Chi c’è dietro le dimissioni del segretario del PD, Nicola Zingaretti? Le ombre di Renzi e Di Battista/ MATTINALE 517

5 marzo 2021
  • La reazione politica a catena innescata da Alessandro Di Battista
  • Sfuma il progetto di far confluire il Movimento 5 Stelle dentro il PD
  • La mossa di Ignazio Corrao che ha fatto esplodere le contraddizioni nella gestione del nuovo Ministero della ‘Transizione ecologica’ 
  • La discesa in campo di Giuseppe Conte toglierà voti al PD: da qui il caos dentro lo stesso PD
  • Il ruolo di Renzi che, da fuori, governa i ‘movimenti’ interni al PD

La reazione politica a catena innescata da Alessandro Di Battista

Si chiamano reazioni a catena, o effetto valanga. E, oltre che in fisica e in chimica, sono presenti anche nella vita politica. Le dimissioni del segretario del PD, Nicola Zingaretti, sono l’effetto di una reazione innescata secondo alcuni osservatori da Matteo Renzi, secondo altri osservatori da Alessandro Di Battista. O forse da entrambi. Renzi – e chi sta dietro di lui – mandando via da Palazzo Chigi Giuseppe Conte, ha aperto i giochi e consegnato l’Italia all’Unione europea dell’euro. Ma senza l’intervento di Di Battista il caos politico di queste ore non sarebbe esploso. Perché? Perché fino a quando Di Battista se ne stava nel suo eremo a pontificare su Facebook, tutto andava bene. Ma quando si è sparsa la voce che sarebbe sceso in campo con un proprio movimento, tra i grillini governativi si è diffuso il panico. Perché Di Battista, in campo con un suo Movimento, alle prossime elezioni, ‘svuoterebbe’ il Movimento 5 Stelle, già messo malissimo. Di Battista, insomma, ha fatto saltare i delicati equilibri interni a quel poco che resta del Movimento grillino. Da qui un effetto a catena che ha colpito Zingaretti, di fatto costretto alle dimissioni dalla segreteria del suo partito. Proviamo a illustrare i passaggi di questa reazione politica a catena.

Sfuma il progetto di far confluire il Movimento 5 Stelle dentro il PD

Per motivi mai chiariti, Beppe Grillo ha deciso di appiattire il Movimento 5 Stelle sul PD. Il perché di questa scelta potrà essere più chiaro quando si completeranno alcuni passaggi politici e non. La decisione di Grillo – ribadiamo: attualmente ancora incomprensibile e politicamente assurda – è maturata nell’Estate del 2019. La mossa – che probabilmente i ‘capi’ del Movimento 5 Stelle governativi dovrebbero conoscere – presuppone la confluenza del Movimento 5 Stelle nel PD. E’ questo il motivo per il quale, nelle Regioni amministrate dal PD, i grillini sono stati ‘intruppati’ nelle rispettive Giunte regionali. L’abilità di Grillo, fino ad oggi, è consistita nel portarsi dietro la grande maggioranza del gruppo parlamentare grillino della Camere e del Senato. Aiutato, in questo, da Di Battista, che si è illuso di poter ‘sfilare’ il Movimento a Grillo. L’ultima vittoria di Grillo si è trasformata, in realtà, in una vittoria di Pirro. Infatti il 60% di sì al Governo Draghi raccattato sulla piattaforma Rousseau con la storiella della Transizione ecologica si è già trasformato in una farsa con il progetto miliardario del mega campo eolico marino al largo delle isole Egadi, che dipende beffardamente dal Ministero della ‘presunta’ Transizione ecologica.

La mossa di Ignazio Corrao che ha fatto esplodere le contraddizioni nella gestione del nuovo Ministero della ‘Transizione ecologica’ 

Pronto accomodo, l’europarlamentare Ignazio Corrao – grillino della prima ora che ha già lasciato da tempo il Movimento – ha fatto esplodere la ‘bomba’ del citato mega campo eolico marino nel Mediterraneo (il sì del Ministero a questo progetto trasformerebbe la ‘Transizione ecologica’ in quello che, in parte, è già: in una farsa). Di Battista, annunciando la sua discesa in campo, ha mandato in fibrillazione tanti parlamentari grillini di Camera e Senato che Grillo teneva buoni a fatica. Per tutta risposta, lo stesso Grillo ha dovuto mettere in campo subito la candidatura di Giuseppe Conte alla guida del Movimento per evitare la ‘fuga’ di parlamentari verso Di Battista; ma così facendo ha messo in crisi il rapporto con il PD e il progetto di far confluire i grillini dentro lo stesso PD.

La discesa in campo di Giuseppe Conte toglierà voti al PD: da qui il caos dentro lo stesso PD

La gestione del Movimento da parte di Giuseppe Conte – che non punta a finire dentro il PD, ma a guidare autonomamente i grillini alle prossime elezioni politiche – ha mandato in tilt il PD. Conte, infatti, non ha il profilo di un rivoluzionario, ma di un moderato: e i voti li prenderà per buona parte al PD. Anche perché a prendere i voti grillini penserà Di Battista, mentre l’elettorato anti-euro – che in Italia cresce di giorno in giorno – se lo prenderà Gianluigi Paragone con il suo partito Italexit. Insomma, le reazioni a catena hanno gettato nello scompiglio il PD, che non è un partito del 40%, ma del 18% (dato elezioni politiche Marzo 2018) e che alle elezioni europee del 2019 ha preso addirittura meno voti rispetto all’anno precedente! In più, a sinistra del PD, si profila Potere al Popolo, formazione che si è sbarazzata degli ‘infiltrati’ e che alle elezioni politiche, con il proporzionale, toglierà al PD non meno di 6-8 parlamentari. Il tutto in un futuro Parlamento dove il numero di deputati e senatori è stato quasi dimezzato da una legge demagogica e insensata.

Il ruolo di Renzi che, da fuori, governa i ‘movimenti’ interni al PD

Questo scenario ha innescato una reazione dentro il PD. Renzi, è vero, ha lasciato il partito. Ma in queste ore l’ex segretario del PD sta lanciando messaggi precisi: con Conte in campo – sembra dire ai suoi ex compagni di partito – siete al 10-12%, cioè irrilevanti. La timida svolta a sinistra di Zingaretti – peraltro sbagliata, perché una sinistra non può restare dentro l’Europa dell’euro, che è al servizio delle multinazionali – non porta voti proprio perché contraddittoria. Su queste contraddizioni si è lanciato come un falco Renzi, invitando i moderati del PD a mettere in discussione la segreteria di Zingaretti. Che ha capito l’antifona e si è dimesso. Renzi rientrerà nel PD? Non esattamente. Che dietro l’attacco a Zingaretti da parte di alcuni settori del PD rimasti renziani nell’animo ci dovrebbero essere lo stesso Renzi ci sono pochi dubbi. Ma quale sia la strategia di Renzi è impossibile, in questo momento, comprenderlo. Con molta probabilità, con Conte in campo al vertice di un partito moderato, l’ex segretario del PD potrebbe pensare anche a un allargamento al centro, proprio per tagliare la strada a Conte. Ma è solo una supposizione. L’unica cosa certa è che, anche nelle dimissioni di Zingaretti, c’è lo zampino di Renzi. Anche se questa volta l’innesco non è arrivato da lui, ma da Di Battista, che, di fatto, ha mandato all’aria il piano di Beppe Grillo. Provocando, appunto, una reazione politica a catena.

Foto tratta da Fanpage 

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