La guerra in Ucraina vista da un’altra angolazione: ovvero la risposta USA all’attacco di Cina e Russia all’area del dollaro/ SERALE

1 maggio 2022
  • Un’interessante chiave di lettura della guerra in Ucraina vista “dalla parte delle radici” dell’economia: le monete, ovvero l’attacco di Cina e Russia all’area del dollaro
  • Il ritorno al legame tra rublo e oro
  • Perché Italia e Germania rischiano di finire schiacciate

Un’interessante chiave di lettura della guerra in Ucraina vista “dalla parte delle radici” dell’economia: le monete, ovvero l’attacco di Cina e Russia all’area del dollaro

Un interessante approfondimento sulle ragioni della guerra in Ucraina – vista sotto il profilo economico e monetario – si può leggere nel blog di Federico Dezzani. Si parla di una notizia che è passata sotto silenzio: l’ancoraggio del rublo – la moneta russa – all’oro. E’ una notizia importante, che dà forza alla tesi stando alla quale la guerra in Ucraina non sarebbe altro che una risposta degli Stati Uniti alla crisi del dollaro. “Tra le misure adottate dalla Russia in risposta alla sanzioni occidentali – scrive Dezzani – spicca soprattutto la decisione di ancorare il rublo ad una quantità fissa d’oro. Il ritorno della Russia al gold standard si propone, nell’immediato, di sostenere la valuta ma, in prospettiva, ha anche obiettivi di medio termine: creare un sistema finanziario alternativo al dollaro ed alle sue cicliche destabilizzazioni”. Per la cronaca, il dollar exchange standard venne codificato negli accordi di Bretton Woods. Agli inglesi e agli americani l’ancoraggio della moneta all’oro non è mai andato a genio, perché produrre moneta in ragione delle riserve auree significa bloccare la ‘fantasia monetaria’ che altri osservatori meno ‘fantasiosi’ chiamano speculazioni.

Il ritorno al legame tra rublo e oro

La fine del Gold exchange standard è stata determinata dai Paesi arabi produttori di petrolio. Questi signori, tra il 1970 e il 1971, pensarono di impadronirsi di buona parte dell’oro allora presente nel mondo. Come? Con un ragionamento semplice: siccome l’Occidente industrializzato non poteva fare a meno del petrolio, quadruplicando il prezzo del petrolio e incassando tanti soldi – ovvero le monete che, allora, erano quasi tutte agganciate all’oro, a cominciare dal dollaro – avrebbero dovuto semplicemente richiedere alle banche dei vari Paesi l’oro in cambio delle monete. La risposta del presidente degli Stati Uniti dell’epoca, il Repubblicano Richard Nixon, fu altrettanto semplice: stop al legame oro-dollari. Così finì il Gold exchange standard. Oggi – questa Dezzani è la notizia – con il ritorno il legame tra moneta e oro la Cina e la Russia – e forse anche l’India – hanno cominciato a lavorare per indebolire l’area del dollaro e rendere la moneta americana debole: insomma, niente più primato del dollaro negli scambi internazionali. Attenzione: i signori dell’Unione europea che oggi sono schierati come un ‘tappetino’ agli ordini degli Stati Uniti d’America nella guerra contro la Russia avrebbero voluto fare la stessa cosa con l’euro, che nella testa dei presuntosi europeisti avrebbe dovuto sostituire il dollaro negli scambi internazionali. Ma gli è andata male perché, sulla loro strada, hanno trovato, a metà del 2000, l’allora presidente della Banca centrale degli Stati Uniti (FED, la Federal Reserve), Alan Greenspan, che con straordinaria abilità attirò i banchieri ‘scienziati’ di mezzo mondo nella trappola della bolla immobiliare dei subprime.

Perché Italia e Germania rischiano di finire schiacciate

Il ragionamento di Dezzani è molto acuto e convincente. “Attorno al 2000 – scrive Dezzani – la Bank of England, che era stata a lungo il forziere dell’oro per eccellenza, si liberò di buona parte delle sue riserve e, ora, ne detiene appena 300 tonnellate. Gli USA, che posseggono ancora sulla carta circa 8.000 tonnellate, figurano formalmente ancora come i primi detentori, ma l’odio verso questa antica forma di ancoraggio della moneta è testimoniato dalla cicliche invettive di un finanziere-simbolo come Warren Buffett. Col dollaro agganciato all’oro, sarebbe infatti stato impossibile alimentare la bolla delle bolle che il governatore della FED, John Powell, si appresta a fare scoppiare col pretesto della lotta all’inflazione. Bolla che servirà ad innescare, dopo la pandemia e la guerra russo-ucraina, l’ennesima ondata destabilizzante in Europa, Africa ed Asia”. Insomma, oltre che a una guerra con le armi – ricordiamoci che le monete di affermano o si boccano con le armi (Gheddafi è stato eliminato perché avrebbe voluto creare una moneta africana in alternativa al dollaro, come ha raccontato qui Mario Di Mauro) – è in corso anche una guerra monetaria. L’ancoraggio del rublo all’oro rientrerebbe in questo scenario. “La decisione di Mosca di ancorare il rublo all’oro (5.000 rubli per grammo) – scrive sempre Dezzani – va ben oltre, infatti, la semplice necessità di sostenere la valuta in risposta alle sanzioni imposte dall’Occidente a guida angloamericana. Man mano che la guerra egemonica si avvicina, un nuovo scontro tra sistemi finanziari si palesa, uno scontro in cui la potenze continentali si propongono come le paladine di una moneta agganciata all’oro (poco importa se questa moneta sia cartacea o elettronica) contro una moneta riproducibile a volontà, senza alcun ancoraggio alla realtà, fonte soltanto di cicliche speculazioni e crash di Borsa. Con 2.300 tonnellate d’oro, la Russia è la quarta detentrice al mondo d’oro; la Cina, con 1.950 tonnellate, viene subito dopo ma, essendo Pechino la prima produttrice mondiale d’oro, è lecito supporre che, nel corso degli anni, abbia accumulato riserve ben maggiori, senza farne troppa pubblicità. La Cina è, infatti, una grande detentrice di debito pubblico americano ed un repentino crollo del dollaro (in tempi di pace) non sarebbe certamente nel suo interesse. Un nuovo sistema finanziario, basato su un paniere di poche valute regionali (il rublo, lo yuan, la lira turca?) ancorate all’oro, è quindi in nuce”. In questa guerra che fine farà l’euro? E che fine farà l’Italia? Secondo Dezzani – e questo è forse l’aspetto più inquietante per Italia e Germania – solo due Paesi potrebbero reggere bene in un sistema monetario agganciato all’oro: sono Germania e Italia in virtù delle loro riserve auree e della capacità di esportare. Ma “non a caso – conclude Dezzani – figurano anche tra i maggiori perdenti della guerra promossa dagli angloamericani e dai francesi in Ucraina”.

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