La fine del 600: il disordine politico e sociale, il terremoto della Val di Noto/Storia della Sicilia del professore Massimo Costa 31

30 maggio 2021
  • Lo scoppio della Rivoluzione di Messina: Merli e Malvizzi
  • Arrivano i Francesi del Re Sole
  • Alla fine i Francesi decidono di ritirarsi, tradendo i Messinesi
  • Messina è letteralmente decapitata
  • Il volto sempre più autoritario dei Viceré
  • Nel frattempo la Sicilia supera il milione di abitanti
  • Il terremoto del Val di Noto e la ricostruzione
  • Sotto un viceré discendente di Cristoforo Colombo si estingue la casa reale spagnola

Lo scoppio della Rivoluzione di Messina: Merli e Malvizzi

I primi anni del Regno di Carlo II furono segnati da diversi viceregnati sui quali non vale la pena
soffermarsi in modo specifico (l’Albuquerque, il Ligny, il Benavides, il Villafranca, il Guzman, il
Gonzaga), giacché il fatto politico ben più rilevante fu altro: una guerra civile che stava per riportare i
Francesi in Sicilia. Si ebbe un primo tumulto popolare nel 1673 a Trapani, condotto da artigiani e popolo minuto.
Progetto sconclusionato, forse, impossibile da realizzarsi, facile da sventare, ma spia di un profondo e
crescente malessere dei Siciliani sotto i re stranieri ed evidente segno che l’autocoscienza nazionale dei
Siciliani non era mai venuta meno. L’ideatore della congiura, il cavaliere Fardella, fu consegnato alla
giustizia e decapitato. Ma la vera minaccia per la corona spagnola sarebbe venuta proprio dalla città di Messina. Il lungo
malessere si era tradotto in un conflitto tra due partiti: quello popolare dei Merli, appoggiato dallo
Stratigoto dell’Oyo, e tollerato dal governo viceregio, e quello aristocratico dei Malvizzi. Lo Stratigoto
tollerò un tumulto popolare e introdusse una riforma degli ordinamenti municipali in senso
democratico: non più due ma tre su sei senatori dovevano essere eletti dal popolo, il Senato (cioè la
giunta) doveva decidere ora solo con il consenso dei Consoli delle arti e veniva spossessato della
funzione annonaria, affidata a un magistrato eletto dai mercanti. Bisogna però avvertire che il “popolo”
dei Merli era in verità la media e piccola borghesia, mentre il popolino era spesso arruolato, come
servitori o plebe, nel partito aristocratico dei Malvizzi. Il Ligny, accorso a Messina, cercò di revocare
alcuni eccessi, riportare l’ordine anche nelle troppe esenzioni tributarie rivendicate dai Messinesi, ma il
fuoco continuava a covare sotto la cenere.

Arrivano i Francesi del Re Sole

L’esplosione arriva alla fine del 1674: il partito dei Malvizzi si impossessa delle fortificazioni senatorie,
revoca alcune delle riforme (ma non la partecipazione popolare al Senato) e assedia il nuovo Stratigoto
filo-popolare, facendolo infine fuggire. Il partito dei Merli fu sterminato con una vera e propria strage. I
popolani superstiti si piegarono alla repubblica aristocratica. Il viceré Benavides non poté far altro che
muovere guerra a Messina. Messina chiama allora in Sicilia il re Sole, Luigi XIV, da cui riceve
rifornimenti alimentari, e aiuti militari. Il Duca di Vivonne arriva in Sicilia e viene accolto come Viceré
per conto del re di Francia. La guerra continuò però stancamente per circa quattro anni. I Francesi, pur
con estremi sforzi, non arrivarono ad occupare altro che Augusta, Taormina e pochi altri centri. Ma gli
Spagnoli, per contro, non riuscirono mai a prevalere e si limitarono ad una guerra di posizione,
tentando di prendere per fame la città dello Stretto. Curioso che da parte calabrese, appartenente pure
alla corona spagnola via Napoli, ci si limitasse al blocco alimentare, senza alcuna azione militare di
sostegno. Furono chiamati in aiuto come vassalli i Cavalieri di Malta, che faticosamente erano stati
ricondotti all’ordine; ma questi, per avere molti cavalieri francesi in organico, ricusarono obiettando che
nella concessione di Carlo V non era prevista guerra contro altri regni cristiani; ricusazione del tutto
pretestuosa, giacché non erano chiamati per una guerra di offesa, ma per difendere l’integrità del Regno.
La guerra va in stallo I Francesi si resero invisi ai Messinesi, stando ai cronisti del tempo, per il poco rispetto con cui
trattavano le donne locali. Lo schierarsi dei Messinesi con i Francesi destò antiche memorie storiche, mai sopite, e rese questa scelta del tutto impopolare in Sicilia. Gli Spagnoli chiesero aiuto navale agli
Olandesi, ma anche questo non si rivelò decisivo. Segnaliamo una curiosità istituzionale nel rapido
alternarsi di Viceré e Presidenti, i quali ebbero ben poco tempo di dedicarsi al governo ordinario, e non
poterono convocare il Parlamento, andando in semplice prorogatio dei donativi ordinari: una breve
presidenza femminile. Morendo il Viceré Guzman, doveva succedergli un luogotenente ad interim, il
cardinal Portocarrero, che, però, si trovava al momento fuori dal Regno, e quindi il viceré morente
dispose la sua sostituzione provvisoria da parte della moglie, Eleonora de Mora. La Corte spagnola
disapprovò la successione, con la motivazione specifica che essendo il Presidente del Regno “Legato
Apostolico” nato, era anche in un certo senso sacerdote, e quindi la carica non poteva, neanche
temporaneamente, essere affidata a una donna. Il Sacro Regio Consiglio, tuttavia, non la fece succedere
nell’Apostolica Legazìa e la confermò Presidentessa per l’ordinaria amministrazione, cosa che la
marchesa gestì normalmente, affidando ad altri tuttavia la campagna militare nel messinese.

Alla fine i Francesi decidono di ritirarsi, tradendo i Messinesi

Alla fine, per altri motivi, Francia e Spagna fecero pace, e Luigi XIV si ritirò semplicemente da
Messina, non chiedendo neanche un indulto per quella città che per anni si era fidata di lui e lo aveva
acclamato re di Sicilia. I Francesi si ritirarono con gran viltà da Messina e, prima di andare via,
addirittura saccheggiarono Augusta, abbandonando poi i ribelli alla vendetta del governo regolare. Circa
diecimila messinesi su ottantamila, in pratica tutta la classe dirigente, presero la via del mare e fuggirono
in Francia prima che rientrassero le armi regolari del Viceré Gonzaga, il quale appena arrivato (1678) si
trovò a sedare senza sparare un colpo la più grave ferita istituzionale che la Sicilia conosceva dai tempi
dell’interregno della Regina Bianca. Il Gonzaga, tuttavia, proclamò un indulto, e si preoccupò dall’esodo
dei Messinesi che il commercio della capitale economica della Sicilia ne ricevesse un danno irreparabile.
Cercò di essere mite, pretendendo soltanto che venissero fuse tutte le monete coniate con il volto del re
Sole come Re di Sicilia, prima di chiudere per sempre la zecca di Messina, da allora in poi spostata
definitivamente a Palermo. Dal punto di vista monetario, questa utilizzò macchinari nuovi e più
efficienti; ricordiamo che, però, a causa dell’inflazione, non sono più coniati i piccioli, ma la moneta più
piccola sono da ora in poi i “tre piccioli”, o “terdenari”, o “mezzo grano”. La politica del Gonzaga,
però, sembrò troppo morbida in Spagna, e, richiamato con un pretesto, fu sostituito dal Bonavides, che
esercitò su Messina la più spietata delle vendette. La durata del conflitto dà il segno della debolezza della Spagna, che molto a fatica riportò l’ordine in Sicilia. I Messinesi non potevano sperare in alcun modo di vincere con le loro sole forze. Ma avevano
dimostrato che una rivoluzione nazionale siciliana era quanto meno possibile. Forse avevano sbagliato a
dare una connotazione troppo municipale alla stessa, e soprattutto avevano sbagliato del tutto alleato,
individuandolo proprio nei Francesi, esecrati da tutto il Popolo siciliano per perenne memoria storica.

Messina è letteralmente decapitata

Bonavides venne in Sicilia con l’intenzione di decapitare per sempre la ricca città siciliana, e – con
l’occasione – violò non poche delle libertà municipali sino a quel momento rispettate. Soppresse la
carica di Stratigoto, risalente a Ruggero I, con i suoi poteri speciali, anche in sede giudiziaria, e la sostituì
con un Governatore, nominato direttamente dal Viceré. La città di Messina perse ogni autonomia. Il
suo Senato fu sciolto, il palazzo senatorio distrutto e la sede cosparsa di sale. Al suo posto una modesta
giunta di nomina governativa, gli “Eletti”, con un modesto stipendio. Sciolta la prestigiosa “Accademia
Militare della Stella”. Azzerati i privilegi tributari. Abolita la partecipazione popolare a qualunque
elezione civica. Vietato l’uso privato delle armi. Ridotto l’indulto proclamato dal suo predecessore.
Confiscati al Regio Demanio tutti i beni di ribelli e fuoriusciti. L’archivio del Senato, ricchissimo di
manoscritti e pergamene che risalivano ai primi tempi normanni, saccheggiato e disperso. I manoscritti
greci ivi contenuti presero la via della Spagna e da allora se ne perse notizia. La prestigiosa Università fu
chiusa. La campana di bronzo della Cattedrale fusa e, con lo stesso bronzo, eretta una statua di Carlo II che sconfigge l’idra della Rivoluzione. Nel porto, alla base della Penisola di San Ranieri, dove un tempo
era l’archimandridato di Messina, già trasformato in fortezza, si costruì una inespugnabile Cittadella
militare, pronta a bombardare la città in caso di bisogno. La cittadella di Messina sarebbe sopravvissuta
fino al 1861. In una parola, la Messina politica fu annientata, tutto il potere fu accentrato a Palermo, ma
la potenza commerciale, ridimensionata, nonostante tutto sopravvisse, sebbene non si sia ripresa mai
del tutto. Il Banco comunale, la Tavola di Messina, utile all’economia del Regno, sopravvisse a questa
tempesta. Ma il declino era iniziato. Anche da un punto di vista commerciale e demografico Catania ne
cominciò a insidiare il ruolo.

Il volto sempre più autoritario dei Viceré

Il Bonavides stava dimettendo i panni del Viceré “costituzionale” che avevano avuto a lungo i suoi
predecessori, e cominciava ad assomigliare ad un vero e proprio governatore straniero. Anche a
Catania, pur agevolata dal Viceré, furono abolite le elezioni municipali e così a Noto, Caltagirone,
Augusta. Il governo spagnolo si stava impadronendo delle città demaniali, un tempo fiere difenditrici
dell’Autonomia del Regno. Anche a Siracusa, capoluogo della Camera reginale, ridusse a due il numero
di Senatori scelti dai cittadini. Sulla potente Città di Palermo, invece, nulla poté.
Sempre più abusi costituzionali Non mancarono gli abusi di potere da questo momento in poi, proprio a iniziare con il viceré
Bonavides, che arrivò a imporre sentenze alla magistratura, segno della decadenza dei tempi e del
mancato rispetto della costituzione siciliana; tale atto generò contestazioni e malumori in tutto il
Regno, ma fu sostenuto sino all’ultimo da Madrid. Si erano saltate addirittura due legislature,
convocando un Parlamento a nove anni di distanza dal precedente, ciò che dall’inizio del regno di
Giovanni non era mai accaduto. Anche se poi sarebbe stato convocato nuovamente, fino alla fine del
secolo non mancarono altri ritardi, mai accaduti prima. Alcuni magistrati delle supreme cariche furono
destituiti, e reintegrati solo dopo una supplica al re: tra questi, inaudito, anche il Presidente della Gran
Corte, cioè l’erede di quello che un tempo era il “Gran Giustiziere”.

Nel frattempo la Sicilia supera il milione di abitanti

Notiamo ancora un fatto demografico importante durante il viceregno del Bonavides, sebbene la nostra
storia sia una storia politica e non socio-economica, ma il rilievo è tale da non poter essere ignorato. Il
censimento del 1681 diede, per la prima volta nella storia, una popolazione superiore al milione, segno
che, nonostante tutto, la Sicilia agricola era cresciuta negli ultimi secoli dando sussistenza ad un numero
sempre più ampio di persone. La fine del Seicento vide anche una riforma che semplificava l’esecutivo del Regno. L’antica curia
regis, cioè il consiglio ristretto del re, che risaliva a Ruggero II (che prima ancora della proclamazione
del regno, seppure in maniera meno stabile, era stata la curia comitale), col tempo, alla restaurazione di
re Martino, era stata stabilizzata con il nome di Sacro Consiglio, e infine, in epoca viceregia, con quello
di Sacro Regio Consiglio, di cui facevano parte le 27 più alte magistrature del Regno. Il S.R.C., sorta di
Consiglio di Stato, riceveva il giuramento del Viceré (in mancanza del Re), esaminava tutte le nuove
leggi e prammatiche e gli affari più importanti del Regno (era quindi un organo in parte giuridico-
consultivo, in parte propriamente politico ed esecutivo). Essendo costituito da funzionari a nomina
vitalizia o comunque lunghissima, era il cuore del potere politico del Regno e il baluardo della sua classe
dirigente. Alla morte del Viceré, se questi non aveva designato un sostituto provvisorio (il “Presidente
del Regno”, spesso un altro prelato), assumeva temporaneamente il Governo dello Stato, sotto la
presidenza della più alta carica del potere giudiziario (fino al 1562 il Maestro Giustiziere, poi il Presidente della Gran Corte Civile e Criminale). Per rendere più snello questo organismo, appunto, sul finire del Seicento, il Viceré per le decisioni di legittimità più importanti, lo sostituì con una ristretta “Giunta dei Presidenti e Consultore”, della quale, oltre allo stesso Viceré,
facevano parte solo i tre Presidenti dei tre più importanti tribunali del Regno (la Gran Corte Civile e Criminale, il Tribunale del
Real Patrimonio, Il Tribunale del Concistoro e del Sacra Regia Coscienza, cioè la massima giurisdizione
ordinaria, contabile ed amministrativo-costituzionale), oltre al Consultore (uno speciale magistrato che
rappresentava gli interessi dello Stato nelle più alte magistrature e quindi all’incirca un avvocato dello
Stato). Questa suprema magistratura sarebbe durata fino alla fine del Regno e oltre, fino al dicembre del
1818, quando fu soppressa dal regime delle Due Sicilie. Altra innovazione della seconda metà del Seicento fu l’introduzione di un “Segretario di Stato” alle dipendenze del Viceré, sorta di vero “ministro” già nel senso moderno del termine, più che
“magistrato”.

Il terremoto del Val di Noto e la ricostruzione

Il secolo si chiude infine nel 1693 con il terribile terremoto del Val di Noto che avrebbe distrutto intere
città, tra le quali Catania. Non parleremmo qua di quello che in fondo fu solo un evento naturale, se
questo non avesse avuto, negli anni successivi, uno straordinario effetto artistico e culturale. Da sola, la
Sicilia, in pochi anni ebbe la forza di ricostruire le città distrutte secondo schemi barocchi che
avrebbero poi caratterizzato per sempre quel distretto dell’Isola. La città di Noto, in particolare, venne
ricostruita ex novo su un altro sito. Mentre il viceré Uzeda si dedica agli studi matematici, il regno è abbandonato a se stesso
Il successore di Bonavides, l’Uzeda, si disinteressò del tutto al governo della Sicilia, che affidò ai suoi
segretari, per dedicarsi ai suoi studi di matematica. È vero che le cronache dei tempi parlano dei suoi
provvedimenti per ripulire le campagne dai briganti o proibire l’uso privato delle armi, ma – a nostro
avviso – tutto ciò appare piuttosto come segno di una decadenza dell’ordine in linea con il degrado
progressivo delle istituzioni negli ultimi anni dei re spagnoli. Se non altro, non essendoci più il pugno di
ferro del predecessore, era più accetto ai Siciliani. Ma il disordine cresceva. Il secondo, in ordine
cronologico, dei suoi due Segretari avrebbe violato le prerogative dei Tribunali, le violenze di ricchi e
potenti erano tollerate, le cariche pubbliche messe in vendita. Forse, in tanto degrado, una luce fu la
costituzione del “Porto Franco” a Messina, segno di volontà di ristoro, almeno da un punto di vista
commerciale, rispetto alle recenti punizioni, ciò che attirò mercanti di varie nazionalità e, addirittura,
vide la ricostruzione di una “Giudecca” a secoli di distanza dall’espulsione degli Ebrei.

Sotto un viceré discendente di Cristoforo Colombo si estingue la casa reale spagnola

L’ultimo viceré di Casa Asburgo, Colòn di Veraguas, un lontano discendente di Cristoforo Colombo, a
parte una congiura tutto sommato irrilevante, capeggiata dallo speziale Francesco Ferrara, volta ancora
a cacciare i re spagnoli e sterminare la nobiltà, non si distinse per altro se non per lo sfarzo delle feste
barocche con cui intrattenne la vanagloria di una capitale decaduta. Nel 1700 l’infelice Carlo II (di Spagna e di Sicilia), da sempre malato, muore all’età di soli 39 anni, senza lasciare eredi diretti. La Casa Asburgo di Spagna è estinta. Per la Sicilia e per l’intero impero
spagnolo si apre una fase di grande incertezza. Carlo lasciava un testamento con cui proclamava erede il
nipote Filippo, duca d’Angiò; nessuno in quel momento era più in grado di far valere il diritto, mai
revocato in teoria, del Parlamento di Sicilia di deliberare la successione in caso di estinzione della dinastia regnante.

Cronologia politica della Sicilia sotto gli Asburgo di Spagna (omettiamo, per brevità, quasi
tutti i “Presidenti del Regno”):
1516-1556 Carlo I
Viceré:
1516 Ugo de Moncada
1516 Simone Ventimiglia, marchese di Geraci e Matteo Santapau, marchese di
Licodia (Presidenti “rivoluzionari”)
1517/18-1535 Ettore Pignatelli, conte di Monteleone (prima Luogotenente e poi Viceré
1535-1546 Ferdinando Gonzaga
1547-1556 Giovanni de Vega
1556-1598 Filippo I (II di Spagna)
Viceré:
1556-1557 Giovanni de Vega
1557-1565 Giovanni della Cerda, duca di Medinaceli
1565-1567 Garzia de Toledo
1567-1568 Carlo d’Aragona e Tagliavia, p.pe di Castelvetrano, presidente
1571-1577 Carlo di Aragona e Tagliavia, p.pe di Castelvetrano, presidente (di nuovo)
1577-1584 Marco Antonio Colonna
1585-1592 Diego Enriquez de Guzman, c.te di Albadalista
1592-1595 Arrigo de Guzman, conte di Olivares
1598 Bernardo de Cardines, duca di Macqueda
1598-1621 Filippo II (III di Spagna)
Viceré:
1598-1601 Bernardo de Cardines, duca di Macqueda (in continuità)
1602-1606 Lorenzo Suarez de Figueroa, duca di Feria
1606-1610 Giovanni Fernandez Paceco, m.se di Vigliena
1610-1611 Card. Giannettino Doria, arciv. di Palermo, luogotenente
1611-1616 Piero Giron, duca d’Ossuna

1616 Card. Giannettino Doria, arciv. di Palermo, luogotenente (di nuovo)
1616-1621 Francesco de Lemos, c.te di Castro
1621-1665 Filippo III (IV di Spagna)
Viceré:
1621-1624 Emanuele Filiberto di Savoia
1624-1626 Card. Giannettino Doria, arciv. di Palermo, luogotenente (di nuovo)
1626-1627Antonio Pimentel, m.se di Tavora
1627-1632 Francesco Fernandez de la Cueva, duca di Albuquerque
1632-1635 Ferdinando Afan de Ribera, duca di Alcalà, luogotenente
1639-1640 Francesco de Mello di Braganza, c.te di Assumar
1641-1644 Giovanni Alfonso Henriquez de Cabrera, c.te di Modica
1644-1647 Pietro Faxardo Zunica e Requesens, m.se de Los Velez
1647 Vincenzo Guzman, m.se di Monte Allegro, luogotenente
1647-1649 Card. Teodoro Trivulzio, luogotenente
1649-1651 Giovanni Asburgo “d’Austria”
1651-1655 Rodrigo Mendoza Roxas e Sandoval, duca dell’Infantado
1655-1656 Giovanni Teglies de Giron, duca di Ossuna
1656-1657 Fra Martino Redin, cavaliere di S.Giovanni di Malta, luogotenente
1657 Giovan Battista Ortiz d’Espinosa, presidente
1657-1660 Mons. Pietro Martinez Rubeo, luogotenente
1660-1663 Ferdinando d’Ayala, c.te di Ayala
1663-1665 Francesco Gaetano, duca di Sermoneta
1665-1700 Carlo II (sotta la reggenza della regina Marianna d’Austria fino al 1677)
Viceré:
1665-1667 Francesco Gaetano, duca di Sermoneta (in continuità)
1667-1670 Francesco Fernandez de la Cueva, duca di Albuquerque
1670-1674 Claudio Lamoraldo, p.pe di Ligny

1674-1676 Federico Toledo ed Osorio, m.se di Villafranca
1676-1677 Aniello de Guzman, m.se di Castel Roderico
1677 Eleonora de Mora e Corte, reggente ad interim
1677-1678 Card. Ludovico Fernandez Portocarrero, luogotenente ad interim
1678 Vincenzo Gonzaga, p.pe del S.R.I. dei duchi di Mantova
1678-1687 Francesco de Bonavides, c.te di S.Stefano
1687-1696 Giovanni Francesco Paceco duca di Uzeda
1696-1700 Pietro Colon, duca di Veraguas

Fine 31esima untata/ Continua

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