Le ‘Gabbie salariali’ del sindaco di Milano Sala come la regionalizzazione della scuola di Matteo Salvini

11 luglio 2020

In entrambi i casi si tratta di due disperati tentativi del Nord Italia – ormai in grande crisi economica sia perché è ormai la periferia del Nord Europa, sia perché il Coronavirus sta colpendo duro – di drenare risorse al Sud per cercare di frenare una decadenza economica che sembra irreversibile. 

Fa discutere una proposta politica lanciata dal sindaco di Milano, Giuseppe ‘Beppe’ Sala, proposta non nuova che ogni tanto ritorna: pagare meno chi lavora nel Sud Italia. Si chiamano ‘Gabbie salariali’ e l’Italia le ha applicate dal 1954 al 1972.

Se nel 1972 vennero abolite, ebbene, ciò fu dovuto all’impegno del Partito Socialista Italiano e non certo del PCI, i cui ‘capi’ a parole dicevano che erano sbagliate, ma non facevano nulla per cambiarle. Furono i Socialisti al Governo dell’Italia – Governi di centrosinistra – che imposero lo Statuto dei lavoratori e l’eliminazione dell ‘Gabbie salariali’, grazie soprattutto all’impegno di uomini come Pietro Nenni, Riccardo Lombardi e Giacomo Brodolini.

Oggi il sindaco di Milano, esponente di centrosinistra, le rilancia. Due giorni fa Sala, durante una diretta Facebook sulla pagina di InOltre-Alternativa progressista, ha parlato di costo della vita e di difficoltà dei giovani. E l’ha fatto così:

“E’ chiaro che se un dipendente pubblico, a parità di ruolo, guadagna gli stessi soldi a Milano e a Reggio Calabria, è intrinsecamente sbagliato, perché il costo della vita in quelle due realtà è diverso”.

C’è da stupirsi da una dichiarazione del genere? No. Ricordiamo che, appena qualche giorno fa, il presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, ha detto a chiare lettere che oggi “Il Nord deve ripartire subito, il Sud può aspettare”.

Le ‘Gabbie salariali’ – e chiediamo scusa ai nostri lettori per il gioco di parole – sono perfettamente in linea con la linea politica del PD, partito al quale Sala fa capo.

Non dobbiamo dimenticare che, se non fosse esplosa la pandemia di Coronavirus, l’attuale Governo nazionale di PD, grillini, renziani e Libero e Uguali avrebbe già messo in atto la cosiddetta ‘Autonomia differenziata’, ovvero lo scippo alle Regioni del Sud Italia di altri 60 miliardi di euro all’anno (e forse qualcosa di più). O abbiamo dimenticato cosa diceva il Ministro delle Regioni, Francesco Boccia, del PD, nel Novembre dello scorso anno? 

Così come non dobbiamo dimenticare che – sempre lo scorso anno, a Luglio – il ‘capo’ della Lega, Matteo Salvini, proponeva la “regionalizzazione della scuola” per consentire ai docenti del Nord di essere pagati meglio dei docenti del Sud.

Passeranno queste proposte? Per ora no, ma solo perché è in corso la pandemia, che non è affatto finita come pensano in tanti. Ma appena la situazione si normalizzerà verranno applicate sia l’Autonomia differenziata, sia le ‘Gabbie salariali’.

Questo per due motivi.

Il primo motivo è storico: il Sud è una colonia del Nord Italia e da tale è stato sempre trattato. Con il tramonto della cultura socialista e con l’alternanza al potere del centrodestra di Berlusconi e degli ex comunisti il divario tra Nord e Sud Italia si è accentuato, perché centrodestra berlusconiano e centrosinistra post comunista sono fondamentalmente ‘nordisti’.

Il secondo motivo è che il Nord Italia è ormai la periferia della Mitteleuropa e diventerà sempre più povero. Anche perché – e questo è un fatto oggettivo – rispetto alla pandemia di Coronavirus si sta dimostrando fragile. Da qui la disperata ricerca di risorse per provare a ritardare un processo storico che potrebbe essere interrotto solo con la fine della disastrosa Unione europea dell’euro. Non sapendo a chi scippare le risorse, il Nord proverà a scipparle al Sud.

L’Autonomia differenziata e le ‘Gabbie salariali’ non sono altro che modalità diverse per drenare risorse alle Regioni del Sud. 

Per il Sud ci sono solo due ipotesi: o l’indipendenza, che è molto improbabile; o la fine di questa dannosissima Unione europea dell’euro: che è quello che noi ci auguriamo.

Foto tratta da Il Giorno

 

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