Perché i furbetti del cartellino all’ospedale ‘Cardarelli’ di Napoli stonano un po’: non fanno onore alla storia di un grande medico

26 luglio 2019

La vicenda riportata nei giorni scorsi dai media circa la presenza di furbetti del cartellino all’ospedale ‘Cardarelli’ di Napoli stona con il personaggio a cui è dedicato il più grande ospedale del Mezzogiorno d’Italia. Questo perché Antonio Cardarelli – il più grande clinico del suo tempo (e forse uno dei più grandi di tutti i tempi) – già novantenne, continuava a visitare dalla mattina alla sera senza guardare agli orari di lavoro. L’occasione per parlare di un grande uomo del Sud 

di Maddalena Albanese

Antonio Cardarelli. Un nome che di recente è salito agli onori (!) della cronaca per l’ennesima vicenda dei furbetti del cartellino. Antonio Cardarelli è stato un grandissimo medico e a lui è intitolato il nome del più grande ospedale di Napoli (che è anche il più grande ospedale pubblico del Mezzogiorno d’Italia). In un periodo della vita pubblica italiana nel quale, spesso, sentiamo di impiegati pubblici che sono ufficialmente presenti ma effettivamente assenti dal lavoro; in un tempo in cui stiamo tutti a contare i giorni che ci separano dalla “quota 100” per potere andare in pensione e finalmente cominciare a vivere, il nome Cardarelli è decisamente fuori luogo, considerato che è stato un uomo che ha dedicato tutta la sua vita al lavoro di medico, professione che ha svolto come una missione, senza guardare mai agli orari di lavoro.

Per questo sentire che all’ospedale ‘Antonio Cardarelli’ di Napoli ci sono furbetti del cartellino stona un po’, se è vero che Cardarelli, anche da ultranovantenne, passava non meno di 12 ore al giorno nel suo studio medico per visitare persone che si mettevano in fila per giorni e giorni per essere visto dal Prof. Cardarelli!

Antonio Cardarelli è stato uno dei più grandi clinici del diciannovesimo secolo e del primo scorcio del ‘900. Ha fatto parte di quella schiera di clinici che ha reso il Sud Italia illustre e orgoglioso.

Il concetto di occhio clinico (la capacità di intuire una patologia in una persona solo guardandone il viso, il colorito della pelle, la voce, l’andatura ) era il suo più grande talento. Talento affinato e curato da una severa disciplina volta a coltivare lo studio ed il lavoro.

In un’epoca in cui i mezzi diagnostici (laboratoristici o radiologici) erano ancora grezzi, questo suo talento era inestimabile. Tra i tanti aneddoti che lo riguardano, ne citiamo uno per tutti.

I suoi colleghi, invidiosi di tale genio, accompagnarono un giorno dal Prof. Cardarelli un uomo, ritenuto da loro in buona salute, per farglielo visitare, volendo così mettere alla prova le sue capacità diagnostiche. Immaginiamoci dunque l’ilarità suscitata dalla diagnosi: nefrite, per giunta funestata da una prognosi terribile: si curi o le rimangono pochi giorni di vita.

I colleghi e l’uomo, convinti di avere sbeffeggiato questo dono della natura e di potersene vantare, andarono via, ma purtroppo il Prof. Cardarelli aveva diagnosticato il vero ad un uomo che tutti i suoi colleghi ritenevano sano. E purtroppo l’uomo mori pochi giorni dopo per le complicanze di una nefrite.

L’attività del Prof. Cardarelli è stata comunque anche didattica, non solo clinica. Ha insegnato Patologia Medica per quasi cinquant’anni all’Università Regia di Napoli. E non è andato via per godersi la pensione, ma è stato gentilmente e con dolore congedato dall’amministrazione per “oltrepassati” limiti di età: ha insegnato, infatti, fino alla veneranda età di novantadue anni!

Si racconta che l’ultimo giorno di lavoro un fiume di uomini giovani e meno giovani della buona borghesia avessero invaso la strada dove Cardarelli viveva. I più giovani trainavano una carrozza al posto dei cavalli: sulla carrozza era seduto Cardarelli che salutava la folla: lo stavano accompagnando a casa per l’ultima volta, dopo l’ultimo giorno di lavoro. Erano i suoi allievi, commossi e riconoscenti di avere avuto il privilegio di conoscerlo, di apprendere da lui la scienza e l’approccio al malato. I più anziani erano i colleghi di lavoro che non volevano mancare a questo saluto.

Ma la sua attività di clinico non si arrestò: continuò a visitare nel
proprio studio in maniera diuturna. Non bastava la sala di attesa per contenere i pazienti accompagnati dai loro parenti; tutti riempivano la scala, l’androne, la strada, senza stanchezza e senza lamento pur di essere visitati dal Prof. Cardarelli.

Cardarelli ha visitato e curato i grandi del suo Paese: Papà Leone XIII, re Vittorio Emanuele II, Umberto I, Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Verdi, Enrico Caruso e Benedetto Croce.

E comunque non solo la scienza di cui era in possesso ha donato al suo prossimo, ma anche il proprio denaro: ha fatto costruire infatti il cimitero nella propria città natale – Civitanova del Sannio, in Molise, dove era nato nel 1831 – e le ha donato la rete elettrica.

L’unico appunto glielo dobbiamo fare riguardo alle sue scelte politiche: è stato un risorgimentalista convinto. Fu deputato alla Camera – eletto nel collegio di Isernia – dal 1880 al 1894. Poi fu nominato Senatore del Regno. Una giustificazione c’è: da giovane studente di Medicina partecipò ai moti risorgimentali. Uomo dedito anima e corpo agli studi di medicina, non ebbe il tempo di osservare e approfondire quello che i piemontesi, negli anni subito successivi all’unificazione, combinarono nel Mezzogiorno.

Ma questo non inficia la sua grandezza di medico e di uomo del Sud.

Si racconta che sia stato costretto a presentare una falsa identità per partecipare al concorso da assistente al Complesso degli Incurabili, dove risultò primo. Ma forse chi comandava nel Regno delle Due Sicilie, più che guardare alla sua fede politica, badò di più alla straordinaria bravura di questo medico. Chissà.

Del resto, allora il Regno delle Due Sicilie primeggiava nel mondo anche per l’amore di tali regnanti per la cultura.    

Tra l’altro, va detto che, da senatore, ha combattuto per la nascita di centri sanitari in cui si potesse accedere solo per risolvere prontamente problemi di salute in emergenza, o problemi che oggi definiremmo ambulatoriali o da day hospital, senza dovere ricorre per ogni cosa a lunghi e costosi ricoveri.

L’ultimo suo gesto, quando ormai capiva di essere vicino alla fine della sua lunga vita, è stato quello di scrivere alle istituzioni perché costruissero un ospedale nella sua regione, il Molise: unica regione del Regno di Italia a non avere almeno una struttura ospedaliera. Correva l’anno 1927. Oggi anche l’ospedale di Campobasso porta il suo nome.

Il nostro è un omaggio commosso ad un uomo, un medico, un figlio del Sud che ha lasciato su questa terra un grande segno del proprio passaggio.

Foto tratta da prevenzione-salute.it

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