Crisi finanziaria della Regione siciliana: perché non puntare su una moneta complementare?/ MATTINALE 300

4 giugno 2019

A Roma stanno pensando a una moneta complementare. C’è già, in questo senso, una mozione approvata dalla Camera dei deputati. Perché non fare la stessa cosa in Sicilia dopo un voto del Parlamento della nostra Isola? La moneta complementare siciliana andrebbe a sostenere il sistema agro-alimentare siciliano e, quindi, la nostra agricoltura. E anche la nostra salute 

Premesso che, alla Sicilia, dell’eventuale crisi del Governo nazionale importa poco o nulla, dal momento che i Governi targati centrodestra-Forza Italia, centrosinistra-PD, grillini-leghisti – almeno rispetto alla questione meridionale – si somigliano tutti e sono tutti antimeridionali e, in particolare, anti-siciliani (incredibile la vicenda della tonnara di Favignana), oggi vogliamo lanciare una proposta all’attuale Governo regionale di Nello Musumeci e al Parlamento siciliano. Tema: la crisi finanziaria della nostra Regione. O meglio, un’idea – da approfondire, certo – per provare a venirne fuori, a prescindere da Roma.

Non vogliamo partire da un voto espresso dalla Camera dei deputati nei giorni scorsi e, precisamente, il 20 Maggio. Quando l’assemblea di Montecitorio ha approvato all’unanimità una mozione che impegna l’attuale Governo nazionale a dotarsi di una moneta complementare all’euro (QUI UN ARTICOLO).

Bene, a nostro avviso, tanto per cominciare, la stessa cosa potrebbe essere fatta a Sala d’Ercole: una bella mozione, che dovrebbe essere presentata dal Governo, e che dovrebbe essere approvata dall’Ars, per dotare la Sicilia di una propria moneta complementare.

A Roma pensano di puntare su minibot che dovrebbero essere utilizzati per i crediti delle Pubbliche amministrazioni. Insomma, a Roma si pensa di emettere dei titoli di Stato del taglio compreso da 5 a 100 euro. Si tratterebbe, alla fine, di una moneta non assoggettata alle fluttuazioni che lo Stato italiano utilizzerebbe per pagare se stesso, per un ammontare complessivo di poco meno di 60 miliardi di euro.

Questi minibot, ovviamente, verrebbero garantiti dallo Stato italiano.

La Regione siciliana dispone di entrate congrue e di beni immobili che possono garantire il ricorso a una moneta alternativa all’euro da utilizzare a sostegno dell’economia siciliana.

A Roma, come già accennato, vorrebbero effettuare un’operazione da circa 60 miliardi di euro. Poiché la Sicilia ha una popolazione pari a circa il 10% di quella italiana, la Regione potrebbe ipotizzare un’operazione da 2,5-3 miliardi di euro. Un po’ di più del ‘buco’ sui residui attivi che il passato Governo regionale di centrosinistra ha lasciato in eredità all’attuale Governo e molto meno, nel complesso, dei danni prodotti dai ‘Patti scellerati’ Renzi-Crocetta e dal ‘furto con destrezza’ che lo Stato opera ai danni della sanità pubblica siciliana dal 2007.

Il ricorso a una moneta siciliana complementare – ovviamente da approfondire negli aspetti tecnici – dovrebbe sostenere l’economia siciliana. A cominciare dall’agro-alimentare e dall’agricoltura, valorizzando il cosiddetto Km zero.

Il sistema agro-alimentare siciliani, da quando l’Italia è finita nel lager-euro – la pestifera moneta unica europea, vero e proprio strumento di ricatto-strozzinaggio, organizzato e gestito da una banda di massoni per fare arricchire alcuni Paesi europei (Germania in testa) a spese di altri Paesi europei (la Grecia, ormai massacrata e, adesso, l’Italia) – si ritrova nella situazione che proviamo a descrivere per sommi capi.

I Siciliani, ogni anno, per l’alimentazione, spendono circa 13 miliardi di euro.

Il primo problema è che, di questi 13 miliardi di euro, solo 2 miliardi di euro sono prodotti agricoli siciliani, mentre gli altri beni alimentari, del valore di circa 11 miliardi di euro, vanno a sostenere le economie (e quindi le agricolture) di altri Paesi del mondo.

Il secondo problema è che buona parte di questi prodotti agricoli importati in Sicilia sono di pessima qualità.

L’esempio incredibile è rappresentato dal grano duro: in Sicilia e, in generale, nel Sud Italia si coltiva uno dei grani duri che, sotto il profilo organolettico, è uno dei migliori del mondo: ma il sistema truffaldino che è stato creato attorno all’euro ci costringe a mangiare pane, pasta, pizze e via continuando prodotti con grani duri esteri, spesso pieni di glifosato e micotossine DON.

Lo stesso discorso vale per la frutta, per gli ortaggi, per il latte, per i formaggi industriali e via continuando.

La moneta complementare siciliana, tanto per cominciare, dovrebbe andare a sostenere il sistema agro-alimentare della nostra Isola, privilegiando – come già accennato – i prodotti a Km zero: ovvero incentivando i siciliani a portare sulle proprie tavole i prodotti agricoli coltivato in Sicilia. 

Così come lo Stato italiano utilizzerebbe la moneta complementare  per pagare se stesso, per un ammontare complessivo di poco meno di 60 miliardi di euro all’anno, la Regione siciliana dovrebbe utilizzare la propria moneta complementare, per un ammontare di 2,5-3 miliardi di euro, per pagare se stessa.

Segnaliamo anche il fatto che il consumo, da parte dei siciliani, di prodotti agricoli siciliani, oltre a sortire effetti positivi sulla bilancia commerciale e, in generale, sull’economia, avrebbe effetti positivi anche sulla sanità: perché meno prodotti avvelenati sulle nostre tavole significherebbe meno malattie e, in prospettiva, una riduzione della spesa sanitaria siciliana.

Non sta a noi scendere nei particolari tecnici di questa proposta: noi ci stiamo limitando soltanto agli aspetti politici. Diciamo soltanto che questa moneta complementare siciliana dovrebbe sostenere il sistema economico siciliano, a cominciare dall’agricoltura.

Bisognerebbe fare in modo che gli agricoltori siciliani vendano ai consumatori siciliani i propri prodotti al giusto prezzo, ovviamente a prezzi maggiori dei prodotti agricoli spesso scadenti, se non mezzo avvelenati, che arrivano nella nostra Isola da chissà dove.

Bisognerebbe fare in modo che la moneta complementare siciliana vada a sostenere gli agricoltori siciliani, che potrebbero utilizzare gli incassi per pagare i debiti che hanno accumulato con la stessa Pubblica amministrazione siciliana (per i debiti con le banche il problema si complica, anche se la questione andrebbe studiata, visto che la moneta complementare siciliana sarebbe comunque garantita dalle entrate e dai beni immobili della Regione).

Perché dobbiamo continuare a regalare 11 miliardi di euro all’anno al sistema-euro cinghia di trasmissione della folle globalizzazione dell’economia che sta distruggendo l’agricoltura siciliana?

Qualcuno potrebbe obiettare: e la Banca d’Italia’ E la Banca Centrale Europea?

Noi, in Sicilia, abbiamo tutto il diritto di ignorare la Banca d’Italia. Anzi, tutto il Sud dovrebbe ignorare la Banca d’Italia, istituzione che ha privato il Sud e la Sicilia di un sistema creditizio di riferimento per tutelare nel banche del Centro Nord Italia.

Chi conosce un po’ il mondo della banche sa come sono andate le cose su Banco di Sicilia e Sicilcassa tra la fine degli anni ’80 e i primi anni del 2000. La totale assenza di giustizia nei riguardi del Sud in materia bancaria ci autorizza a ignorare la Banca d’Italia.

Quanto alla BCE e, in generale, alla UE, sappiamo che la moneta complementare andrebbe a violare l’articolo 106 del Trattato di Lisbona: pazienza, ce ne faremo una ragione!

Anche perché la moneta complementare della Sicilia non sarebbe certo la prima!

Foto tratta da progettoalternativo.com

 

 

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