo in più 
  • Lo scenario dell’olio d’oliva extra vergine in Italia
  • Come il Nord Italia, anche nell’olio d’oliva, deruba Sud e Sicilia
  • La soluzione, per gli agricoltori che producono olio d’oliva extra vergine in Sicilia, non è l’esportazione, sia perché i commercianti pagano poco il prodotto siciliano, sia perché ci si va a scontrare con un mercato mondiale dove circola una grande quantità di olio d’oliva di pessima qualità a prezzi stracciati 
  • L’olivicoltura siciliana deve puntare sul consumo interno, sulla filosofia del cosiddetto Km zero 

La soluzione non è la vendita dell’olio extra vergine di oliva a 6 euro al kg. Per quest’anno i commercianti dovrebbero fare uno sforzo in più 

Un importante risultato – che è un grande merito – gli agricoltori che producono olive da olio in alcune zone della Sicilia che da alcuni giorni protestano perché non vogliono essere travolti dalla crisi l’hanno raggiunto: hanno sollevato un problema politico e culturale segnalando il vuoto dell’attuale politica siciliana. Gli agricoltori che producono olive da olio di Ribera, Burgio, Lucca Sicula, Villafranca Sicula, Caltabellotta e, in parte, anche di Sciacca, insieme con i produttori di olive da olio del Palermitano e del Trapanese sollevano un problema molto serio che la politica siciliana di oggi, nel suo insieme, ignora: con la crescita dei costi di produzione registrata nell’ultimo anno, tra aumento del costo dei fertilizzanti, aumento del costo del gasolio agricolo (e quindi aumento del costo delle operazioni colturali meccanizzate) e aumento del costo della manodopera, anche vendendo l’olio d’oliva extravergine a 6 euro al Kg le aziende agricole vanno in perdita. A questo punto – dicono alcuni produttori di olive da olio – meglio regalare le olive. I commercianti dovrebbero fare uno sforzo e arrivare almeno a 7,5 euro al Kg do olio. E’ nel loro interesse andare incontro agli agricoltori. Attenzione: questa crisi è cominciata prima dell’esplosione della guerra in Ucraina e prima della follia delle bollette alle stelle (per la cronaca, l’aumento sensibile del costo dei concimi è iniziato a manifestarsi nell’Autunno dello scorso anno: la guerra in Ucraina e le bollette di luce e gas alle stelle hanno moltiplicato i problemi già presenti nel mondo agricolo da quasi un anno). Resta da capire cosa fare. Come abbiamo raccontato ieri, gli agricoltori di Caltabellotta hanno gettato la spugna: in questa bellissima cittadina dell’Agrigentino l’olivo si coltiva in monocoltura e loro, gli agricoltori, non hanno potere contrattuale: o ‘bevono’ (cioè vendono il loro olio d’oliva extra vergine a 6 euro al kg), o affogano. Ci sono altri agricoltori siciliani che non vogliono cedere e hanno fatto sapere che non svenderanno le loro olive da olio, piuttosto, come già accennato, le regaleranno.

Lo scenario dell’olio d’oliva extra vergine in Italia

Esiste una soluzione all’attuale crisi? In questo momento – è bene affermarlo subito con chiarezza per evitare illusioni – no. Ci potrebbero essere soluzioni di medio e lungo periodo che proveremo a illustrare, non prima di delineare lo scenario attuale dell’olio d’oliva italiano che è stato ben descritto poco più di quattro anni fa in un articolo scritto da Domenico Iannantuoni e Michele Eugenio Di Carlo e pubblicato da I Nuovi Vespri. “Il 90% della produzione di olio d’oliva extra vergine italiano si concentra nel Sud con Calabria, Puglia e Sicilia. Ma la commercializzazione e la distribuzione dell’oro giallo segue i circuiti imposti dalla Grande Distribuzione Organizzata (GDO) e dalle grandi aziende con sede legale ben oltre la linea di demarcazione del Mezzogiorno. Ai produttori locali degli Abruzzi, del Molise, della Campania, della Puglia, della Calabria e della Sicilia, spesso, non resta che svendere il proprio prodotto, consegnandolo sottocosto agli speculatori a un prezzo che oscilla da 3 a 5 euro al litro”. Come potete notare, il prezzo più alto offerto quattro anni fa agli agricoltori del Sud Italia e della Sicilia che producono olive da olio era di 5 euro al kg, 1 euro in meno di quanto viene offerto oggi agli olivicoltori siciliani. E’ raddoppiato il prezzo dei fertilizzanti, è aumentato il costo della manodopera, sono aumentati spaventosamente i costi energetici a causa delle speculazione sul prezzo del gas ‘pilotata’ dall’Unione europea – segnatamente da Olanda e Germania – la guerra in Ucraina sta moltiplicando problemi e costi di produzione e gli agricoltori della Sicilia che producono olio d’oliva extra vergine dovrebbero risolvere i loro problemi con 1 euro in più al kg del prezzo di vendita del loro olio d’oliva extra vergine rispetto agli anni passati! La dimostrazione che gli agricoltori siciliani che oggi si rifiutano di vendere il proprio olio hanno ragione da vendere.

Come il Nord Italia, anche nell’olio d’oliva, deruba Sud e Sicilia

Proseguiamo con l’analisi di Iannantoni e Di Carlo: “Quasi sempre gli stessi consumatori delle Regioni meridionali comprano l’olio d’oliva extra vergine imbottigliato dalle aziende del Nord e dai supermercati a 4 euro al litro, invece di recarsi direttamente nei frantoi, o direttamente nelle aziende dei piccoli produttori. Spesso i consumatori comprano addirittura un olio non extra-vergine e di dubbia provenienza… Nel Sud e nella Sicilia, dai circa 4500 frantoi, solo un quinto della produzione di olio d’oliva extra vergine viene imbottigliata, mentre il Centro Italia, con circa il 9% della produzione, imbottiglia il 40% dell’extravergine. Il resto viene imbottigliato nel Nord che ha una produzione di nessun rilievo. Quasi tutta la produzione di olio d’oliva extra vergine italiano viene vantaggiosamente confezionata nel Centro-Nord. L’industria olearia italiana è quindi praticamente tutta Centro-Settentrionale e, comprando all’estero olio a prezzi stracciati, agisce potentemente nel deprimere il valore della produzione nazionale di olio d’oliva extra vergine fino al limite del sottocosto. Un sottocosto che, spesso, costringe le aziende olivicole meridionali a ricorrere al caporalato, con l’utilizzo di veri e propri schiavi nelle varie fasi della lavorazione. Il caporalato si elimina costituendo la filiera dell’extra vergine del Sud, che darà vero lavoro (e non sfruttamento!) e ricchezza in tutto il Sud. Ricordiamoci che il mercato dell’olio d’oliva italiano, vero o mistificato che sia, comporta un giro d’affari di svariati miliardi di euro all’anno: un mercato che, oggi, è saldamente nelle mani delle grandi aziende e della Grande Distribuzione del Centro-Nord Italia. E questa è un’assurdità se consideriamo, come già accennato, che il 90% della produzione di vero olio d’oliva extra vergine si localizza in Puglia, in Calabria e in Sicilia. Alle Regioni del Sud Italia spetta il compito di attivarsi immediatamente per una politica di ricostruzione della propria tipica filiera olivicola, mettendo ai margini le grandi aziende e la GDO e diventando protagoniste della fase di commercializzazione e di distribuzione dell’oro giallo, in modo tale che tutto l’imbottigliamento avvenga sul territorio di produzione in maniera certificataIn fondo si tratta di riportare nel Mezzogiorno una ricchezza che gli appartiene e che le solite politiche Nord-centriche gli hanno sottratto. Una ricchezza che garantirebbe occupazione a decine di migliaia di lavoratori e un reddito sicuro a centinaia di migliaia di aziende olivicole con un tasso di disoccupazione che potrebbe scendere di vari punti”.

La soluzione, per gli agricoltori che producono olio d’oliva extra vergine in Sicilia, non è l’esportazione, sia perché i commercianti pagano poco il prodotto siciliano, sia perché ci si va a scontrare con un mercato mondiale dove circola una grande quantità di olio d’oliva di pessima qualità a prezzi stracciati 

Siamo arrivati al punto centrale: il ruolo delle Regioni del Sud Italia e della Sicilia. Soffermiamoci sulle tre Regioni meridionali che, come già ricordato, producono il 90% di olio d’oliva extra vergine italiano: Puglia, Calabria e Sicilia. Pensare che il PD che governa la Puglia e il centrodestra che governa Calabria e Sicilia si occupino e si preoccupino di tutelare gli agricoltori che producono olio d’oliva extra vergine è un’illusione. Al contrario, sono partiti che tutelano gli interessi del Nord Italia che deruba il Sud e la Sicilia. La possibile soluzione, già quattro anni fa, è stata delineata da Iannatuoni e Di Carlo: “Anche i cittadini del Mezzogiorno devono fare la propria parte. Basta acquistare olio extra vergine a 4-5-6 euro a bottiglia nei supermercati. Nella migliore delle ipotesi si tratta di olio d’oliva tunisino spacciato per olio extra vergine italiano; nella peggiore delle ipotesi è olio di non si sa bene che… Allora – lo ribadiamo ancora una volta – serve un ‘Patto’ tra cittadini e produttori di olio d’oliva extra vergine del Sud: noi cittadini del Mezzogiorno, ogni anno, in Autunno, andiamo ad acquistare il nostro olio d’oliva extra vergine nei frantoi o nelle aziende; mettendoci in testa che non dobbiamo risparmiare su questo prodotto dell’agricoltura: ne va della nostra salute e della nostra economia. Non facciamoci più sfruttare dal Centro Nord Italia e dalla Grande Distribuzione organizzata”.

L’olivicoltura siciliana deve puntare sul consumo interno, sulla filosofia del cosiddetto Km zero 

La Sicilia fino a pochi anni fa produceva circa 35 mila tonnellate di olio d’oliva all’anno; oggi la produzione si è ridotta per una serie di fattori legati più che altro agli effetti dei cambiamenti climatici. Ci sono zone di produzione di altissima qualità, come gli extra vergini dell’Etna che non hanno problemi di mercato; poi altre zone della Sicilia orientale – Siracusa, Catania e Ragusa – e quindi la parte occidentale dell’Isola con l’Agrigentino, il Palermitano e il Trapanese. Ci sono agricoltori grandi e medi che riescono ad esportare il proprio prodotto nel Nord Italia a prezzi tutto sommato accettabili (alcuni agricoltori siciliani quest’anno hanno già venduto la propria produzione a 8,5 euro al Kg a commercianti del Nord Italia); ma la stragrande maggioranza dell’olio d’oliva siciliano, soprattutto nell’area occidentale della Sicilia, è deprezzato. E’ quello che sta succedendo in questi giorni a Caltabellotta e, in generale, in alcuni centri dell’Agrigentino. Puntare sull’esportazione – a meno che non sai trovino canali privilegiati disposti a valorizzare la qualità (gli imprenditori del Nord Italia che acquistano il vero extra vergine siciliano a 8,5 euro al Kg evidentemente lo rivenderanno a un prezzo maggiore perché sanno a chi venderlo), andare nel mercato internazionale è un’operazione a perdere, perché si va a competere con l’olio d’oliva tunisino venduto a 2 euro al Kg, all’olio spagnolo di media qualità e, anche, al cosiddetto olio deodorato che non è altro che un prodotto di pessima qualità ‘sistemato’ chimicamente. Sono i commercianti che, oggi, hanno interesse a vendere nel Nord Italia e all’estero l’olio d’oliva siciliano, non certo gli agricoltori siciliani che producono olio d’oliva extra vergine. Questi ultimi debbono puntare, in una prima fase, sul mercato interno, ovvero sul cosiddetto Km zero. La Sicilia ha cinque milioni di abitanti che vanno informati. Spiegandogli che l’olio extra vergine di oliva che acquistano nei Centri commerciali a 6 euro a bottiglia, a 5 euro a bottiglia, a 4 euro a bottiglia e, talvolta, anche a 3 euro a bottiglia (e certe volte anche a un prezzo inferiore a 3 euro a bottiglia!) non funziona. Serve un intervento della Regione siciliana. Alla fine degli anni ’90 del secolo scorso l’assessorato regionale all’Agricoltura si è intestato una battaglia per la valorizzazione del vino siciliano che è in parte riuscita. Non sono stati risolti i problemi delle cantine sociali e dei piccoli produttori di uva da vino, ma l’operazione, nel complesso, ha dato buoni risultati, sia nei consumi interni del vino siciliano sia, soprattutto, nell’export. Serve, oggi, una strategia che, all’inizio, dovrebbe essere imperniata sull’aumento dei consumi interni di olio extra vergine di oliva. L’export, in una prima fase, andrebbe evitato, perché nel mondo circola troppo olio d’oliva di pessima qualità (che in alcuni casi non è nemmeno olio d’oliva…).

Foto tratta da tunews24

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