Globalizzazione/ Con delocalizzazione, ortofrutta cinese e africana e migranti trasformeranno l’Italia in un Paese povero/ MATTINALE 497

21 settembre 2021
  • Il primo passo del progetto è favorire la fuga delle imprese dall’Italia e massacrare l’agricoltura del nostro Paese: e ci stanno riuscendo
  • Il grano italiano si sta salvando grazie ai cambiamenti climatici. Ma ricordiamoci che la Ue aveva decretato la fine del grano duro e del grano tenero italiano. Il Jobs Act ha agevolato le multinazionali e i fondi d’investimento presenti in Italia
  • Ora delocalizzano anche aziende italiane che vanno benissimo
  • Il Governo di Mario Draghi è parte del problema
  • Delocalizzazioni e crisi dell’agricoltura provocheranno, in prospettiva, una grande crisi della natalità. I migranti servono per ‘rimpolpare’ la popolazione italiana con soggetti privi di diritti. La graduale trasformazione degli italiani in soggetti senza diritti 

Il primo passo del progetto è favorire la fuga delle imprese dall’Italia e massacrare l’agricoltura del nostro Paese: e ci stanno riuscendo

C’è un dato, economico e politico insieme, che sta passando quasi inosservato. Anche se i dati ufficiali smentiscono l’aumento dei casi di delocalizzazione delle imprese (imprese che smontano tutto in Italia e vanno nei Paesi esteri dove i costi di produzione sono inferiori), tali casi, invece, sono in aumento. Presso il Ministero dello Sviluppo economico i cosiddetti ‘Tavoli di crisi – Imprese in difficoltà’ sono tanti: e moti di questi sono proprio casi di delocalizzazioni in corso. Se il presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi, e i mezzi d’informazione che, un giorno sì e l’altro pure, ne celebrano le gesta, blaterando di non sappiamo quale ripresa economica dell’Italia, la realtà ci racconta invece una storia del tutto opposta: tantissime aziende in crisi, decine di aziende in fase di delocalizzazione, nuovi disoccupati, nuova disperazione sociale e un’agricoltura italiana sempre più massacrata dalla globalizzazione dell’economia. In questo momento, uno dei pochi elementi positivi per l’agricoltura è l‘aumento del prezzo del grano, che è stato provocato da una drastica riduzione dell’offerta mondiale di questo cereale frutto dei cambiamenti climatici.

Il grano italiano si sta salvando grazie ai cambiamenti climatici. Ma ricordiamoci che la Ue aveva decretato la fine del grano duro e del grano tenero italiano. Il Jobs Act ha agevolato le multinazionali e i fondi d’investimento presenti in Italia

Industria e agricoltura italiane sono sotto scacco. Ormai l’unica speranza per salvare buona parte delle produzioni agricole del nostro Paese sono i cambiamenti climatici: per esempio, la siccità che ha ridotto la produzione di grano del Canada, Paese che, ormai da oltre un decennio, riempie di grano tenero (leggere varietà Manitoba) e di grano duro l’Italia, massacrando le produzioni di grano italiane (il problema riguarda soprattutto il Sud e la Sicilia per il grano duro). Per l’industria, invece, il maltempo conta poco. Il giochetto è il seguente: le multinazionali o i fondi d’investimento arrivano in Italia, rilevano aziende industriali italiane, i vari Governi italiani li accolgono a braccia aperte concedendo loro benefici e prebende (tra i benefici concessi a questi ‘pirati’ mondiali dell’economia c’è anche il ‘mitico’ Jobs Act’ di renziana memoria, ovvero la precarizzazione dei lavoratori che agevola la vita a multinazionali e fondi d’investimento che pagano meno i lavoratori, che si ritrovano con meno diritti: non chiedeteci dove erano e sono Cgil, Cisl e Uil…), dopo qualche anno i titolari di queste aziende – cioè le multinazionali e i fondi d’investimento – decidono di andare via. Non discutono: licenziano centinaia e centinaia di persone inviando Email: e lo fanno ignorando il Governo nazionale italiano e le Regioni che cercano di salvare i posti di lavoro.

Ora delocalizzano anche aziende italiane che vanno benissimo

Fino ad alcuni anni fa le delocalizzazioni avvenivano perché i titolari di queste imprese italiane finite nelle mani di soggetti non italiani – sempre multinazionali e fondi d’investimento – chiudevano tutto con la scusa della mancanza di commesse. Non era vero, perché poi si scopriva che nei Paesi dove si erano trasferiti le commesse spuntavano. Oggi non prendono nemmeno tale scusa. In questo momento, in Italia, sono in corso delocalizzazioni di imprese italiane che vanno benissimo, sono piene di commesse e fanno utili. Il caso della Riello in Abbruzzo è emblematico, ma non è il solo. E allora perché le multinazionali e i fondi d’investimento se ne vanno? Perché in Italia, ammettiamo, guadagnano 100, mentre andando in Romania, dove il costo del lavoro è di gran lunga inferiore al costo del lavoro in Italia, vanno a guadagnare 300. E quindi se ne vanno e non gliene frega niente se in Italia buttano in mezzo alla strada centinaia di famiglie. Così assistiamo ai compressori Embraco finiti in Slovacchia; la Bekaert, produttore di cordino metallico per gli pneumatici, che dopo aver acquisito dalla Pirelli la fabbrica di Vigline Valdarno ha spostato le attività in Romania; o Whirlpool, che ha annunciato che avrebbe dovuto riportare alcune produzioni in Italia dalla Polonia, che invece si accinge a chiudere lo stabilimento di Napoli; quindi la marchigiana Elica pronta per la Polonia, la bresciana Timken che ormai opera in Romania. E l’elenco potrebbe continuare.

Il Governo di Mario Draghi è parte del problema

A fronte di questo problema gravissimo il tanto celebrato Governo Draghi che sta facendo? Assolutamente nulla. L’Italia ha varato fino ad ora due leggi inutili per contrastare la delocalizazione: la legge di stabilità del 2014 e il Decreto Dignità, gloria e vanto dei grillini che, forse, è un provvedimento ancora più inutile della legge di stabilità del 2014. Perché? Perché interviene solo se la delocalizzazione delle aziende riguarda Paesi che non fanno capo all’Unione europea; peccato che i tanti casi di delocalizzazione riguardano i Paesi dell’Unione europea: è il caso della Romania, che è stata invitata ad entrare nella Ue proprio con la promessa che tante imprese d’Europa avrebbero ‘investito’ dalle loro parti: solo che gli ‘investimenti’ promessi dalla Ue non sono altro che delocalizzazioni. Mentre noi scriviamo l’Unione è in trattative con quattro o cinque Paesi poveri, che dovrebbero entrare nella Ue con la promessa di ‘investimenti’: cioè di altre delocalizzazioni: cioè di altre aziende – prevalentemente italiane – che smonteranno gli stabilimenti in Italia e si trasferiranno da quelle parti, gettando in mezzo alla strada migliaia di famiglie italiane. Voi lo vedete Draghi che si oppone a un progetto voluto proprio dalla Ue? Ci vuole molto a capire che il capo del Governo italiano è un ‘europeista convinto’?

Delocalizzazioni e crisi dell’agricoltura provocheranno, in prospettiva, una grande crisi della natalità. I migranti servono per ‘rimpolpare’ la popolazione italiana con soggetti privi di diritti. La graduale trasformazione degli italiani in migranti senza diritti 

Per chi ancora non l’avesse capito, la delocalizzazione è promossa dall’Unione europea per questioni geopolitiche, cioè di ampliamento dell’Eurozona. Loro – gli ‘eurocrati’ – sanno che ci saranno Paesi che dovranno pagare in termini economici e sociali per consentire all’Unione europea di ‘investire’ nei nuovi Paesi Ue a bassa economia: e tra questi Paesi c’è l’Italia. Le delocalizzazioni e l’attacco all’agricoltura con i prodotti a basso prezzo che invadono i mercati italiani non distruggono solo l’economia: minano alla base anche la società, riducendo la natalità, perché in un clima di incertezza crescente non tutti pensano a crearsi una famiglia con i figli. La Ue ha pensato anche a questo: per ‘rimpolpare’ la decrescita della popolazione – che aumenta all’aumentare delle delocalizzazioni e al massacro dell’agricoltura – in Italia debbono arrivare tanti migranti con le famiglie, che, in prospettiva, debbono essere ‘integrati’ nella società italiana, ovviamente senza grandi pretese in materia di diritti del lavoro. L’obiettivo della Ue non è fare crescere le economie dei Paesi che entrano nell’Unione, che invece debbono mantenere il costo del lavoro basso e l’assenza di diritti per favorire multinazionali e fondi d’investimento; l’obiettivo, come scrive acutamente il filosofo marxista, Diego Fusaro, è trasformare, in prospettiva, gli italiani in in soggetti senza diritti come i migranti: cittadini pronti a farsi sfruttare. Secondo voi perché la televisione, da qualche tempo a questa parte, ci tartassa con le pubblicità che ci invitano a mettere in vendita i capi d’abbigliamento che non indossiamo più? Perché ci debbono abituare, piano piano, a diventare sempre più poveri. Riuscite a immaginare l’Italia degli anni ’80 – I’talia che era allora tra le massime potenze industriali del mondo – che invitava i cittadini a mettere in vendita i capi d’abbigliamento usati? L’Italia degli anni ’80 era l’Italia dell’alta moda; l’Italia di oggi è un Paese con 13 milioni di poveri, di cui 5 milioni indigenti…

Foto tratta da La Voce Trasporti & Diritti

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