Il razzismo antimeridionale di Vittorio Feltri non è nuovo: anche Giorgio Bocca e Indro Montanelli manco scherzavano…

23 aprile 2020

La storia del razzismo contro il Sud Italia e i suoi abitanti – di cui Vittorio Feltri è solo uno dei tanti ‘protagonisti’ – comincia nel 1860. Inizia con i Savoia, con l’odio e l’astio dei generali e dei politici piemontesi, prosegue con i positivisti di fine ‘800 (Cesare Lombroso, Alfredo Niceforo, Enrico Ferri) e arriva fino ai nostri giorni. Basta andare a rileggersi cosa hanno detto e scritto dei meridionali Giorgio Bocca e Indro Montanelli…

La questione dei meridionali come razza inferiore e la questione meridionale come questione economica viene oggi drammaticamente riproposta dalle farneticanti affermazioni razziali dei deliri antimeridionali del “giornalista” Vittorio Feltri, che raccoglie l’eredità di tanti suoi illustri colleghi giornalisti del Nord, come, tra gli altri, Giorgio Bocca, Indro Montanelli, di cui parleremo più avanti, che verso i meridionali hanno sempre avuto parole di disprezzo e di repulsione. Terminologie, sinonimi e similitudini che attengono e sono alla base, ancora oggi, di una mai realizzata e metabolizzata Unità d’Italia.

ACREDINE VERSO IL SUD – Le parole di Feltri di questi giorni non sono solo il frutto di una demenza senile razziale, ma sono il punto di arrivo di un’acredine e di una ipocrisia nei confronti del Sud che trova appunto le sue radici nelle bugie e nelle falsità che, a dosi massicce, ci sono state propinate, senza soluzione di continuità, sino ai nostri giorni, dalle storiografie ufficiali e scolastiche. Si continua infatti ad ignorare che, alla base di una mala unità d’Italia, vi fu, come del resto continua ad esserci – retaggio del passato – un’ignobile componente razzistica antimeridionale conclamata e documentata da quei politici e da quei militari che erano venuti a “liberare e civilizzare “ il Sud.

In una lettera inviata il 17 ottobre del 1860 a Diomede Pantaloni e contenuta in un carteggio inedito del 1888, il piemontese marchese Massimo D’Azeglio, che fu Presidente del Consiglio del Regno di Sardegna ed esponente della corrente liberal-moderata tra l’altro così scriveva:

“In tutti i modi la fusione con i napoletani mi fa paura e come mettersi a letto con un vaioloso”.

Più o meno quello che, esattamente 150 dopo, canterà in coro con altri leghisti ad una festa del suo partito l’eurodeputato ed allora capogruppo al comune di Milano Matteo Salvini:

“Senti che puzza, scappano anche i cani, sono tornati i napoletani, sono colerosi e terremotati, con il sapone non si sono mai lavati”.

Sembra di risentire il D’Azeglio di 150 anni prima. Da allora niente è cambiato se non in peggio. Feltri docet. Nino Bixio, il paranoico massacratore di Bronte, in una lettera inviata alla moglie, tra l’altro così scriveva:

“Un paese che bisognerebbe distruggere e gli abitanti mandarli in Africa a farsi civili”.

CIALDINI: “QUESTA E’ AFRICA!” – Ancora, sulla stessa lunghezza d’onda del colonnello garibaldino, il generale Enrico Cialdini, luogotenente del re Vittorio Emanuele II inviato a Napoli nell’agosto del 1861 con poteri eccezionali per combattere il “brigantaggio”, a proposito dei territori in cui si trovò a operare in una lettera inviata a Cavour così si esprimeva:

“Questa è Africa! Altro che Italia. I beduini a confronto di questi cafoni sono latte e miele”.

Enrico Cialdini era lo stesso che alcuni mesi prima, nel febbraio del 1861, durante l’assedio di Gaeta, bombardando l’eroica città, non si fece scrupolo di indirizzare il tiro dei suoi cannoni rigati a lunga gittata e di grande precisione deliberatamente sugli ospedali per terrorizzare gli occupanti e fiaccarne la resistenza. E, a chi gli faceva osservare il suo inumano comportamento non rispettoso dei codici d’onore e militari, rispondeva sprezzatamene:

“Le palle dei miei cannoni non hanno occhi”.

Cialdini si rese poi protagonista degli eccidi e della distruzione, in provincia di Benevento, dei paesi di Pontelandolfo e Casalduni, esecrabili e orrendi al pari di quelli compiuti dai nazisti molti anni dopo e con minor numero di vittime a Marzabotto e a Sant’Angelo di Stazzema, in cui furono massacrati senza pietà uomini, donne e bambini. Negli ordini scritti ai suoi sottoposti, Cialdini era solito raccomandare di “non usare misericordia ad alcuno, uccidere, senza fare prigionieri, tutti quanti se ne avessero tra le mani”.

E dire che del nome di Cialdini, criminale, spacciato per eroe, la toponomastica delle nostre città ne ha fatto incetta. Ed ancora , a ulteriore testimonianza di questi propugnatori del razzismo antimeridionale, quanto scriveva all’alba dell’Unità d’Italia il generale conte Luigi Menabrea comandante del genio del corpo d’armata piemontese di stanza nell’ex Regno delle Due Sicilie, alla baronessa Olimpia Savio Rossi dal comando di Castellone di Gaeta il 26 dicembre del 1860:

“I meridionali sono simili agli ottentotti (si riferiva ai Boscimani la popolazione che abitava l’Africa meridionale), nonostante il loro bel paese e le loro grandi memorie. L’abbassamento del senso morale e della dignità personale della popolazione sono le cose che colpiscono di più. Sotto gli stracci disgustosi che coprono le contadine non si riconosce più questa belle razza italiana, che sembra finire nel territorio romano”.

Il conte piemontese Luigi Menabrea sarà poi dal 1867 al 1869 presidente del Consiglio dei Ministri del nuovo regno d’Italia e, non perdendo la sua propensione razzista nei confronti dei meridionali, si distinguerà nella spasmodica ricerca, nella sua qualità di capo del Governo, di territori fuori dall’Italia, in Patagonia (Argentina) prima e nell’isola di Socotra (Portogallo) in cui deportare – essendo le carceri italiane strapiene – miglia e miglia di prigionieri meridionali. Per fortuna il criminale disegno di Menabrea e del governo sabaudo non andò a buon fine per la decisa opposizione dell’Argentina e del Portogallo, che eccepirono problemi di sovranità che giustamente rivendicavano sui propri territori.

GOVONE: “LA SICILIA? BARBARI!” – E che dire poi del generale Giuseppe Covone mandato anch’esso a reprimere il brigantaggio in Sicilia, un militare che, per snidare i renitenti di leva, non si fece scrupolo di fucilare sul posto, di torturare, arrestare e deportare, intere famiglie e compiere abusi e crimini inenarrabili? Ebbene, anche il Covone, per non essere da meno dei suoi conterranei predecessori e per difendere e giustificare il suo criminale operato dell’uso di metodi di costrizione di stampo medievale nei confronti dei siciliani: anch’egli non trovò di meglio, in un rigurgito razzista, di affermare in Parlamento:

“Nessun metodo poteva aver successo in un paese come la Sicilia che non è sortita dal ciclo che percorrono tutte le nazioni per passare dalla barbarie alla civiltà”.

Ed infine per completare questo “bestiario” di aberrante avversione razziale nei confronti dei meridionali val bene ricordare le parole tratte dal diario dell’aiutante in campo di Vittorio Emanuele II, il generale Paolo Solaroli:

“La popolazione meridionale è la più brutta e selvaggia che io abbia potuto vedere in Europa”.

E poi quanto scrisse Carlo Nievo, ufficiale dell’armata piemontese in Campania al più celebre fratello Ippolito, scrittore e ufficiale e amministratore della spedizione garibaldina in Sicilia:

“Ho bisogno di fermarmi in una città che ne meriti un poco il nome poiché sinora nel Napoletano non vidi che paesi da far vomitare al solo entrarvi, altro che annessioni e voti popolari dal Tronto a qui ove sono, io farei abbruciare vivi tutti gli abitanti, che razza di briganti, passando i nostri generali ed anche il re ne fecero fucilare qualcheduno, ma ci vuole ben altro”.

LOMBROSO, FERRI, NICEFORO – Questi i documentati pregiudizi razziali di quei “liberatori” che fecero – a spese del Sud, depredandolo, saccheggiandolo, uccidendo e massacrando i suoi abitanti . l’Unità d’Italia. Grazie anche a questi pregiudizi, nati per giustificare la politica coloniale e civilizzatrice piemontese, poi furono elaborate le teorie razziali dell’inferiorità della razza meridionale propugnate da Cesare Lombroso, Alfredo Niceforo, Enrico Ferri, Giuseppe Sergi, Paolo Orano e Raffaele Garofalo che si affrettarono a dare una impostazione scientifica ai pregiudizi diffusi ad arte dagli invasori per giustificare politiche di rapine, di spoliazioni e di saccheggi a danno del Meridione.

Sui fondamenti antropologici e storici della crisi dell’identità italiana e sulla mancanza di comunicazione interculturale tra Nord e Sud ne fa una lucida analisi Antonio Gramsci nei quaderni quando sostiene:

“La miseria del Mezzogiorno era storicamente inspiegabile per le masse popolari del Nord. Queste non capivano – afferma Gramsci – che l’unità non era stata creata su una base di eguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Sud nel rapporto territoriale città-campagna, cioè che il Nord era una piovra che si arricchiva a spese del Sud e che l’incremento industriale era dipendente dall’impoverimento dell’agricoltura meridionale”.

L’impoverimento del Meridione per arricchire il Nord non fu la conseguenza ma la ragione stessa dell’Unità d’Italia. In buona sostanza, con l’Unità d’Italia ebbe il sopravvento il disegno e la strategia egemonica dell’imprenditoria e della finanza settentrionale che, conquistando e colonizzando il Sud, ostacolandone in ogni modo la crescita prevaricò ogni ipotesi di sviluppo della nascente economia meridionale.

Significativo in questo senso fu quanto ebbe a dire il genovese Carlo Bombrini prima dellUnità d’Italia, già direttore della Banca Nazionale degli stati Sardi e amico personale di Cavour e successivamente governatore della Banca Nazionale del Regno d’Italia dal 1861 al 1882:

“Il Mezzogiorno non deve essere messo più in condizione di intraprendere e produrre”. Infatti, negli anni in cui fu a capo della Banca Nazionale, tenendo fede a questa sua spiccata vocazione antimeridionalista fu artefice di numerose operazioni finanziarie finalizzate allo sviluppo dell’economia del Nord, soprattutto nella costruzione delle reti ferroviarie settentrionali per le quali ottenne numerose concessioni a detrimento di quelle meridionali.

Riprendendo l’analisi di Gramsci si può in buona sostanza affermare che la origine della questione dei meridionali bollati come razza inferiore nasce dal fatto, a detta dall’illustre intellettuale sardo, che il rapporto Nord-Sud dopo l’Unità d’Italia fu un tipico rapporto di tipo coloniale che vide le popolazioni del Sud defraudate della loro storia, della loro identità culturale e occupate militarmente.

Lo scrittore ceco Milan Kundera, protagonista della primavera di Praga nel suo Il libro del riso e dell’oblio scrive un pensiero che è assolutamente calzante con quanto avvenne alle popolazioni meridionali e ai siciliani subito dopo l’Unità d’Italia:

“Per liquidare i popoli si comincia con il privarli della memoria, si distruggono i loro libri, le loro culture e la loro storia. E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di altre culture e inventa per loro un’altra storia. Dopo di che il popolo incomincia a dimenticare quello che è stato”.

Ed è proprio quello che è capitato alle popolazioni del Mezzogiorno d’Italia nel corso di 160 anni di un forzato e mal digerito processo unitario che ha alle sue origini come abbiamo visto aberranti radici antropologiche, xenofobe, razziste e coloniali. Una colonizzazione ed una occupazione militare del Mezzogiorno che, al di là delle frasi di aberrante e vomitevole razzismo nei confronti dei meridionali che abbiamo abbondantemente e documentalmente riportato da parte di “liberatori”quali Bixio, Cialdini, Covone, D’Azeglio, Nievo, Bombrini e tanti altri, doveva trovare per questo una giustificazione ed una sua legittimazione ideologica, culturale ed anche scientifica tendente a dimostrare la inferiorità della razza meridionale ed alla gratitudine che si doveva ai settentrionali di esserci venuti a liberare ma soprattutto a civilizzare. E questo fu lo sporco compito assolto con lodevole perizia, in questa direzione, dalla scuola positivista di Cesare Lombroso che, assieme ad altri antropologi e criminologi quali Alfredo Neciforo, Ferri, Sergi, Orano e Garofalo propugnatori del razzismo scientifico e dell’eugenetica, misero a frutto i diffusi pregiudizi antimeridionali teorizzando l’inferiorità della razza meridionale.

Cesare Lombroso antropologo e criminologo, nel periodo immediatamente successivo all’Unità d’Italia, elaborò le sue teorie sulla inferiorità etnica dei meridionali effettuando misurazioni sui crani dei briganti uccisi allo scopo di dimostrare e di ottenere la prova scientifica sulla inferiorità genetica dei meridionali. Lombroso, sfatando il mito di una omogenea razza italica, teorizzò l’esistenza di due tipi di italiani: i settentrionali come razza superiore e i meridionali di stirpe negroide africana razza inferiore.

Più avanti, un altro antropologo di scuola lombrosiana, Alfredo Niceforo, propugnatore del razzismo scientifico, come il suo maestro, teorizzò l’esistenza in Italia di almeno due razze: quella eurasiatica (ariana) al Nord e quella euroafricana (negroide) al Sud e, di conseguenza, la superiorità razziale degli italiani del Nord su quelli del Sud. Con un particolare, di non poco conto, che l’illustre antropologo, tutto preso dalla elaborazione delle sue folli teorie, vittima della sindrome di Stoccolma, si era dimenticato di essere nato nel gennaio del 1876 a Castiglione di Sicilia e quindi di appartenere ad una razza inferiore!

Niceforo, in un suo libro del 1898, L’Italia barbara contemporanea, descriveva il Sud come una grande colonia, una volta conquistata e sottomessa, da “civilizzare”. Questa ideologia della superiorità della razza nordica, al fine di giustificare le rapine e le spoliazioni nei confronti del Sud, fu diffusa – sostiene ancora Gramsci – in forma capillare dai propagandisti della borghesia nella masse del Settentrione.

Il Mezzogiorno è la palla al piede – si disse allora come si ripete pedissequamente oggi – che impedisce lo sviluppo dell’Italia. I meridionali sono – secondo la teoria del Lombroso e dei suoi seguaci – biologicamente degli esseri inferiori, dei semibarbari o dei barbari completi per destino naturale e se il Mezzogiorno è arretrato la colpa non è del sistema capitalistico o di altra causa storica, ma del fatto che i meridionali sono di per sé incapaci, poltroni, criminali e barbari. O dei posteggiatori abusivi come delira oggi Vittorio Feltri.

“NON SI AFFITTA AI MERIDIONALI” – Queste teorie portarono poi nel corso degli anni alla discriminazione razziale nei confronti dei meridionali, come quando nelle città del Nord si era soliti leggere cartelli come questi:

“Vietato l’ingresso ai cani e ai meridionali”. O, ancora:

“Non si affittano case ai meridionali”.

Era questa la conseguenza della campagna xenofoba e razzista avviata con l’unità d’Italia e che dura con Vittorio Feltri e i suoi sodali, ancora sino ai nostri giorni. Fra i detrattori dei Siciliani e dei meridionali, visti, nel loro insieme, come un popolo di “terroni” e di “mafiosi”, non sono poi mancati “ giornalisti famosi come dicevamo all’inizio, i “compianti” Indro Montanelli e Giorgio Bocca, che più di una volta ebbero a sottolineare la condizione di inferiorità delle popolazioni meridionali rispetto a quelle del Nord.

Nel 1960, al tempo della guerra d’Algeria, in una intervista rilasciata al giornalista francese Weber per “Le Figaro Litteraire” (la notizia fu riportata dal quotidiano “L’Ora” di Palermo del 25 ottobre del 1990) Montanelli disse testualmente:

MONTANELLI: “VOI AVETE L’ALGERIA, N LA SICILIA” – “Voi avete l’Algeria, noi abbiamo la Sicilia, ma voi non siete costretti a dire che gli algerini sono francesi, mentre noi, circostanza aggravante, siamo costretti ad accordare ai siciliani la qualifica di italiani”.

Molti siciliani insorsero deplorando quella frase oltraggiosa, da cui si ricavava che Montanelli considerava gli Algerini un popolo di serie B e i Francesi un popolo di serie A, così come i Siciliani rispetto agli Italiani. In un articolo di risposta a quella intervista un magistrato di Caltanissetta (Salvatore Riggio) si domandava:

“Ma che cosa ci facevano i Francesi in casa algerina? I Francesi non erano forse gli sfruttatori, gli oppressori, i colonizzatori, gli illegittimi occupanti mediante violenza bellica dell’Algeria? Gli Algerini non avevano il sacrosanto diritto di cacciare dalla loro Terra i colonizzatori francesi e reclamare la propria indipendenza? Secondo l’ottica razzista del Montanelli parrebbe di no, perché secondo lui forse la Provvidenza Divina aveva assegnato agli Algerini come angeli custodi i Francesi e secondo la stessa ottica la medesima Provvidenza Divina avrebbe designato i «Fratelli d’Italia» al di là dello Stretto custodi dei Siciliani, considerati dal Montanelli «Esseri» distinti dagli «Italiani» perché posti nella scala di una presunta gerarchia in un gradino inferiore”.

Il magistrato citava poi un altro episodio analogo in cui Montanelli (era il 1967) se la prendeva con tutti gli avvocati siciliani accusandoli indiscriminatamente in massa di avere connivenze e collusioni con la delinquenza. Gli avvocati siciliani reagirono proponendo una querela per diffamazione contro di lui. “Ma dove voleva arrivare questo signore?”, si domandava il magistrato. “Voleva forse proporre anche la fornitura di avvocati nordisti per la difesa dei delinquenti siciliani, così come i nordisti ci forniscono giornalmente i loro prodotti per la nostra vita dato che ormai il Sud e la Sicilia in particolare sono stati ridotti soltanto a vaste aree di mercato di consumo interno?”.

Ma non finisce qui. L’autore dell’articolo (apparso sulla rivista Il Domani) ricordava che nel 1970 Montanelli aveva scritto che, alla Sicilia, mancava da sempre una coscienza civile e sul Corriere della Sera del 9 Gennaio 1971 scriveva che in Sicilia non v’era traccia di pensiero illuministico. Gli rimproverava poi di non conoscere la storia, l’arte, il pensiero, la letteratura della Sicilia, e persino la geografia, avendo scritto che “il 26 Maggio 1860 tre ufficiali della flotta inglese erano sbarcati a Misilmeri” (Montanelli e Nozza, Garibaldi, 1963, pag. 372), mentre Misilmeri non è sul il mare.

Il magistrato poi citava anche il caso di Moravia, che sull’Espresso del 3 Ottobre 1982 a pag. 37 in un articolo intitolato “Siciliano = mafioso?” ad un certo punto aveva scritto:

“Il Siciliano in quanto tale, anche il galantuomo, è tendenzialmente mafioso”.

Con tutto ciò, concludeva il magistrato, nel 1986 i “sicilioti” di Agrigento (affetti dalla sindrome di Stoccolma) assegnarono a Moravia il Premio Pirandello per la narrativa e il 28 novembre 1990 un’Associazione Culturale di Caltanissetta conferiva a Montanelli il Premio Internazionale Castello di Pietrarossa per la sezione giornalismo. “Cupidigia di servilismo”,così titolava l’articolo il magistrato.

E presi da questa cupidigia di servilismo e affetti dalla sindrome di Stoccolma che, alla fine, i palermitani di corta memoria hanno addirittura dedicato a questo illustre giornalista – loro costante denigratore – addirittura una strada: appunto via Indro Montanelli, sita in una traversa della Via Tasca Lanza. E giunti a questo punto, speriamo per l’avvenire che il sindaco Leoluca Orlando o chi gli succederà non si convincano a dedicare come per Indro Montanelli una strada a un razzista seriale antimeridionale come Vittorio Feltri.

Foto tratta da Liveuniversity                                                                 

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