Oggi anniversario dello Statuto siciliano che diventa Legge Costituzionale: noi lo ricordiamo così

26 febbraio 2020

Noi lo vogliamo ricordare guardando sì alla specificità della Sicilia, ma anche sottolineando che solo un Sud Italia unito può aiutare le Regioni dello stesso Sud a valorizzare le proprie specificità. Diventando più forti nell’interlocuzione con il resto d’Italia

Il 26 febbraio 1948 lo Statuto autonomistico siciliano, emanato il 15 maggio 1946 sotto forma di Regio Decreto, diventa Legge Costituzionale. Per noi siciliani è una data importante: lo è per ricordare che, ancora oggi, alcuni importanti articoli dello Statuto siciliano non sono applicati (anche per responsabilità dei politici siciliani); e lo è anche per sottolineare l’importanza delle nostre radici culturali.

Della questione finanziaria della Regione scriviamo spesso: così, oggi, per ricordare la Legge Costituzionale dei siciliani, vogliamo soffermarci su due punti: sull’alienazione culturale di certi siciliani (e, in generale, di certi meridionali che vivono nel Nord Italia) e sui legami tra i siciliani che si sono battuti per la conquista dell’Autonomia e il resto del Sud Italia.

Il primo punto – giusto per essere chiari – non riguarda tutti i siciliani che vivono nel Nord Italia (e, in generale, tutti i meridionali che vivono nel Nord Italia), ma solo alcuni. Prendiamo come esempio l’esigenza – che questo blog condivide – di un soggetto politico del Sud. E’ un tema che abbiamo affrontato nel Settembre del 2018 e che oggi riproponiamo:

“Ci sono quelli (con riferimento ad alcuni meridionali ndr) che identificano la costituzione di un partito del Sud come espressione della bieca volontà di dividere un Paese, l’Italia, che è una e indivisibile e che è meglio che stia unito. Tra questi ultimi, inopinatamente, ci sono molti meridionali e molti siciliani, ovvero i figli e i discendenti di tutti coloro che, fin dai tempi dell’Unità di Italia, hanno subito, proprio a causa di questa Unità, una spoliazione sistematica e un impoverimento programmato da parte del Nord delle loro risorse economiche, civili e sociali. Siamo di fronte una deviazione psicologica dovuta a una serie di condizionamenti negativi che in sociologia viene definita alienazione culturale e che è madre di comportamenti in contrasto con la propria vera natura e la propria vera condizione culturale. Un tema studiato da Franz Fanon, uno studioso che, negli anni ’60 del secolo passato, ha svolto importanti missioni negli Stati africani e che è considerato un grande conoscitore dei meccanismi di alienazione mentale e culturale caratteristici della “situazione coloniale” (QUI NOTIZIE SU FRANZ FANON)”.

“Esempio: il siciliano emigrato al Nord che, per non sentirsi inferiore ai locali, si esprime nel loro dialetto. Questa deviazione ha ormai confini chiari e netti, e scientificamente dimostrabile al pari di uno dei tanti complessi che la psicanalisi ha definito e identificato. Il cuore dell’alienazione culturale sta in quel ‘sentirsi inferiore’ rispetto a qualcuno; nel nostro caso, di tanti siciliani nei confronti degli abitanti del Nord. La domanda è dunque una: sono i siciliani e i meridionali in genere veramente inferiori ai ‘padani’? Si tratta della percezione di una realtà fattuale o di un (auto)convincimento? E se si tratta di convincimento, questo sentimento di inferiorità da dove e come nasce?”.

“Immaginiamo che un bambino in buona salute venga sottoposto ad un trattamento che ne debilita lentamente corpo e animo e veda intorno a sé persone che gli parlano del suo grave stato e che si dichiarino e si mostrino disposti e premurosi nei suoi confronti, assicurandogli che lo terranno in vita, ma non cessando mai di ricordargli che senza di loro la sua fine è segnata. Nel tempo, il bambino, cresciuto in quello stato si convincerà di essere una persona gravemente malata, e che dipende da queste persone gentili e premurose. Mutatis mutandis è quello che è successo al Mezzogiorno e alla Sicilia. Dall’alienazione culturale si guarisce e si guarisce in un solo modo: con dosi massive di verità”.

“Si comincia da una verità antica, una verità mistificata sin dal 1860, dal Risorgimento che non è un’epopea popolare, ma una conquista militare, proditoria e predatoria, di uno Stato, il Piemonte, ai danni di un altro, il Regno delle due Sicilie. Di una vera e propria invasione gabellata per liberazione. Un’invasione studiata a tavolino nei minimi particolari e realizzata con mezzi militari e a mezzo di una corruzione diffusa e capillare attuata nelle alte sfere amministrative e militari del nemico. Molti ministri e tutti i generali dell’esercito Borbone furono corrotti e allettati con la promessa del passaggio lineare nell’esercito invasore (cosa che puntualmente accadde). A tutta la nobiltà fu garantito che nulla sarebbe cambiato per loro (questo e non altro intende Giuseppe Tomasi di Lampedusa) in termini di privilegi e status. Quando le colonne portanti di uno Stato tradiscono non può esserci scampo. E così fu. Impariamo questo, intanto, e vedremo che la febbre comincia a diminuire”.

Secondo argomento: i legami tra la stagione che ha portato alla conquista dell’Autonomia siciliana e il resto del Sud.

Ricordiamo che, all’indomani della seconda guerra mondiale, quando esplode la stagione separatista i fermenti erano tanti.

C’era chi si richiamava alla storia della Sicilia e alla voglia dei siciliani di conquistare l’Autonomia: correttissimo.

C’era chi guardava all’Autonomia provando a tutelare la vecchia Sicilia del latifondo.

C’era chi, nel nome della Sicilia libera e indipendente, avrebbe voluto cambiare quelli che un tempo si chiamavano i “rapporti di produzione”.

Ma c’era anche un sentimento – ancora molto presente nei primi anni ’40 del secolo passato – che legato alla memoria degli anni subito successivi alla ‘presunta’ unificazione italiana.

Quella del Sud, da parte degli inglesi – che erano gli sponsor dei piemontesi – è stata una volgare conquista militare. Cominciata con la farsa dell’impresa dei Mille, l’orda di garibaldini e mercenari era salita fino a Napoli, sempre in stretta alleanza con le criminalità organizzate del Sud, dalla mafia siciliana alla camorra napoletana, passando per la ‘ndrangheta calabrese.

La violenza di una conquista militare e le repressioni messe in atto dai piemontesi nel Sud e nella Sicilia contro le popolazioni meridionali che si ribellavano sono rimaste impresse nei ricordi delle vere classi dirigenti del Sud.

Ricordiamo che la repressione e le stragi dei piemontesi nel Sud – che in alcuni casi hanno anticipato gli orrori del nazismo – sono state, appunto, comuni a tutto il Sud e alla Sicilia.

Alla strage di Pontelandolfo e Casalduni, in Campania, e alla caccia ai ‘briganti’ perpetrate dai generali di casa Savoia (dove i ‘briganti’, in realtà, erano proprio i piemontesi e non i meridionali che difendevano la propria libertà e la propria patria) si sommano le stragi perpetrate in Sicilia, dalla Rivolta del sette e mezzo alla Strage dei Cutrara, quando i militari piemontesi fucilarono anche una bambina di 9 anni!

Cosa vogliamo dire? Che i Padri dell’Autonomia siciliana avevano ancora nitido il ricordo delle stragi perpetrati dai piemontesi in Sicilia: e questa memoria la condividevano con il resto del Sud Italia.

Ciò significa che, oggi, il soggetto politico del Sud deve inglobare tutti i Movimenti politici dello stesso Sud in un unico partito? No. Ogni Movimento deve mantenere i propri legami con la propria Regione. Per arrivare, al momento delle elezioni politiche nazionali, ad un soggetto che metta insieme tutte queste realtà.

Noi viviamo così il Movimento 24 Agosto per l’Equità territoriale di Pino Aprile: come un Movimento di libertà per tutto il Sud, che metta insieme radici, ricordi e tradizioni comuni con le diversità di ogni regione del Sud che debbono restare tali.

Il tutto senza alienazione culturale, per dirla con Fanon.

 

 

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