Giusto denunciare il caporalato in agricoltura. Ma chi protegge gli agricoltori e i consumatori siciliani?/ MATTINALE 295

30 maggio 2019

Indignarsi per il caporalato in agricoltura senza affrontare il problema nella sua complessità non serve. Bisogna ragionare su come abbassare il costo del lavoro nelle nostre campagne. Altrimenti assisteremo a un’invasione di prodotti agricoli esteri di pessima qualità (e pieni di pesticidi) che arrivano da Paesi dove lo sfruttamento della manodopera non è un reato 

Un comunicato della CISL affronta il tema dei braccianti agricoli. Lo fa inquadrando la questione da una sola angolatura. Leggiamolo e commentiamolo insieme:

“In Sicilia il 50% dei braccianti agricoli lavora in nero e spesso in condizioni disumane. Tra il 2016-2018 sono stati accertati dall’Inps – commenta il segretario della Fai Cisl Sicilia, Pierluigi Manca – 93.700 rapporti di lavoro fittizi in agricoltura, la maggior parte dei quali al Sud, come ieri ha detto il presidente dell’istituto di previdenza, Pasquale Tridico, in audizione alla commissione Agricoltura e lavoro della Camera. Le statistiche continuano a confermare che il drammatico fenomeno del caporalato in Sicilia non si arresta, anzi aumenta”.

“Un esercito di nuovi schiavi – prosegue la nota della CISL – opera nelle campagne dell’Isola, persone private dei diritti e della dignità, sfruttati in modo indicibile con paghe da fame. Per la Fai Cisl Sicilia, si deve spingere sulla premialità legata all’adesione delle imprese alla Rete del lavoro agricolo di qualità, con cui selezionare le imprese agricole e altri soggetti che rispettano le norme in materia di lavoro, legislazione sociale, imposte sui redditi e sul valore aggiunto. La federazione dell’agricoltura e dell’ambiente della Cisl siciliana chiede al governo Musumeci e all’Inps di costituire subito una cabina di regia insieme a sindacati e imprese per attuare nel più breve tempo possibile interventi concreti che fermino questa nuova schiavitù”.

“Ieri il presidente dell’Inps ha lanciato la proposta di droni e di una task force di ispettori – continua Manca – intanto serve far partire subito un piano smart alla vigilia dell’avvio della campagna di raccolta e distribuzione dei prodotti ortofrutticoli”.

“Il segretario della Fai Cisl Sicilia rimarca come siano ancora troppe le aziende che operano nell’assoluta illegalità, facendo concorrenza sleale a quelle sane”.

“Dietro a questo sistema di malaffare – continua Manca – spesso ci sono vere e proprie organizzazioni criminali che, soprattutto in questo periodo, reclutano manodopera a bassissimo costo e senza il minimo rispetto delle regole né salariali né di sicurezza. Occorre ripartire dalla prevenzione e dai controlli, perché altrimenti la normativa di settore resterà lettera morta”.

“La Fai Cisl ha istituito un numero verde per raccogliere in forma anonima le denunce dei lavoratori e delle lavoratrici vittime dei caporali: 800.199.100”.

“Attraverso questo canale d’ascolto – continua Manca – vogliamo entrare in contatto con le vittime del caporalato, sentendo le loro storie e sostenendoli nelle denunce. Questi lavoratori vanno tutelati e supportati per uscire fuori da un incubo di sfruttamento e miseria”.

D’accordo su tutto. Però, a questo punto, bisogna avere il coraggio di prendere il toro per le corna e dire come stanno le cose.

E le cose stanno così: mentre in Italia il costo di una giornata lavorativa per un bracciante agricolo, legge alla mano, è pari a 80-100 euro, in altre parti del mondo il costo di una giornata lavorativa per un bracciante agricolo è pari a 5 euro e anche meno.

Mentre in Italia la legge vieta lo sfruttamento dei braccianti agricoli, in altri Paesi del mondo lo sfruttamento dei lavoratori agricoli è la regola.  

Il problema, come scriviamo spesso, è che i Paesi che pagano un bracciante agricolo meno di 5 euro al giorno esportano – a dazio zero – i propri prodotti in Sicilia. E’ chiaro che l’agricoltura siciliana non può competere con le agricoltura di questi Paesi.

Non solo. In Sicilia gli agricoltori rispettano le regole – severe – che presiedono all’uso di pesticidi, erbicidi e via continuando con la chimica.

Noi invece non sappiamo come vengono usati i pesticidi nei Paesi da dove arriva l’ortofrutta a valanga e, soprattutto, non sappiamo che tipo di pesticidi utilizzano: perché c’è il dubbio che utilizzino pesticidi che, in Italia, sono stati messi al bando negli anni passati perché pericolosi per la salute umana. 

Facciamo un esempio: le ciliege, frutta dell’attuale stagione. Lo sapete che in Francia hanno vietato l’importazione di ciliege trattate con il dimetoato (QUI NOTIZIE SUL DIMETOATO). In Sicilia qualcuno sta controllando le ciliege che arrivano sulle nostre tavole, considerato che in Italia la produzione è in calo? (COME POTETE LEGGERE QUI).

In Italia – e non soltanto in Sicilia (QUI UN ARTICOLO CHE RACCONTA DELLA DIFFUSIONE DEL CAPORALATO AGRICOLO NELLE CAMPAGNE DEL NORD ITALIA) – per fronteggiare la concorrenza dei prodotti agricoli che arrivano dai Paesi dove il costo del lavoro è cinquanta-sessanta volte inferiore al costo del lavoro sancito dalle leggi italiana si ricorre allo sfruttamento della manodopera che arriva dal Nord Africa, dalla Romania e da altri Paesi.

Ma è un rimedio – moralmente sbagliato – che non risolve i problemi. Anche perché i controlli, oggi, sono serrati e le contravvenzioni ‘salate’, per non parlare delle denunce e dell’INPS che poi presenta il conto.

Tant’è vero che certe coltura, in Sicilia, vanno scomparendo, proprio perché gli agricoltori, per continuare a coltivare certi prodotti, non hanno molte scelte:

o produrre ricorrendo allo sfruttamento della manodopera (e molti agricoltori non vogliono più rischiare);

o producendo in perdita (ma questo è economicamente illogico);

o non coltivando più certi prodotti agricoli (che è quello che sta succedendo). 

Quello che nessuno dice è che i prodotti che gli agricoltori siciliani non producono più vengono immediatamente sostituiti con prodotti agricoli che arrivano dall’estero: prodotti agricoli che, spesso, sono di pessima qualità e, altrettanto spesso, risultano carichi di pesticidi che i nostri agricoltori non utilizzano da anni perché dannosi per la salute.

Quello che stiamo cercando di illustrare è che, nel nome della legge (italiana), si colpiscono – giustamente – coloro i quali sfruttano la manodopera con il caporalato, ma – contemporaneamente – si facilita la vita a chi esporta in Sicilia (e, in generale, in Italia) prodotti agricoli di pessima qualità.

In più c’è la Grande distribuzione organizzata, una sorta di ‘imbuto’ dal quale passa buona parte dell’ortofrutta che finisce sulle nostre tavole. La Grande distribuzione organizzata impone agli agricoltori prezzi bassi. E chi è che può vendere la propria produzione a prezzi bassi? Chi la produce a prezzi bassi! Cioè i Paesi dove il costo del lavoro è stracciato, cioè pari a meno di 5 euro al giorno!

Morale: se non si trova una soluzione – che deve passare per forza di cose dalla politica – siamo condannati a portare sulle nostre tavole prodotti agricoli di scarsa qualità, trattati con pesticidi in modo spesso improprio: magari con pesticidi che la legislazione italiana ha bandito perché dannosi per la salute umana.

Poiché è l’Unione Europea che impone le regole del commercio internazionale di prodotti agricoli (vedi l’invasione di olio d’oliva tunisino a dazio zero!), dovrebbero essere i nostri eurodeputati appena eletti a caricarsi questi problemi, provando a trovare soluzioni: per esempio, l’utilizzazione dei fondi europei per abbassare il costo del lavoro in agricoltura, mettendo sullo stesso piano, su questo delicato fronte, gli agricoltori siciliani con chi produce a costi molto più bassi nel Nord Africa, in Cina e via continuando.

Intanto qualcosa la possiamo fare: acquistando solo prodotti agricoli siciliani presso i negozi artigianali di fiducia e presso le aziende agricole.

E visto che è tempo di ciliege e che nessuno – com’è stato fatto in Francia – sta facendo chiarezza sulle ciliege che invadono le bancarelle – diamo un consiglio ai consumatori siciliani: acquistate solo ciliege siciliane o, al limite, italiane (pugliesi e campane). Senza avere la certezza della provenienza, evitate di mangiare le ciliege.

 

 

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