Cosa è successo negli Stati Uniti. L’ombra delle elezioni elettroniche (o ‘postali’) in Italia

7 gennaio 2021

Che ci siano state cose incredibili nella gestione delle elezioni presidenziali americane è fuor di dubbio (per chi in questi ultimi due mesi, ovviamente, ha letto i giornali americani). Vedrete che, adesso, visto che il nuovo ordine mondiale ha messo a segno il colpo negli Stati Uniti d’America, proporranno le ‘elezioni elettroniche’ (o postali) anche in altri Stati. A cominciare dall’Italia  

di Massimo Costa

Che è successo negli USA e cosa sta succedendo?

Intanto, per quanto possa sembrare scontato, sgombriamo il campo dalle “verità di regime”. Le verità di regime sono che Trump, pur avendo avuto contati 75 milioni di voti, record mai registrato nella storia repubblicana di quel Paese, sarebbe stato superato dallo scialbo Biden, il quale avrebbe vinto in modo pieno e legittimo.

Sempre secondo la verità ufficiale i ricorsi “sono stati tutti respinti dopo essere stati attentamente tutti vagliati”. Niente di più irreale. Non voglio neanche riprendere qui gli infiniti elementi che concorrono a qualificare questa come la più grande truffa elettorale della storia. Quanto ai “tribunali”, non hanno quasi mai visto e analizzato un bel niente: hanno schivato sempre l’apertura del fascicolo per questo o quel vizio di forma.

Il caso più eclatante è stato quello del ricorso del Texas, seguito da altri Stati, che avrebbe potuto realmente scoperchiare il Vaso di Pandora. Ma, là, per ragion di stato, persino la Corte Suprema ha preferito non aprire il tappo. Si è limitata a dire che lo Stato del Texas non ha (diciamo con terminologia giuridica italiana) alcun “interesse ad agire” nel contestare la regolarità delle elezioni presidenziali in un altro Stato, come se gli effetti di quella illegittimità non si scaricassero pure sui cittadini del Texas. Ma tanto basta ai pennivendoli di regime per dire che “la Corte Suprema ha rigettato il ricorso”, magari aggiungendo che “non ha trovato alcuna irregolarità”.

LA CORTE SUPREMA – Ma tutto questo lo sappiamo già. L’ho voluto richiamare perché, lo stesso giorno di questo rigetto pilatesco, io dissi che il caso, da un punto di vista strettamente giuridico, era chiuso. Così come era falso, la sera del 7 Novembre, quando i media delle big tech, all’unisono, incoronarono Biden e oscurarono Trump, che la questione fosse chiusa, chiusa invece lo è stata per davvero all’indomani di questo clamoroso rigetto. Rigetto in una Corte che sulla carta avrebbe disposto di 6 giudici conservatori su 9, di cui ben 3 nominati dallo stesso Trump.

A quel punto mi sono messo a studiare un po’ il diritto costituzionale americano, tra gli schiamazzi degli “avventisti di Trump”, che sognavano improbabili svolte dal un momento all’altro, che invitavano a prendersi i pop corn e godersi lo “spettacolo” del “Kraken” che stava per essere rilasciato, che inventavano procedure costituzionali inesistenti, e, eravamo all’incirca al 10 Dicembre, arrivai alla pacifica conclusione che la strada legale per combattere i brogli era ormai chiusa.

Ma possibile mai che quello che ho fatto smanettando appena mezzora su internet non fosse chiaro a chiunque altro al mondo?

Restava uno spiraglio invero, ed era l’ultima vera carta che Trump avrebbe potuto, e forse dovuto, giocare, senza remore.

L’ORDINE ESECUTIVO DEL 2018 – Nel 2018 aveva emesso un’ordinanza per cui, in presenza di fondati sospetti di ingerenze estere sul voto americano, avrebbe potuto d’ufficio annullarlo, istituire una procura militare per controllare la regolarità del voto, e quindi avrebbe potuto insediarsi, seppure al prezzo di una legge marziale e una serie di arresti eccellenti.

Peccato che l’ordinanza (ordine esecutivo nel diritto USA) avesse una scadenza: il 18 dicembre. Non ebbe il coraggio di usarla, per paura forse che gli si gridasse al golpe (ma il vero golpe è quello che gli stavano facendo contro). A quel punto, non avendo giocato quella carta in tempo utile, davvero non gli sarebbe restato che rassegnarsi. E invece no: continui “rally”, cioè manifestazioni dei suoi sostenitori, di qua e di là.

Mi chiedevo: “ma a che serve aizzare la piazza?”. Capisco che è una manovra mediatica ed oggi tutto ciò è molto importante. Ma, sarà una deformazione professionale, a che serve giuridicamente la gente in piazza? Per il consenso? Ma non è che stiamo votando di nuovo?

Veniamo all’epilogo dell’Epifania. Al Congresso alcuni fedelissimi hanno contestato, come prevede la legge, il voto. Le Camere, separate, hanno respinto le obiezioni. Cosa notevole: non solo la Camera dei Rappresentanti, dove è noto che i Democratici disponevano di un’abbondante maggioranza e dove pure il gruppo dei contestatori era notevole, ha respinto le obiezioni, ma anche il Senato, e in maniera schiacciante, con solo un manipolo di repubblicani fedelissimo al Presidente e, dopo i disordini, ancora più assottigliato.

RISULTATO MODESTO – Tutto ciò è servito a ritardare dal 6 al 7 la proclamazione di Biden ed a lasciare il segno di un’elezione delegittimata dalle contestazioni. Questo sì, ma è un risultato molto modesto.

Chi invocava affinché Pence facesse un atto rivoluzionario, ribaltando le liste, gli stava chiedendo un coraggio che Pence non ha mai avuto e, francamente, un’esposizione a contestazioni legali che neanche a Trump sono state rivolte sino ad ora. Gli si chiedeva troppo, un atto di rottura istituzionale, per di più in un Congresso ostile. Fantasie, su.

IL POPOLO AMERICANO IN PIAZZA – La manifestazione oceanica di Washington però ha movimentato l’evento e ha segnato la storia, questo almeno riconosciamolo. Mai così tanta gente si era mobilitata da ogni parte degli USA per contestare il voto ufficiale. Fin qui l’esito mediatico era anche positivo. E forse anche l’occupazione simbolica del Congresso, se fosse potuta restare nei binari di una opposizione pacifica, avrebbe lasciato il segno.

Ma qua è intervenuta, un classico direi, la strategia della tensione. I militanti Antifa e BLM, riconoscibili nei loro caporioni persino dalle foto girate sui social, si vedono aprire misteriosamente la porta dall’interno dagli stessi poliziotti. Salvo poi inscenare improbabili entrate dalla finestra che fanno il giro del mondo. Naturalmente tra le migliaia di entrati nel Congresso c’erano anche sinceri militanti trumpiani, che si sono trovati poi travolti in un gioco più grande di loro.

Un po’ di spari, qualche morto, molti feriti, e il Trump “golpista” è stato servito su un piatto d’argento.

Il vantaggio mediatico della manifestazione oceanica gli si è, almeno sul momento, rivolto contro. Anche molti tra i suoi fedelissimi a questo punto si sfilano. Mancano solo due settimane all’insediamento fisico di Biden, ma la faccenda appare chiusa, e apparentemente nel peggiore dei modi.

Non credo che Pence arrivi a destituirlo con qualche giorno di anticipo come qualcuno ha invocato, e lo stesso Trump ha detto ormai chiaramente che non ostacolerà il passaggio di consegne. Del resto cambierebbe poco. Si tratta ormai di una pura formalità.

BIDEN PUPAZZETTO DEL NUOVO ORDINE – Questa storia è quindi finita, anzi sembrerebbe che “la storia” in generale sia finita. Da ora in poi il nuovo ordine, di cui Biden è un pupazzetto, marcerà spedito e senza freni. Non dimentichiamo che il 2020 è stato l’anno del golpe globale, e il 2021 sembrerebbe l’anno in cui il nuovo regime si assesta e si consolida. Se così fosse quella gente che sfilava a Washington D.C. dovremmo ricordarla a lungo come l’ultimo sussulto di un’umanità che non ci stava ad essere manipolata, ingannata, tracciata, eterodiretta, spremuta e buttata, quasi come in un allevamento.

Eh sì, perché a me di Trump in quanto tale non è che importi molto. Non elenco neanche i tanti aspetti della sua politica che mi sono indigesti, e prendo le distanze dal fanatismo qanonista che lo ha circondato. Trump, però, sembrava rappresentare un argine, l’ultimo forse, a un potere globale senza più freni, che esercita ormai spietatamente un’agenda. Un’agenda distopica ormai alla luce del sole, altro che complottismo! La chiamano “dittatura sanitaria”, ma forse questo è solo un passaggio. A me piace di più il termine “dittatura zootecnica”, visto il destino che si è pensato per noi.

Ma qua, passata la sbornia, è lecita anche una ventata di ottimismo.

Fukuyama, un po’ troppo presto, nel 1992, di fronte alla caduta dei regimi socialisti, dichiarò inaugurata la “fine della storia”. Ci hanno provato in tanti, ora tocca agli gnomi della finanza e della tecnologia globale. Molto potenti e minacciosi, certo, ma non invincibili.

VOTO ELETTRONICO ANCHE IN ITALIA? – Gli Americani, almeno al 50%, hanno capito che tutte le elezioni sono truccate. E fra poco tocca a noi. Già i media di regime sottolineano come “il voto elettronico salverà la democrazia”. Avete capito? Nessun commento, sarebbe offensivo per l’intelligenza del lettorE

Il Partito Repubblicano, come lo abbiamo conosciuto, non esisterà più, certo. O sarà inghiottito da Trump, o Trump ne farà un altro che lo renderà irrilevante. Oppure, se Trump sarà arrestato o comunque neutralizzato, il fuoco che ha attizzato negli USA non si spegnerà più. Ormai, questa volta sì, non ci resta che assistere alla moviola al crollo di un impero, giorno dopo giorno, dilaniato da conflitti interni e colpito in continuazione da sconfitte esterne che non mancheranno.

Noi siamo al centro dell’Impero, incatenati a una colonia al quadrato. E per molto tempo ci sembrerà di vivere in una Matrix. Ma le contraddizioni economiche e sociali che questi apprendisti stregoni hanno creato non tarderanno a presentare il conto. Il caos è dietro l’angolo, anche se a lungo le TV cercheranno di mascherarlo.

Resta da chiedersi, come in questo nuovo regime totalitario, che potrebbe anche avere gli ultimi 30 o 40 anni di vita sempre più grama (ma è tutto ciò che mi resta nella migliore delle ipotesi e anche di più) prima di collassare definitivamente, si possa fare un minimo di opposizione, di politica, anche di semplice cittadinanza attiva.

Su questo, al momento, sono sincero, non ho risposte facili.

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