Niente più disavanzi di Bilancio da restituire in 30 anni. E in Sicilia che si fa?

1 marzo 2019

Il tema l’abbiamo già affrontato più volte. Oggi vi proponiamo la lettura della sentenza integrale della Corte Costituzionale (che trovate in calce) e un articolo de Il Sole 24 Ore. Dopo di che sarebbe importante che il Governo nazionale e il Governo siciliano dicano che cosa hanno intenzione di fare alla luce di questa sentenza. Si tornerà alla legge Monti, che prevede la restituzione in dieci anni? La posizione di Paolo Amenta (ANCI Sicilia)    

Benché in Sicilia non sia molto ‘gettonata’, la notizia c’è ed è un mezzo disastro per gli enti locali italiani: i disavanzi degli enti locali non possono essere ‘spalmati’ in trent’anni. Noi abbiamo più volte affrontato la questione, COME POTETE LEGGERE QUI e COME POTETE LEGGERE ANCHE QUI. Una spiegazione esauriente dell’argomento la leggiamo su un articolo a firma di Gianni Trovati pubblicato da Il Sole 24 Ore.  

L’articolo è stato inviato all’ANCI Sicilia e agli amministratori comunali della nostra Isola. E l’ANCI Sicilia ce l’ha segnalato.

Di scena è la sentenza della Corte Costituzionale n. 18 del 2019, presidente Giorgio Lattanzi, redattore Aldo Carosi (che trovare in calce a questo articolo).

“È incostituzionale scaricare sul futuro i deficit di oggi – si legge nell’articolo -. Con la sentenza n. 18/2019 la Corte costituzionale lancia una bordata contro una delle pratiche più frequenti dei nostri conti pubblici: il rinvio dei problemi sulle spalle di chi arriva dopo. A cadere sotto i colpi dei giudici costituzionali è una norma (la sua ultima versione è scritta al comma 434 della manovra 2017, legge 232/2016) che permette ai Comuni e alle Province in crisi di restituire in 30 anni i prestiti statali ottenuti per avviare i piani di risanamento”.

In questo articolo si citano i Comuni e le Province, ma non le Regioni. Ciò significa che le Regioni possono continuare a ‘spalmare’ in trent’anni i propri disavanzi? A noi la cosa sembra un po’ strana: perché, infatti, in materia di contabilità, dovrebbe essere consentito alle Regioni ciò che a Comuni e Province è vietato?

Tra l’altro – e qui sta il punto centrale della questione – si tratta della stessa legge nazionale: art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», come sostituito dall’art. 1, comma 434, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019). Una legge per la quale la Consulta a dichiarato l’illegittimità incostituzionale.

Ora, non sarebbe strano che una legge viene dichiarata incostituzionale per Comuni e Province, mentre rimane ‘costituzionale’ per le Regioni?

E se è incostituzionale anche per le Regioni come mi in Sicilia non se ne parla, se è vero che la Regione siciliana avrebbe già ‘spalmato’ un miliardo e 600 milioni di euro in trent’anni e ne vorrebbe ‘spalmare’ altri 500?

A noi questa storia – e soprattutto il silenzio del Governo siciliano di Nello Musumeci su un fatto così importante – suscita molte perplessità.

Ma torniamo all’articolo de Il Sole 24 Ore:

“Sul piano tecnico – leggiamo nell’articolo – la questione riguarda le amministrazioni in ‘predissesto’, il meccanismo introdotto nell’estate del 2012 dal governo Monti per evitare il rischio di fallimenti a catena negli enti locali del Sud proprio mentre lo spread in salita verso quota 575 punti rendeva i nostri conti pubblici gli osservati speciali sui desk finanziari di tutto il mondo”.

La spiegazione è interessante. La questione riguarda il predissesto: argomento piuttosto diffuso in Sicilia (COME POTETE LEGGERE QUI). Un meccanismo introdotto dal Governo di Mario Monti nel 2012 che, però, non ha risolto i problemi:

“Da Napoli a Catania (ora in default), da Foggia a Caserta, da Reggio Calabria a Messina – si legge sempre nell’articolo – sono stati centinaia i Comuni a salire sul treno anti-crisi. L’impianto originario prevedeva la possibilità di ottenere un’anticipazione dallo Stato, da restituire in 10 anni nel corso dell’attuazione di un piano di riequilibrio fondato su tagli obbligatori di spesa e aumenti automatici di tributi. Le quote restituite di anno in anno avrebbero finanziato le anticipazioni ai nuovi enti in crisi”.

Anche questo è un argomento che abbiamo affrontato. Ne abbiamo scritto nel luglio dello scorso anno, quando si è profilato il default del Comune di Catania, avvertendo i cittadini catanesi che, in base a questa norma – un prestito di 1,6 miliardi da restituire in dieci anni – il Comune etneo avrebbe dovuto pagare una ‘rata’ di 160 milioni di euro all’anno! (QUI IL NOSTRO ARTICOLO). Una cifra, a nostro modesto avviso, insostenibile.

“Ben presto però – leggiamo ancora nell’articolo de Il Sole 24 Ore – si è visto che questo fondo rotativo non ruotava molto, perché le restituzioni a rate zoppicavano. Di qui un’infinità di correttivi per bloccare le sanzioni (il dissesto in caso di verifica negativa della Corte dei conti) e allungare i tempi delle restituzioni. Fino a 30 anni, come previsto dalla norma cancellata… dalla Corte costituzionale. La dilatazione del calendario permette di abbassare le rate annuali, senza modificare i piani di pagamento dei creditori. In questo modo consente nei fatti di utilizzare le anticipazioni, cioè un debito, per finanziare spesa corrente, violando la ‘regola aurea’ scritta all’articolo 81 della Costituzione. E mettendo in mora il ‘buon andamento’ della Pubblica amministrazione tutelato dall’articolo 97″.

“Nello specifico – prosegue l’articolo – questa chance ha riguardato gli enti che avevano approvato il piano di riequilibrio prima di effettuare il ‘riaccertamento straordinario’ dei residui, cioè l’operazione imposta dalla riforma contabile a tutti gli enti locali, in crisi e non, per cancellare dai bilanci le vecchie entrate mai riscosse e ormai impossibili da recuperare. Ma proprio questo collegamento è un’aggravante sul piano sostanziale. Perché il riaccertamento straordinario ha permesso a tutti gli enti locali di ripianare in 30 anni i deficit creati dalla cancellazione dai conti delle entrate ormai irrealizzabili. Anche qui, dunque, si registra la ‘lunghissima dilatazione temporale’ che per la Consulta “‘finisce per confliggere con elementari principi di equità intergenerazionale'”.

Restano le domande: si applica anche alle Regioni ‘sta sentenza? Da quello che leggiamo e da quello che non leggiamo sembrerebbe di no: i politici siciliani, infatti, danno per scontato che 1,6 miliardi di euro sono stati già ‘spalmati’ e che bisogna ‘sistemare’ gli ultimi 500 milioni di euro, magari da ‘spalmare’ in trent’anni un po’ quest’anno e un po’ il prossimo anno.

Chi taglia la testa al toro è Paolo Amenta, vice presidente dell’ANCI Sicilia. Che spiega:

“Il Governo nazionale, su questo punto, deve fare chiarezza. La sentenza della Consulta c’è. Ora bisogna capire cosa fare in Sicilia. Dobbiamo tornare al sistema del 2012, ‘spalmando’ i disavanzi in dieci anni? Se sarà così, è inutile che ci giriamo attorno, il sistema delle amministrazioni pubbliche della Sicilia rischia di saltare”.

“Basti pensare – aggiunge Amenta – al Comune di Catania, che deve ripianare un miliardo e 600 milioni di euro. Può farlo in dieci anni? E a che prezzo? Lo stesso discorso vale per altri Comuni dell’Isola che hanno già avviato il risanamento in trent’anni. E lo stesso problema si porrà per le ex Province siciliane. E lo stesso discorso vale per la Regione siciliana. E’ inutile nascondersi. Bisogna fare chiarezza”.

Foto tratta da busunesspeople.it

QUI LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONE – N. 18 DEL 2019 – CHE HA DICHIARATO INCOSTITUZIONALE IL RIPIANAMENTO DEI DISAVANZI DEGLI ENTI LOCALI IN TRENT’ANNI

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