Agricoltura

Il ‘mistero’ del grano duro canadese che arriva in Italia con le navi: nessuno sa che fine fa. Intanto in Campania…

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Mentre l’Italia si interroga sulla fine che fa il grano duro canadese che arriva con le navi (importazioni aumentate di sette volte negli ultimi due anni), in Campania la Rummo annuncia che produrrà pasta con il grano duro italiano. In questa operazione ci sono la Coldiretti e la SIS, ovvero gli stessi protagonisti dello scippo al Sud del grano duro Senatore Cappelli! I soliti, immancabili contratti di filiera… 

L’Italia è invasa dal grano duro estero, a cominciare da quello canadese, spesso fatto maturare a colpi di glifosato. Però, nonostante questo, ci raccontano che questa o quella marca di pasta è prodotta con “solo grano duro italiano”. Da qui la domanda: ma se la pasta, in Italia, è prodotta con “solo grano duro italiano”, che fine fa tutto il grano duro estero che arriva nel nostro Paese con le navi, grano duro canadese in testa? Mistero.

Però rispetto allo scorso Gennaio, quando l’Antitrust, bontà sua, ha ‘bacchettato’ alcuni grandi nomi della pasta industriale italiana e il gruppo tedesco Lidl perché non fornivano informazioni corrette ai consumatori sull’origine del grano duro utilizzato per produrre la pasta qualche cosa è cambiata. Cosa?

Intanto, c’è chi ormai ammette che produce la pasta italiana con il grano duro italiano e con il grano duro che arriva dalla California e dall’Arizona. Volendo è una bella notizia: in Arizona e in California si produce un ottimo grano duro: il Desert Durum. Questo grano duro americano – di qualità uguale alla qualità del grano duro del Sud Italia e della Sicilia – si acquista a un prezzo che non è mai inferiore a 40 dollari al quintale.

Sarebbe interessante sapere a che prezzo viene acquistato il grano duro statunitense da chi lo utilizza per produrre pasta italiana. Sicuramente avranno uno sconto, perché le aziende della pasta italiana che acquistano il grano duro statunitense sono le stesse che trovano eccessivo i 28-30 euro a quintale del grano del Sud Italia! (in Sicilia, quest’anno, il prezzo del grano duro non ha superato i 26 euro al quintale).

Detto questo, la domanda rimane: se le industrie italiane che producono pasta lo fanno con “solo grano duro italiano”, se chi ammette che utilizza anche grano duro estero si premura di non fare sapere che utilizza il Desert Durum che si coltiva in Arizona e in Canada, che fine fa tutto il grano duro canadese che arriva con le navi?

La domanda è centrale, perché, ormai da qualche anno, nemmeno i Paesi del Nord Africa vogliono il grano duro canadese: in Nord Africa, quando non riescono a coltivarlo, chiedono il grano duro del Sud Italia!

Eh sì, il grano duro canadese che arriva in Italia sparisce: nessuno sa che fine faccia, dal momento che tutti dicono che pane, pasta, pizze e via continuando sono prodotti preparati con il grano duro italiano!

Insomma, è la stessa storia dell’olio d’oliva ‘extra vergine’ tunisino: dal 2016, grazie all’Unione europea, l’Italia è letteralmente invasa da olio d’oliva tunisino. Però se vi fare un giro tra i Centri commerciali italiani non troverete una sola bottiglia di olio d’oliva ‘extra vergine’ tunisino: tutto “Olio d’oliva extra vergine italiano”!

Peccato che un litro di olio d’oliva extra vergine italiano non può costare meno di 8-12 euro, a seconda dell’annata e della zona. Mentre la grande offerta di olio d’oliva ‘extra vergine italiano’ i grandi Centri commerciali ci presentano offerte di “Olio extra vergine di oliva italiano” a 6 euro a bottiglia, a 5 euro a bottiglia, a 4 euro a bottiglia, a 3 euro a bottiglie e, con le “Offertissime”, anche a meno di 3 euro a bottiglia di olio “extra vergine di oliva italiano”.

Sono dei maghi? Sì. Ed è una magia tutta italiana perché, al pari al grano duro canadese che arriva in Italia in quantità impressionanti, ma che nessuno sa dove finisce, anche dell’olio d’oliva ‘extra vergine’ tunisino che invade l’Italia dal 2016 si perdono le tracce…

Poi, via, qualche bella notizia arriva: come quella che leggiamo su Il Sole 24 Ore:

“Accordo Rummo Coldiretti per produrre pasta con solo grano duro italiano”.

Ci colpisce quello che, in gergo giornalistico, si definisce “l’attacco” dell’articolo, cioè le prime righe che danno subito il senso della notizia:

“Il pastificio Rummo di Benevento si converte al grano italiano”.

Da qui la domanda: prima della ‘conversione’ con che grano duro veniva prodotta la pasta?

Proseguiamo nella lettura dell’articolo:

“Allo scopo di produrre pasta di alta qualità utilizzando esclusivamente grano coltivato in Italia, Rummo ha siglato un accordo con Coldiretti. L’azienda punta a ritirare tutto il grano (ha un fabbisogno di 100mila tonnellate annue) che sarà prodotto secondo il disciplinare proposto: in campi italiani, con un tasso proteico almeno del 15% e assenza di pesticidi. La prima fornitura di 8 mila quintali è stata appena consegnata da parte del Consorzio Agroalimentare Sannita che riunisce i produttori beneventani”.

Un grano duro con il 15% di proteine è impegnativo. Questa storia, vista dal Sud Italia, è piuttosto particolare. Ma continuiamo con la lettura dell’articolo:

“La sperimentazione è partita un anno fa. L’azienda beneventana, in collaborazione con la struttura tecnica di Coldiretti, ha promosso presso la Società Italiana Sementi di Bologna uno studio sui semi più adatti a raggiungere la qualità desiderata. Sulla base della ricerca svolta è stato poi steso il disciplinare di produzione. A questo punto è partita la sperimentazione guidata dal Consorzio Agroalimentare Sannita (Cecas) che ha prodotto con 30 soci un primo raccolto di 8mila quintali”.

Ma la Società Italiana Sementi di Bologna non è lo stesso gruppo che, grazie al Ministero delle Politiche Agricole, si è presa la varietà di grano duro antico del Sud Italia, Senatore Cappelli, creando un monopolio? Non è la stessa società che è stata multata dall’Antitrust? 

Come diciamo noi in Sicilia – adagio che, a quanto pare, non conoscono in Campania – gira, firria e bota ci sono sempre le stesse facce. Insomma, gira e rigira ed ecco che, anche in Campania, spuntano la Coldiretti e la SIS!

Ora, se c’è il grano duro e c’è di mezzo la Coldiretti – e se due più due fa ancora quattro – ci dovranno essere anche i contratti di filiera. E infatti rieccoli:

“L’accordo con Rummo – leggiamo sempre su Il Sole 24 Ore – segna un cambiamento epocale per il territorio e costituisce un esempio positivo anche per altri comparti produttivi – commenta Gennarino Masiello, vice presidente di Coldiretti -. Cambia anche la nostra visione. Non siamo più solo agricoltori che producono grano, ma parte integrante del processo produttivo agroalimentare della pasta. I contratti di filiera sono l’arma vincente del made in Italy, su cui Coldiretti ha costruito il progetto di Filiera Italia. I produttori agricoli e l’industria agroalimentare dialogano direttamente, senza intermediari, realizzando obiettivi un tempo impensabili, che incidono sull’economia e sulla società”.

Quello che pensiamo dei contratti di filiera l’abbiamo scritto tante volte e si riassume in questo nostro articolo:

“Grano duro: i contratti di filiera sono una trappola della Lega per gabbare gli agricoltori del Sud!”.

Riprendiamo una dichiarazione di Ettore Pottino, presidente di Confagricoltura Sicilia:

“I contratti di filiera – spiega ancora Pottino – servono agli industriali della pasta. Risolvono i problemi degli industriali della pasta, non certo i problemi degli agricoltori. Tutto il potere contrattuale è nelle mani degli industriali. Se un grano duro non raggiunge la percentuale di proteine da loro richiesta, loro ribassano il prezzo. Insomma, sono contratti con riserva: dove la riserva tutela gli industriali, non gli agricoltori. Ti impongono le sementi, ti impongono le concimazioni. Gli agricoltori che siglano un contratto di filiera si consegnano nelle mani degli industriali della pasta”.

Vi è chiaro, adesso, perché abbiamo scritto che il 15% di proteine è impegnativo?

Riprendiamo anche una dichiarazione di Cosimo Gioia, produttore di grano duro della Sicilia:

“I contratti di filiera bloccano i prezzi violando il principio della concorrenza. A comandare, su tutto, sono gli industriali. Che, lo ribadisco, giocano sui prezzi bloccati e, se una cosa poi non gli garba, abbassano anche i prezzi. Sono catene. Molto più serio bloccare il grano duro malsano che arriva in Sicilia e, in generale, nei porti del Sud Italia con le navi. Ma questo postula la presenza di Governi seri, a Roma e in Sicilia”.

La verità è che, di positivo, per i produttori di grano duro del Sud, non c’è niente di nuovo sotto il sole.

QUI L’ARTICOLO DE IL SOLE 24 ORE

 

 

 

 

 

 

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