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Il paradosso: i siciliani non comprano vini veneti, ma i veneti si prendono i terreni agricoli della Sicilia/ MATTINALE 356

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Tra diritti di reimpianto venduti e aziende agricole siciliane vendute la Sicilia, negli ultimi anni, ha perso circa 30 mila ettari di vigneti acquisiti dal Nord Italia, Veneto in testa. Serve una strategia del Governo regionale per affrontare la crisi del vino. Perché non pensare a un vino prodotto dalla Regione siciliana in collaborazione con la Russia di Putin? Tra l’altro, in questo momento russi e americani dialogano

La Sicilia dei paradossi: mentre tutto il Sud – Sicilia compresa – è impegnato nell’operazione ‘Compra Sud’ a sostegno delle imprese del Mezzogiorno d’Italia, mentre i veneti, i lombardi e gli emiliani cominciano a capire che, forse, l’Autonomia differenziata del Nord, detta altrimenti ‘Secessione dei ricchi’, rischia di diventare un boomerang che potrebbe ritorcesi contro le imprese del Nord (a cominciare dalle imprese venete che producono vini spumanti), si scopre che lo stesso Nord Italia, con in testa il Veneto, negli ultimi anni, ha acquistato dalla Sicilia quasi 30 mila ettari di vigneti sotto forma di diritti di reimpianto e aziende in crisi.

Qui dobbiamo accompagnare i nostri lettori dentro i meandri di una fallimentare Unione Europea che è liberista quando si tratta di tutelare gli interessi delle multinazionali, mentre non esita a creare lacci e lacciuoli quando deve creare imbrogli per favorire alcuni Paesi europei, o alcune categorie economiche e sociali, ai danni di altri Paesi europei e di alcune categorie sociali.

I cervellotici regolamenti sui vigneti sono uno dei paradigmi del fallimento dell’Unione Europea. In Italia gli agricoltori, sui propri terreni, non sono padroni di piantare e spiantare una coltura: debbono chiedere il permesso ai signori della UE che, detto per inciso, in materia di tutela dell’agricoltura e, segnatamente, di tutela della salute dei consumatori sono a dir poco penosi.

Basti pensare all’innalzamento dei limiti dei contaminanti presenti nel grano disposti dalla stessa UE: un provvedimento vergognoso adottato per consentire l’ingresso, nell’Eurozona, di grani pieni di glifosato, micotossine e contaminanti vari! Il tutto senza informare correttamente i consumatori. Una vergogna tutta europea!

Tornando ai vigneti, succede che, in Sicilia, grazie alla voracità degli industriali del vino – che tranne alcuni casi dimostrano miopia economica – il prezzo dell’uva da vino è ormai ai minimi storici: 20 centesimi di euro al Kg, o giù di lì.

Così, in quella che dovrebbe essere – e in parte la Sicilia lo è – la terra dei vini di grande qualità, succede che molti agricoltori che producono uva da vino, ma che non hanno alle spalle un’azienda per trasformare l’uva in vino e che, di conseguenza, vivono (o dovrebbero vivere) vendendo il prodotto, con un prezzo così basso decidono di non produrre più uva da vino.

Ma, come già detto, di mezzo ci sono i regolamenti comunitari. Siccome la possibilità di produrre uva da vino, nell’Unione Europea, è un valore, ecco che in Sicilia molti agricoltori, guadagnando poco o nulla con la produzione di uva da vino, hanno deciso di vendere la possibilità di produrre uva da vino ai produttori di vino del Nord Italia, in buona parte veneti.

Si tratta della vendita dei diritti di reimpianto.

Il problema è serio e complicato e, per affrontarlo e risolverlo, occorrerebbe quello che in Sicilia non c’è: un Governo regionale con competenze in materia di agricoltura. Il problema è che l’assessorato all’Agricoltura è finito a Forza Italia, un partito che, come racconteremo in seguito, nel passato, ha contribuito ad affossare l’agricoltura siciliana e, segnatamente, una parte importante del mondo del vino della nostra Isola.

Noi l’abbiamo scritto e lo confermiamo: se un agricoltore, dalla semplice coltivazione dell’uva da vino, non ricava utili ha tutto il diritto di cambiare coltura.

Ma un Governo regionale che si vede passare sotto il naso 30 mila ettari di vigneto che, dalla Sicilia, si trasferiscono in Veneto, perché lì, in un modo o nell’altro, hanno trovato il modo di fare affari con il prosecco (anche con l’aiuto molto discutibile dell’Unesco, che ha addirittura messo il proprio ‘bollino’ in una zona al alto inquinamento ambientale!) il problema se lo dovrebbe porre!

Invece l’unico soggetto che si è posto il problema è la CIA siciliana. Questa organizzazione agricola – e di questo gliene va dato atto – ormai da tempo pone con forza la questione del vino in Sicilia vista come questione sociale.

Ricordiamo che la Sicilia ha un primato, nell’uva da vino, che oggi la crisi di questo settore e, in generale, la crisi dell’agricoltura siciliana sta mettendo in discussione. Abbiamo detto dei diritti di reimpianto venduti da tanti agricoltori siciliani al Veneto.

Ma adesso succede anche altro: siccome il Veneto ha bisogno di altri terreni dove impiantare vigneti per produrre prosecco, ecco che i veneti piombano in Sicilia per acquistare direttamente le piccole aziende siciliane in crisi. Una volta acquisite le aziende, le ‘infilano’ dentro le proprie società e poi fanno quello che vogliono…

Insomma, anche nel vino si sta verificando quello che questo blog denuncia da tempo: la crisi dell’agricoltura sta spingendo molti agricoltori siciliani prima a eliminare certe colture (il grano duro che non è più conveniente a causa di una speculazione al ribasso sui prezzi, il pomodoro di pieno campo che non può competere con il pomodoro che arriva dal Nord Africa e dalla Cina prodotto a costi dieci volte inferiori e, da qualche tempo, anche l’uva da vino) e poi a cedere le proprie aziende a soggetti estranei alla Sicilia.

Lo ribadiamo: il problema è serio, ma non può essere affrontato da Forza Italia di Gianfranco Miccichè, un personaggio che, a fine anni ’90, contribuì, insieme con il centrosinistra, prima allo smantellamento dei manager della Vini Corvo e poi alla vendita di questa azienda vinicola storica della Sicilia!

Chi scrive – sie era tra la fine degli ani ’90 e i primi anni del 2000 – ha vissuto, da giornalista, la vendita della Vini Corvo, che era un’azienda vinicola regionale in attivo. Per quale motivo una Regione come la Sicilia si sia privata di un’azienda vinicola che ha fatto la storia del vino nella nostra Isola, ebbene, bisognerebbe chiederlo non soltanto a Miccichè, ma anche alla sinistra siciliana che in quel momento, grazie al solito ribaltone (la sinistra, in Sicilia, quando ha governato la Regione, l’ha fatto sempre con i ribaltoni: il vero consenso per governare non l’ha mai avuto), era al Governo della Regione.

Detto questo, la Sicilia non è mai riuscita ad esprimere una politica sul vino. Ci ha provato, in parte, nella seconda metà degli anni ’90, l’allora assessore all’Agricoltura, Totò Cuffaro. Tentativo generoso, ma di élite: è stato aiutato e garantito un piccolo numero di produttori di vino, ma nulla è stato fatto per le cantine sociali.

L’obiettivo avrebbe dovuto essere quello di trasformare le cantine sociali siciliane – magari consorziandole – nell’esperienza della Settesoli di Menfi, sicuramente una delle più interessanti realtà – positive e significative – del panorama vitivinicolo europeo.

Ma così non è stato. E oggi ci ritroviamo con tante cantine sociali in crisi e con tanto vino invenduto. Che fare?

In primo luogo, serve un Governo regionale che governi. Continuare a far gestire l’assessorato all’Agricoltura a Forza Italia di Miccichè è un grave errore. Forza Italia, in Sicilia, a parte qualche caso raro (per esempio, Innocenzo Leontini), non ha prodotto grandi amministratori, ma solo grandi danni.

Noi abbiamo provato a ipotizzare qualche via d’uscita: per esempio, l’apertura al mercato russo (e il fatto che in queste ore, dopo gli incendi in Siberia, Putin e Trump si siano riavvicinati potrebbe essere un fatto positivo, considerati gli interessi degli USA in Sicilia)

Ma si potrebbe fare di più e meglio. Cosa? Qualche anno fa Dario Cartabellotta – che allora come oggi era dirigente generale del dipartimento Agricoltura – ha iniziato a produrre vino con il marchio della Regione siciliana. Era una prova. Ben riuscita.

Bene. Perché non consorziare, sotto l’egida della Regione siciliana, tutte le cantine sociali della nostra Isola in crisi? La Regione potrebbe cominciare a produrre vino utilizzando le altissime professionalità dell’Istituto regionale della Vite e del Vino (oggi è stato ribattezzato della Vite e dell’olio).

Sarebbe un’esperienza ‘socialista’? E allora? Se non ricordiamo male, il presidente della Regione, Nello Musumeci,  ha un passato nella ‘Destra sociale’: e, in ogni caso, l’Italia ha una grandissima tradizione nelle partecipazioni Statali, se è vero che IRI ed ENI erano ai primi posti nel mondo.

Certo, poi con Tangentopoli tedeschi e francesi hanno in parte distrutto le partecipazioni statali italiane. Non ci sono riusciti del tutto, anche se i tentativi di massacrare l’ENI e la Finmeccanica (magari utilizzando le stesse leggi italiane: lo ‘schema’ è sempre quello di Tangentopoli…) non sono mancati.

La stessa guerra in Libia – con l’uccisione di Gheddafi – è stata voluta dalla Francia per togliere all’ENI una grossa commessa.

Concludendo, la Regione, a nostro modesto avviso, dovrebbe provare a produrre vino con il marchio della Sicilia. L’Unione Europea si opporrà? Bene: allora a Bruxelles dovrebbero spiegare il perché, ancora oggi, lo Stato francese produce automobili! E magari il perché le banche tedesche hanno ricevuto dalla UE 250 miliardi di euro di fondi pubblici.

La verità è che la Sicilia – trovando sponde politiche (e non soltanto politiche…) – dovrebbe cominciare a fare una propria politica con la Russia di Putin e con gli USA. Fregandosene dell’Europa dell’euro che, fino ad oggi, ha fatto solo danni. Abbiamo in Sicilia il Muos a Niscemi e Sigonella nella Piana di Catania? Una volta tanto, invece di ‘subirle’ utilizziamole – in termini geopolitici – per fare crescere l’economia siciliana.

Potrebbe essere l’inizio di una stagione indipendentista? E allora? Questo è un motivo in più per provarci!

 

 

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