La vera storia dell’impresa dei Mille 17/ Il garibaldino Bandi smentisce Garibaldi e le bugie sulla Legione Ungherese di Tukory e Turr

7 aprile 2019

In questo capitolo Giuseppe Scianò ci svela due cose molto importanti. Primo: che un noto garibaldino, Giuseppe Bandi, smentisce Garibaldi sui fatti di Partinico. Secondo: contrariamente a quello che ci hanno raccontato, i militari della Legione Ungherese che combattevano in sostegno di Garibaldi non erano “patrioti”, ma mercenari pagati dagli inglesi. E noi, in Sicilia – è il caso tenente colonnello Lajos Tukory – gli abbiamo dedicato busti e vie: come, ad esempio, Corso Tukory a Palermo… 

di Giuseppe Scianò

A Partinico non mancheranno orrori e bugie. Ma… Così scrive il Bandi:

«…Volendo serbare intatti i cadaveri per farne pompa dinanzi a Garibaldi… […] Narrano (ma non saprei garantirlo vero) che que’ cittadini, bastonando furiosamente i Borbonici che tornavano rotti da Calatafimi e cominciavano ad abbottinarsi (sic) per le vie di Partinico, ne uccidessero alcuni, e volendo poi serbare intatti i cadaveri per farne pompa (sic) dinanzi a Garibaldi quando passasse, li fermassero in forno, cioè li cuocessero a metà come suol farsi de’ tordi, quando pel pericolo che si guastino per l’indomani si rosolano al fuoco quanto basta perché la putredine non li corrompa».(8)

Come si vede, il Bandi, che peraltro sosta a Partinico più di quanto non abbia fatto l’Abba, non parla dell’incendio di Partinico, né delle stragi. Ci fa comprendere che le vittime erano soldati sbandati o quasi, scollegati dal grosso della colonna Landi. Non indugia sull’orgia attorno ai cadaveri, né sulle ragazze che avrebbero danzato in cerchio. A Partinico cose del genere – lo ripetiamo fino alla noia – non sarebbero potute succedere mai.

Il Bandi (ma questo conferma la veridicità del suo racconto) sembra compiacersi – e la cosa certamente non gli fa onore – nel paragonare i poveri soldati uccisi ai tordi per quanto riguarda la conservazione dei cadaveri. Ed anche se il Bandi – da buon garibaldino – alimenta il gioco di confondere i picciotti di mafia con la cittadinanza di Partinico, almeno in questa occasione conferma (senza equivoci) la specifica esigenza dei picciotti di mafia di far pompa con Garibaldi di quei poveri morti.

Il Bandi, tuttavia, compirà a Partinico un gesto di umanità, del quale è doveroso dargli atto e dal quale ricaviamo un’ulteriore dimostrazione del- l’esagerata manipolazione dei fatti compiuta dall’Abba e da coloro che gli vanno appresso. A Partinico sono detenuti infatti cinque soldati Napoletani
sopravvissuti all’agguato dei picciotti. O, per meglio dire, sopravvissuti all’ignobile ritirata del Landi, che era così veloce da perdere pezzi ed uomini strada facendo. I soldati catturati erano stati affidati all’Amministrazione Comunale. Inutile ribadire che, se fosse stato vero che la bieca pattuglia di Borbonici aveva bruciato il paese e compiuto la strage di donne e di bambini, quei cinque soldati non sarebbero stati tenuti in vita sani e salvi, seppure prigionieri, ancora ad un mese circa da quegli orrori. Né sarebbero esistiti locali comunali adeguati alla detenzione.

È vero, invece, che via via che passavano i giorni diventava quasi obbligatorio, per i rivoluzionari unitari locali o venuti con Garibaldi, vantare l’uccisione di nemici. Nasce infatti la nuova esigenza di fornire numeri ai loro protettori Britannici. E quei militari Duosiciliani, disgraziati ma ancora in vita e pieni di salute, sarebbero diventati un’ottima occasione per acquisire benemerenze, se opportunamente massacrati…

Lo capiscono molto bene anche gli interessati che manifestano la loro preoccupazione al Bandi (il quale dopotutto è ufficiale e gentiluomo, ancora prima di essere garibaldino). E lo invocano di portarli con sé a Palermo, sempre come prigionieri ovviamente, ma pubblicizzando la loro posizione. Il Bandi, dimostrando molta sensibilità, accoglie la loro richiesta e solleva dall’imbarazzo le autorità comunali, che – pur essendo ora diventate unitarie – non avrebbero gradito un linciaggio dimostrativo, ma pur sempre feroce di quei soldati del Regno delle Due Sicilie, colpevoli soltanto di appartenere ad un esercito destinato alla sconfitta. Ed è, anche questo, un segno di quella civiltà e di quella umanità, delle quali abbiamo, seppur
sommariamente, parlato.

Il Bandi con il suo modo di ricordare quella vicenda ne combina sostanzialmente un’altra, che gli apologeti di professione non gli hanno mai perdonato e per la quale noi gli siamo grati. Cosa fa di tanto importante? Parla troppo… Smentirà, così, persino il mitico Generale Garibaldi.

Questi, infatti, nelle sue memorie riproporrà con forza la versione ufficiale (alla quale come abbiamo visto è già allineato l’Abba) aggiungendo una dose eccessiva di horror e di fantasia.

Seguiamo ciò che scriverà il Duce dei Mille:

«A Partinico, il popolo era frenetico. Molto maltrattato dai soldati Borbonici, anteriormente alla pugna di Calatafimi, quando questi tornarono fuggenti e sbandati, la popolazione di Partinico diede loro addosso, massacrando quanti potevano, e perseguendo il resto verso Palermo. Miserabile spettacolo! Noi trovammo i cadaveri dei soldati Borbonici, per le vie, divorati dai cani!».(9)

È appena il caso di fare rilevare che il Duce dei Mille si guarda bene
dal parlare della pompa dei cadaveri semiarrostiti, ma deve parlare comunque dei cadaveri trovati per strada il giorno dopo. Li descrive, quindi, come «divorati dai cani». Si guarda bene altresì dall’attribuire ai picciotti quello scempio, che invece addossa alla «popolazione di Partinico». Sa bene che i picciotti di mafia sono sempre impresentabili, anche a prescindere dall’oltraggio ai cadaveri consumato a Partinico.

A questo punto riteniamo che, con tutti i suoi difetti, il Bandi sia, dopotutto, il più onesto della banda.

Borgetto, 18 maggio 1860: pessima accoglienza. Nella sua marcia verso Palermo l’Armata Garibaldina si lascia alle spalle, dopo averla attraversata, la cittadina di Partinico e si dirige al Passo di Renda. Attraversa quindi anche Borgetto (10) il paese limitrofo a Partinico.

A Borgetto l’accoglienza è pessima. Così la descrive l’Abba il giorno successivo, nella noterella del 19 maggio:

«Ieri Burgeto (Borgetto) mi parve un agguato. Dalle case bieche, mezzo nascoste tra gli olivi giganti, i paesani ci guardavano muti, come una processione di spettri. Ho notato una cosa. Se un popolo ci accoglie con gioia, l’altro che troviamo subito dopo ci sta contegnoso e freddo. Passammo(11).

È un’ammissione molto importante per comprendere quale fosse, in quei giorni, lo stato d’animo dei Siciliani. Certamente l’Abba ha una risposta per tutto, segue un suo modello propagandistico. Ma non basta dire che se in un paese vengono accolti bene, i Garibaldini rischiano di essere accolti male nel successivo. O quantomeno con freddezza e distacco.

La verità è che in ogni luogo i Siciliani li accolsero male. A meno che la mafia e la massoneria non avessero imposto qualche modalità di accoglienza migliore. E puramente formale, di apparato. Non sostanziale, né sincera.

Abbiamo visto che a Salemi i festeggiamenti furono organizzati dai fratelli Sant’Anna e dall’Onorata Società. Si trattava di festeggiamenti su
commissione, come altri ne incontreremo. Bisogna quindi dare atto al Popolo Siciliano di avere avuto il coraggio di non festeggiare, quando lo ha potuto fare, l’Eroe Nizzardo.

E bisogna anche vedere, di volta in volta, chi e come organizzi i festeggiamenti. A Marsala, ad esempio, furono solo gli Inglesi.

Ovunque i festeggiamenti, dove questi vengono messi in moto, sono organizzati e quasi imposti dall’alto. Non sono convinti, né spontanei.
L’ostilità e la freddezza, sì.

Grazie, Borgetto, per il supporto dato alla nostra modesta, ma sincera, interpretazione degli accadimenti del 1860 in Sicilia.

I signori Palermitani incontro ai Garibaldini. Nello stesso giorno, a Passo di Renda, l’Abba assiste all’incontro fra il Colonnello Carini, suo Comandante, ed alcuni signori, amici di quest’ultimo, venuti di proposito per incontrarlo da Palermo.

I signori comunicano che a Palermo è tutto pronto per la rivoluzione e per sopraffare i ventimila soldati che tengono la città.

Anche in questa circostanza si può notare l’astuzia propagandistica dell’Abba, il quale, da una parte conferma che a Palermo è tutto pronto e vedremo anche come e perché. Dall’altra comincia a costruire scenari e giustificazioni utili per quello che succederà dopo. E che lui stesso bene conosce al momento della stesura finale delle noterelle. E quindi ci dice che (quei signori) «…narrarono ancora che la polizia vuol dar a credere al popolo che siamo saccheggiatori, l’ira di Dio, come si dice qui. Parlavano dei birri. Ah! I birri di Palermo devono essere una gran laidezza. A sentire quei signori, i birri si vantano che uno di questi giorni dovranno far un eccidio di patriotti; e le trecce delle dame palermitane, dicono di volerle a far cuscini per le loro mogli».

I signori (e sulla veridicità di questa sola parte del racconto crediamo) dicono che i soldati rimangono «compatti e fedeli al Re» (Francesco II di Borbone delle Due Sicilie). Mentre a Palermo, scrive l’Abba:

«Di noi, del continente, di quel che fuori dell’isola si sa sulle operazioni nostre, sulla nostra vittoria, nulla».(12)

Che i soldati dell’Esercito delle Due Sicilie, nella quasi totalità, siano compatti e fedeli al Re, siamo d’accordo. Ma né l’Abba, né quei signori parlano dei vari alti ufficiali Borbonici pronti a collaborare con Garibaldi e già in combutta con gli Inglesi. E l’Abba non ci spiega nemmeno come mai gli incontri dei capi Garibaldini con i rappresentanti dei rivoltosi si svolgano sempre a livello di signori, di baroni, di latifondisti e/o di capimafia. Né ci spiega come Palermo si appresti ad una rivoluzione pur non sapendo nulla di tutto ciò che sta accadendo in Sicilia ed in Continente. E nulla dei liberatori e della loro vittoria.

Con il candore di sempre, l’Abba ci parla dei quattro ungheresi che sono con Garibaldi, lì a passo di Renda:

«Essa (l’Ungheria) ha qui due rappresentanti degni, Tükory e Türr, oltre a due gregari; quel selvaggio che vidi a bordo è il sergente Goldberg della mia compagnia, soldato vecchio, taciturno, ombroso, ma cuore ardito e saldo. Lo vedemmo a Calatafimi».(13)

Anche questa è un’operazione d’immagine. Ne abbiamo già parlato, ma cogliamo l’occasione per compiere alcuni approfondimenti. A parte il Türr e pochi altri ungheresi che avrebbero fatto carriera nell’Esercito Italiano, gli Ungheresi erano stati, da diversi anni, inquadrati in una Legione di mercenari, veri professionisti della guerra, spietati ed efficienti. Tutti al servizio del Regno Sabaudo.

La Legione Ungherese La Legione usata contro il Sud. Ungherese era però sostanzialmente gestita dall’Inghilterra che la utilizzava come, quando e dove le era più utile. Dopo l’impresa dei Mille, la Legione Ungherese sarà utilizzata prevalentemente e con regolare contratto nell’Italia Meridionale per imporre l’asservimento del Sud al nuovo Regno d’Italia. Questa volta, sempre con l’input degli Inglesi, al servizio diretto ed esclusivo di quello che sarà il Regno di Vittorio Emanuele II. Un bel progresso! Ed è, questa, un’altra pagina oscura e segreta della storia d’Italia, della quale vergognarsi.

L’Abba, presentando gli Ungheresi come singoli cavalieri senza macchia e senza paura, che rappresentano l’amore della nazione ungherese verso l’Italia, riesce a tacere sapientemente sul valore, sul ruolo, sul peso della Legione Ungherese. La figura di avere al proprio servizio mercenari stranieri rimane, invece, appioppata all’Esercito delle Due Sicilie. E non soltanto da parte degli esponenti della storiografia ufficiale italiana.

Insomma: non si guarda in casa propria.

Della Legione Ungherese così parla il giornalista-scrittore Salvatore
Scarpino (una delle pochissime eccezioni alla regola del silenzio assoluto in materia):

«Nella prima metà degli anni sessanta (secolo XIX, n.d.A.) fu impiegata nel Sud la Legione Ungherese… corpo mercenario proveniente dall’Armata Garibaldina, che si distinse per particolare durezza».(14)

Parlando del Risorgimento italiano sarebbe obbligatorio parlare della galassia di mercenari stranieri messi a disposizione sia dell’Armata Garibaldina, sia del Regno d’Italia e del suo Re, Vittorio Emanuele. Ed i cattivi Ungheresi, per la verità, nonostante la loro ferocia, non furono i peggiori fra i mercenari stranieri che contribuirono a fare l’Unità d’Italia.
Ma su tutto ciò si preferisce sorvolare.

Foto tratta da lasicilia.it

Fine della 17esima puntata/ Continua

(8) G. Bandi, op. cit., pag. 117.

(9) G. Cucinotta, op. cit., pag. 165.

(10) Borgetto, in Siciliano «Burgettu», è un paese di collina ad una ventina di chilometri da Palermo e confinante con i Comuni di Monreale e di Partinico. Ha dato i natali all’etnologo Salvatore Salamone Marino (1847-1916), grande studioso delle tradizioni popolari siciliane.

(11) G. C. Abba, op. cit., pag. 84.

(12) G. C. Abba, op. cit., pag. 85 e 86.

(13) G. C. Abba, op. cit., pag. 87.

(14) Salvatore Scarpino, Il brigantaggio dopo l’Unità d’Italia, Ed. Fenice 2000, Milano 1993, pag. 75.

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