Italia in svendita: i tedeschi si sono presi il porto di Trieste? E i francesi vogliono il Monte Bianco…/ SERALE

21 ottobre 2020

In realtà l’Italia è in svendita dalla fine della Prima Repubblica. Gli ‘azziccaforchette’ sono tanti: Svizzera, Austria, Cina, Algeria e, soprattutto, la Germania…

Italia in svendita? Sembra proprio di sì. E senza bisogno di ricorrere allo strozzinaggio del MES, il Meccanismo Europeo di Strozzinaggio detto anche di Stabilità. La notizia di queste ore – che in realtà è di un anno fa o giù di lì – è la ‘zampata’ della Francia, che si vorrebbe prendere un ‘pezzo’ di versante italiano del Monte Bianco.

Diatriba antica, quella tra Italia e Francia sul Monte Bianco. La singolarità è che la vicenda si sta riaprendo proprio quando, di diritto o di rovescio, l’Italia subisce scippi di territorio o vende infrastrutture.

Non c’è bisogno di ricordare quello che avvenne dopo la caduta della Prima Repubblica, quando la massoneria internazionale, con l’appoggio di alcuni politici-basisti italiani, diede il via alla svendita di una parte di asset strategici italiani. In quegli anni ci siamo giocati l’IRI. E i soggetti italiani che hanno ‘pilotato’ tale operazione hanno fatto fortuna in politica.

Poi sono arrivate altre vendite-svendite, con lo ‘spezzatino’ di industrie italiane vendute all’estero.

E’ evidente che le voci corrono: e chi può, come si dice dalle nostre parti, “azzicca la forchetta”. E una bella forchettata marina è arrivata dall’Algeria, che nel silenzio generale ha ‘algerinizzato’ un bel tratto di mare che era della Sardegna. La vicenda è in divenire, ma già qualcosa è successa.

Chi ha ‘azziccato’ una bella forchettata è stata la Germania che, nelle scorse settimane, è diventata proprietaria del porto di Trieste, uno dei porti più importanti d’Europa!

E che dire del porto di Taranto? Mentre i tarantini fanno ancora i conti con un’acciaieria – ex ILVA – che ha avvelenato una grande area, seminando morte disperazione e impedendo un corretto sviluppo economico, la Cina, di fatto, è già proprietaria di una parte del porto di Taranto. E qui ci sarà da divertirsi, perché il prossimo presidente degli Stati Uniti, chiunque sia, non potrà che aprire una vertenza – che potrebbe anche essere ‘pesante’ – su Taranto: perché in quest’area gli USA hanno interessi militari che non cederanno certo alla Cina.

Sarà uno scontro duro, non si combatterà anche sul 5 G forse un po’ troppo ‘cinese’ per l’Italia!

E la Sicilia? E’ in vendita già da tempo. Grottesca e paradossale ma reale la presenza in Sicilia di Deutsche Bank, banca che, come si usa dire in Sicilia, è muru cu ‘u muru cu ‘u spitali, ovvero con in ‘pancia’ un quantitativo smisurato di derivati. Deutsche Bank e CommerzBank sono in crisi, ma nessuno lo fa notare. E la prima svolge attività bancaria in Sicilia.

E che dire dell’acqua che per millenni è stata degli agrigentini? Parliamo dell’acqua dei monti Sicani – marchio Acqua Vera – finita alla multinazionale svizzera Nestlè.

E dell’area limitrofa alla Riserva naturale di Torre Salsa, sempre in provincia di Agrigento, finita agli austriaci della ADLER ne vogliamo parlare? Ci sarà un bel Resort e un pezzo di costa finirà agli austriaci.

Ci sono anche un paio di isolette siciliane in vendita: l’isola delle Femmine, a due passi da Palermo, l’isola di Santa Maria, una delle tre isolette dello Stagnone di Marsala, Riserva naturale istituita dalla Regione siciliana e l’isoletta di Capo Passero, dalle parti di Porto Palo di Pachino, in provincia di Siracusa.

Sempre nella Sicilia orientale i tedeschi si sono già presi l’area dei Pantani. 

In vendita è anche l’aeroporto Fontanarossa di Catania: operazione bloccata, di fatto, dalla pandemia di Coronavirus. Follia? Sì. Ma allora a cosa servono gli ascari?

Opzionate (dai tedeschi?) sarebbero anche le Terme di Sciacca e di Acireale.

Infine le miniere. O meglio, le riserve minerarie di sali potassici e di zolfo.

Le prime – sali potassici- sono state chiuse alla fine degli anni ’80, subito dopo la riunificazione delle due Germanie. Ordine perentorio, quello tedesco. A Sala d’Ercole, sede del Parlamento siciliano, i sali potassici siciliani furono al centro di un intervento molto puntuale dell’allora deputato regionale di Alleanza Nazionale, Guido Virzì. Che citò una società austriaca. Dalla fine degli anni ’80 ad oggi – quando chiuse i battenti la miniera di Pasquasia, in provincia di Enna, uno dei pochi esempi di sfruttamento della kainite contenuta nel sottosuolo siciliano (dalla kainite si estrae il solfato di potassio) – la Regione siciliana non ha nemmeno provato ad avviare l’estrazione di sali potassici. Perché? Forse perché non sono più siciliani?

completiamo la svendita della Sicilia con un passaggio di un nostrro articolo di oltre un anno fa:

“Chiudiamo con lo zolfo siciliano, già in crisi ai tempi di Luigi Pirandello. Lo zolfo è una ricchezza. E in Sicilia ce n’è ancora tanto. Sì, ce n’è ancora tanto, ma in Sicilia con le miniere di zolfo facciamo musei… Tutto questo mentre il Canada e l’India esportano zolfo in tutto il mondo. E mentre altri Paesi cominciano a puntare su questo minerale. L’estrazione e la lavorazione dello zolfo è in aumento in tutto il pianeta. Gli studi rivelano che la produzione di zolfo aumenterà nei prossimi anni ed è destinata a diventare una delle principali attività commerciali del mondo. E dello zolfo della Sicilia che ne sarà? Chi lo sfrutterà?”.

Foto tratta da Affaritaliani

 

 

 

 

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