Covid-19: siamo sicuri che la vaccinazione con vaccini che non ci proteggono dall’infezione sia la via giusta?/ MATTINALE 520

9 marzo 2021
  • Ci poniamo questa domanda davanti all’ipotesi di una “super zona rossa” di tre settimane per spingere la vaccinazione
  • Il concetto di “adattamento inverso”
  • La malattia di Marek
  • “Non è un dogma, ma una probabilità”

Ci poniamo questa domanda davanti all’ipotesi di una “super zona rossa” di tre settimane per spingere la vaccinazione

“Mi auguro che arrivino i vaccini”. “Con l’accelerazione dei vaccini la via d’uscita non è lontana”. “Ipotesi super zona rossa: tre settimane di stop per vaccinare tutti”. Sicilia: “Pochi insegnanti vaccinati”. Qualcuno sta riflettendo sul tipo di vaccini che stanno propinando in mezzo mondo? Sì e no. Una mezza riflessione sulle variati del SARS-COV-2 c’è: le varianti potrebbero mettere i bastoni tra le ruote alla campagna di vaccinazioni appena avviata. “Se il Coronavirus circola tra la popolazione vaccinata in maniera sostenuta, mentre la stessa popolazione sta sviluppando la risposta immunitaria, questo potrebbe facilitare l’emergere di ceppi virali resistenti agli anticorpi generati dal vaccino. Mutazioni prodotte in modo casuale che in persone non prenderebbero piede potrebbero invece diventare prevalenti”. Ci siamo? No, c’è un po’ di confusione. Messa così la possibile evoluzione del virus non è molto chiara. Noi siamo fermi allo scenario illustrato su I Nuovi Vespri da Marco Lo Dico, veterinario, specialista in Malattie Infettive, Profilassi e Polizia Veterinaria. La sua non è una certezza, ma una probabilità. Uno scenario che parte dal tipo di vaccini che si stanno utilizzando per combattere questo virus.

Il concetto di “adattamento inverso”

“Normalmente – scrive Marco Lo Dico – un patogeno che circola in natura, convivendo con il suo ospite, attenua la sua virulenza adattandosi all’ospite. Per le varianti che si selezionano sotto pressione vaccinale, con vaccini che non proteggano dall’infezione, può essere il contrario…”. Siamo arrivati al punto centrale di questa vicenda: i vaccini che non ci proteggono dall’infezione: che sono i vaccini che si stanno utilizzando in questa campagna vaccinale. Ricordate? Anche se vaccinati possiamo sempre prendere l’infezione e trasmetterla agli altri. Tant’è vero che, anche se vaccinati, ci invitano a continuare a portare la mascherina e a continuare a rispettare il distanziamento con le persone. In pratica, questo vaccino ci difende dalla malattia, ma non dall’infezione. “La pressione selettiva di vaccini che proteggono dalla malattia, ma non dall’infezione può causare un adattamento inverso. Nell’adattamento naturale i più fragili e i virus più patogeni divengono un limite alla diffusione del virus. Il soggetto morto esaurisce in sé la diffusione del virus, come il ceppo più virulento uccide l’ospite, ma anche se stesso riducendo la sua possibilità di circolare nella popolazione. Nei vaccini che non proteggono dall’infezione, invece, i soggetti vaccinati sono protetti dalla malattia o comunque fanno forme ‘frustre’ e meno gravi, ma consentono la circolazione del virus e, continuando a circolare senza esaurirsi nell’ospite, possono favorire la selezione di varianti più virulente. Non è un dogma, ma una probabilità. Probabilità che è evidente ed evidenziata in forme epidemiche in veterinaria e confermata da studi in medicina veterinaria, che in ambito virologico sono, per ovvi motivi, più complete di quanto possa avvenire in medicina umana”.

La malattia di Marek

Il dottor Lo Dico cita anche un caso conosciuto in veterinaria: la malattia di Marek che colpisce i polli. “Studi sulla possibilità che una pressione vaccinale con un vaccino che non previene dall’infezione e che quindi possa contribuire all’insorgenza di forme più virulente sono stati effettuati e sono ben noti da tempo. Un esempio può essere la malattia di Marek nei polli, patologia che determina danni economici ingenti quando entra in un pollaio. Ebbene, l’uso di vaccini che proteggono dalla malattia e non dall’infezione utilizzati in massa nei pollai ha evidenziato la selezione di ceppi sempre più virulenti. La mia non è una ipotesi, ma una evidenza scientifica conosciuta da chi conosce le malattie infettive. Spesso, sentendo parlare alcuni esperti infettivologi umani dubito che le conoscano o, se le conoscono, fanno finta di non conoscerle. Non so se sono riuscito a illustrare il fenomeno, ma i dati scientifici in altre circostanze hanno dimostrato questo e, nel rispetto del principio di precauzione, se ne dovrebbe tenere conto”.

“Non è un dogma, ma una probabilità”

Si sta tenendo conto di questo possibile effetto? Ce lo chiediamo perché se questo scenario – che, come spiega il dottor Lo Dico, non è un dorma, ma una probabilità confermata in studi di medicina veterinaria, bisognerebbe tenerne conto. Se ne sta tenendo conto? Non ci sembra. tant’è vero che, anche se in modo confuso – almeno in Italia registriamo confusione – si sta provvedendo verso la vaccinazione di massa utilizzando un vaccino che non protegge dall’infezione. E, adesso, addirittura, per completare la vaccinazione di massa, si pensa a una chiusura di tre settimane: tre settimane di lockdown, per dirla all’inglese (un omaggio al regno Unito che non fa più parte dell’Unione europea…), per completare la vaccinazione. Che succederebbe se si dovesse verificare la probabilità indicata dal dottor Lo Dico? Che succederà se si verificherà “un adattamento inverso”? Non è un dogma, ma una probabilità.

Foto tratta da Il Messaggero 

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