… e con la scusa dei ‘Caporali’ stanno finendo di ammazzare l’agricoltura!

23 agosto 2019

Siamo nel pieno di una difficilissima crisi di Governo. Dopo il primo giro di consultazioni, nessun esponente politico ha pronunciato la parola “agricoltura”. Al massimo, la politica demenziale e le ‘autorità’ si beano della lotta al ‘Caporalato’, portata avanti senza studiare e capire cosa ci sta dietro. Risultato: aziende agricole locali sempre più in crisi e ‘invasione’ di prodotti agricoli esteri ‘avvelenati’. Il punto della situazione con Cosimo Gioia 

Ieri abbiamo dato e commentato una brutta notizia per l’agricoltura e, in generale, per gli ignari consumatori italiani. Frutta e ortaggi che arrivano dall’estero – che grazie alla globalizzazione dell’economia e grazie anche al CETA hanno ormai sopraffatto le produzioni agricole locali – contengono residui di pesticidi da due a cinque volte in più rispetto ai prodotti agricoli del nostro Paese.

Grazie al citato CETA – il trattato commerciale tra Unione Europea e Canada – l’importazione di grano canadese a rischio glifosato e micotossine DON è aumentato in un anno di sette volte! Non ci dicono nulla, ma siamo letteralmente invasi dal grano duro e dal grano tenero canadese. 

Mentre la televisione, con mirabolanti pubblicità, ci racconta della pasta fatta con grano duro “rigorosamente italiano”, il prezzo del grano duro del Sud Italia rimane basso (un lieve aumento del prezzo è stato registrato in Puglia, ma non in Sicilia) mentre il grano duro canadese arriva in Italia a fiumi.

E’ così anche per il grano tenero canadese, varietà Manitoba. Il dubbio – che è più di un dubbio – è che l’industria dolciaria italiana faccia largo uso di questo grano tenero canadese. Per ‘fortuna’ non ci sono controlli, né sulla pasta, sul pane, sulle pizze e sulle semole per il grano duro; né sull’industria dolciaria per il grano tenero.

Siamo in piena crisi di Governo, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha concluso il primo giro di consultazioni, i leader di tutti i partiti e movimenti politici vari hanno rilasciato dichiarazioni.

Ma se andate ad ascoltare o a leggere le loro dichiarazioni vi accorgerete che nessuno ha pronunciato la parola “agricoltura”. 

Nella Prima Repubblica il peso dell’industria sull’agricoltura si avvertiva; ma ma la politica teneva le ‘redini’ e tutelava gli agricoltori. Con l’avvio della Seconda Repubblica gli industriali hanno assunto il controllo dell’agricoltura: sono loro, gli industriali, che decidono sulle sorti dell’agricoltura italiana; e si vede!

Non parliamo della Sicilia. Dove l’agricoltura è stata totalmente abbandonata dalla politica nazionale e regionale.

Ne parliamo con Cosimo Gioia, produttore di grano duro nell’entroterra della Sicilia.

Qual è la situazione dell’agricoltura siciliana oggi?  

“Mi spiace ripetermi, ma la verità è che stiamo chiudendo tutti. E’ lo stesso discorso di un atleta fortissimo che deve fare una gara di 100 metri con un altro scarsissimo che ha, pero, alla partenza un vantaggio di 90 metri. E’ chiaro che il primo, per quanto bravo, perde. Il paragone è calzante. Se tu produci rispettando le norme ed utilizzando per la difesa sanitaria fitofarmaci consentiti dalla legge ma costosi, oppure produci biologicamente, è chiaro che, sul fronte dei costi di produzione, sei svantaggiato rispetto a chi usa prodotti scarsi, dannosi per la salute umana, presi magari da scorte fuori produzione perché proibiti. Prodotti chimici che vengono acquistati a prezzi stracciati. Come si può competere con chi fa agricoltura con questi mezzi?”.

Quindi?

“Quindi è matematico che l’indiscriminata globalizzazione dell’economia porta a questo. Poi c’è la mancanza di controlli sulla qualità dei prodotti che fa tutto il resto”.

Si riferisce all’invasione di grano canadese?

“Anche. La nave di Pozzallo con le sue diciannove mila tonnellate di grano che fine ha fatto? Che fine hanno fatto le analisi annunciate dalle tante ‘autorità’? Boh…”.

In effetti, con le analisi finisce sempre con i sorrisi amari. C’è anche un problema di costi di produzione.

“E’ un problema enorme. Il costo della manodopera, da noi, è di almeno dieci volte superiore a quello dei Paesi produttori da cui importiamo prodotti agricoli. Qui da noi in Sicilia molti agricoltori abbandonano perché non ce la fanno a competere. Un operaio agricolo, nella nostra Isola, tra tasse e balzelli vari, costa più di 100 euro al giorno. E chi sgarra, anche per una minima fesseria, viene per pronto accomodo accusato di ‘Capolarato’ dai solerti funzionari e magari arrestato, salvo poi ad essere discolpato ma multato per decine di migliaia di euro e, quindi , rovinato”.

In effetti, ormai, ogni irregolarità nel lavoro agricolo viene subito etichettata come “Caporalato”…  

“Bisogna chiarire, una volta per tutte, la differenza tra il ‘Capolarato’ e il mancato rispetto di una norma amministrativa. Sono due cose molto diverse. Il primo – il ‘Caporalato’ – va sicuramente punito pesantemente. Ma nel secondo caso – cioè là dove si è in presenza di violazioni di norme amministrative – non bisogna esagerare”.

Invece che succede?

“Succede che noi agricoltori siamo spesso oggetto di controlli a tempesta, tipo ‘Ghestapo’, con gente che ti dice: ‘La rovino, le faccio vendere l’azienda’. Parole pronunciate con sadica soddisfazione, come mi raccontava un amico incappato in una vicenda di questo tipo. E chi si azzarda più a coltivare in queste condizioni?”.

Ma la politica lo capisce che gli agricoltori italiani sono in grande difficoltà a causa della globalizzazione dell’economia? 

“E’ una domanda che ci poniamo spesso. La politica, invece di chiacchierare, dovrebbe guardare alla realtà per quello che è: vigneti estirpati, coltivazioni ortive – tipo pomodoro – che non esistono più, grano invenduto, allevamenti svenduti e chi ne ha più ne metta. Penso che ogni agricoltore sarebbe felice di pagare anche 200 euro al giorno un operaio, ma questi soldi prima dovrebbe guadagnarli. Sennò come fa a pagare gli operai?”.

E allora che si fa?

“Bella domanda. L’agricoltura, lentamente, scompare e nessuno se ne rende conto. O, magari, se ne rende conto e fa finta di non vedere quello che succede, dalla politica alle organizzazioni di categoria. La CISL, ad esempio, ha dichiarato che bisogna intensificare i controlli in agricoltura. E vabbé. In queste condizioni…”.

In queste condizioni?

“In queste condizioni non è facile andare avanti. Chiudo con un esempio concreto. L’altro ieri ho incontrato un mio amico. E’ titolare di una grande impresa agricola: 1500 pecore, centinaia di ettari di terreno, caseifici e quant’altro. Accusato di ‘Capolarato’ e arrestato. I motivi non li conosco, ma conoscendolo molto bene so che, certamente, non aveva operai esteri o immigrati fuori regola vessati e malmenati. Comunque non entro nel merito: so soltanto che circa quaranta famiglie della mia zona lavoravano e portavano il pane a casa da quell’azienda. Risultato finale: appena libero – ovviamente non era un ‘Caporale’ – ha venduto gli animali, ha licenziato tutti e mi ha detto che affiderà tutti i lavori della sua azienda a conto terzi. Si vuole questo? Che ben venga…”.

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