La rivolta dei ‘Gilet gialli’. E gli agricoltori siciliani e pugliesi a chi aspettano?/ IL MATTINALE 210

3 dicembre 2018

I ‘Gilet gialli’ stanno dando un grande segnale a tutta l’Europa che oggi lotta contro una Commissione Europea che ha imposto il grano duro canadese, il CETA e una globalizzazione selvaggia dell’economia. E la stessa UE che sta distruggendo il grano duro pugliese, siciliano e, in generale del Sud Italia. La stessa UE che ha imposto l’invasione di olio d’oliva tunisino e dell’ortofrutta cinese e nord africana. Non è il caso di avviare una protesta, visto che nel prossimo maggio si voterà per le elezioni europee? 

C’è un dato politico nella protesta dei cosiddetti ‘Gilet gialli’ della Francia: l’appoggio, ai manifestanti, di Marine Le Pen e di Jean-Luc Mélenchon: la prima è la leader della destra, il secondo è il leader della sinistra radicale. Che significa questo? In primo luogo che la legge elettorale francese è sbagliata, perché manda al Governo di quel Paese chi non rappresenta le istanze sociali profonde della società. In secondo luogo che il presidente Manuel Macron è riuscito a mettere d’accordo – contro il suo Governo – destra e sinistra. Quello francese può diventare un esempio per il Sud Italia e, in particolare, per la Sicilia?

Volendo, il malessere sociale, nel Mezzogiorno, non manca. E la storia della Prima Repubblica, qualche protesta, proprio nel Sud, l’ha registrata. La prima, anno 1958, è la rivolta autonomista di Silvio Milazzo.

Dietro quello che è passato alla storia come ‘Milazzismo’ c’era l’allora presidente dell’ENI, Enrico Mattei, che voleva i permessi di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi.

C’era una ‘guerra’, interna alla Dc contro Amintore Fanfani, che allora ricopriva, contemporaneamente, i ruoli di segretario nazionale del partito, capo del Governo e Ministro degli esteri.

E c’era l’arroganza di Confindustria, che trattava la Sicilia come negli ultimi anni l’ha trattata il PD di Matteo Renzi: come una colonia da sfruttare (una cosa simile è avvenuta negli ultimi anni, se è vero che ad appoggiare il Governo regionale Rosario Crocetta-PD c’era l’allora presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, anche se oggi tanti – a cominciare dai dirigenti del PD siciliano – fanno finta di averlo dimenticato…).

Ma da questi tre elementi venne fuori una rivolta autonomista importante. Fu una fiammata: ma anche il segnale che, in Sicilia, la voglia di libertà non è mai stata vinta. E potrebbe esplodere se si creano le condizioni.

E’ successo nel gennaio del 2012 con la rivolta dei Forconi. Nata – lo ricordiamo – dai piccoli agricoltori ridotti in miseria dalle politiche agricole dell’Unione Europea e dello Stato e dalla miopia politica dei governanti regionali.

La protesta dei Forconi è stata gestita malissimo. E, alla fine, è stata assorbita dal trasformismo politico siciliano. Ma le condizioni per una rivolta sociale, oggi, ci sono tutte. A partire non soltanto dalla piccola proprietà contadina (storicamente diffusissima in Sicilia), ma un po’ da tutta l’agricoltura della nostra Isola, oggi sempre più minacciata – e in parte già distrutta – dalla globalizzazione dell’economia.

Come stanno le cose lo ha scritto, a chiare lettere, proprio su I Nuovi Vespri, Cosimo Gioia (QUI IL SUO ARTICOLO).

I problemi descritti da Gioia sono tanti. C’è la crisi del grano duro, coltura che nell’entroterra della nostra Isola non ha alternative. E c’è il prezzo dello stesso grano duro bloccato a 18 euro al quintale ormai da troppo tempo. Con il Ministro leghista delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio, che invece di applicare una legge che già c’è – la legge nazionale sulla CUN, la Commissione Unica Nazionale che dovrebbe porre fine alle speculazioni al ribasso sul grano duro – la tiene nel cassetto.

Attenzione, la Lega di Matteo Salvini fa il proprio mestiere: fa gli interessi dell’industria della pasta che, almeno in parte, utilizza il grano duro del Sud Italia, ma lo vuole ovviamente a prezzi stracciati: e infatti ci riesce, grazie al Ministro leghista che oggi blocca la CUN, cosa che aveva già fatto il precedente Governo a ‘trazione’ PD (tutto questo mentre ci sono meridionali – tanti consiglieri comunali sparsi qua e là, ma anche gente comune – che aderiscono alla Lega senza rendersi conto che vanno a dare forza a un movimento politico che lavora per strozzare il Sud).

Incredibile, rispetto al dramma degli agricoltori siciliani, la strafottenza del Governo regionale di Nello Musumeci: non solo, come racconta Gioia, non fa nulla per alleviare le difficoltà degli agricoltori siciliani in grande sofferenza – per esempio, chiedendo la dichiarazione dello stato di crisi e la sospensione dei pagamenti di INPS, ISMEA e tasse varie – ma è anche il protagonista di una presa in giro in materia di controlli: in campagna elettorale Musumeci aveva promesso controlli severi sulle navi che portano il grano estero in Sicilia e, in generale, sulle derrate alimentari.

Ma da quando governa, a parte una nave carica di grano duro bloccata nel marzo scorso (per sbaglio?) e un paio di sceneggiate in qualche mercato della dell’ortofrutta, l’esecutivo di Musumeci, in materia di controlli, brilla per grande assenza. La dimostrazione che l’attuale presidente della Regione ha preso in giro e continua a prendere in giro i siciliani: prende in giro gli agricoltori e prende in giro i consumatori, che portano sulle proprie tavole Iddio solo sa che cosa…

Non c’è solo il grano duro in crisi. Quasi tutto l’ortofrutta siciliana è sotto scacco, massacrata da ortofrutta che arriva da chissà dove. Ovviamente senza controlli, perché l’Unione Europea dell’euro, di controlli sulla salubrità dei prodotti agricoli, non vuole nemmeno sentir parlare: non a caso ha dato il via libera prima al grano duro canadese e poi al CETA, un trattato commerciale con il Canada che, al massimo, può favorire gli industriali di formaggi e salumi del Centro Nord Italia, non certo gli agricoltori in generale e meno che mai gli agricoltori del Sud.

Contrariamente a quello che raccontano, non è vero che il vino siciliano vive una stagione d’oro. A vivere – e non da ora, ma dalla seconda metà degli anni ’90 del secolo passato – una stagione un po’ sopra la media (e non d’oro) è una ristretta cerchia di produttori di vino che ha usufruito di fondi europei a iosa (OCM vino, risorse del Piano di Sviluppo Rurale e altro ancora), di agevolazioni regionali e di condizioni di mercato favorevoli.

Ma a parte la Settesoli di Menfi – esempio unico in Europa – quasi tutte le altre cantine sociali della Sicilia sono in crisi. Mentre i produttori di uva da vino siciliani, in buona parte, vengono ‘strozzati’. Da chi? Da chi pretende di acquistare l’uva da vino a basso prezzo.

Per non parlare dei pagamenti in agricoltura, che in Sicilia segnano ritardi di un anno, di due anni e, in alcuni casi, anche di tre anni. Con il dubbio che AGEA – l’Agenzia dello Stato che effettua i pagamenti in agricoltura – nasconda la mancanza di soldi utilizzati altrimenti.

Poi c’è l’acqua: la Regione siciliana è quasi fallita e sta cercando di caricare sugli agricoltori i costi dei Consorzi di bonifica. Una follia del precedente Governo regionale che il Governo Musumeci ha sposato in pieno.

Se a questo aggiungiamo le banche che non sostengono l’economia siciliana, ma che si limitano – tranne rare eccezioni – a raccogliere il risparmio dei siciliani per impiegarlo per lo più nel Centro Nord Italia (ed è anche logico, visto che sono quasi tutte banche del Centro Nord Italia che hanno ‘colonizzato’ il Sud: e questo grazie alla Banca d’Italia dei vari Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi), la situazione, nelle campagne siciliane, è diventata esplosiva.

Anche perché c’è il dubbio – cosa, questa, che i Forconi avevano capito nel 2012 – che quello che sta succedendo nell’agricoltura siciliana non sia casuale, ma frutto di una manovra per affamare agricoltori grandi, medi e piccoli e rubagli i terreni per quattro soldi.

E’ di qualche giorno l’attacco a un’azienda agricola del Ragusano: siccome non può pagare i debiti per tutte quelle ragioni che abbiamo descritto sopra, stanno cercando di togliergli i terreni.

Nelle stesse, identiche condizioni si trovano oggi migliaia di agricoltori siciliani grandi, medi e piccoli, indebitati a causa della globalizzazione dell’economia voluta da un’Unione Europea di ‘pirati’ il cui obiettivo, oggi, è quello di scippare i terreni agli agricoltori del Sud Italia, cominciando proprio dalla Sicilia, con la complicità degli ‘ascari’ che l’hanno governata e che oggi la governano.

Non a caso, oggi, il Governo regionale di Musumeci e Gianfranco Miccichè si ritrova alleato, di fatto, del PD, che è il partito che, nella passata legislatura, con il Governo Renzi, ha massacrato la Regione siciliana. Se a Roma, in queste ore, Renzi e Berlusconi trattano per un nuovo partito, in Sicilia Miccichè è già alleato dei vari Cracolici, Giuseppe Lupo e via continuando con il PD.

Pensare – e ci rivolgiamo agli agricoltori siciliani – che l’attuale Governo regionale faccia qualcosa per l’agricoltura siciliana è da ingenui. La ‘concessione’ del Ministro legista Centinaio sul grano duro biologico (COME POTETE LEGGERE QUI) è arrivata perché riguarda, sì è no, 7-8 mila ettari rispetto agli oltre 250 mila ettari di seminativi della Sicilia.

Ma su tutti gli altri problemi – la privatizzazione del grano duro Senatore Cappelli, le ‘invasioni’ di ortofrutta e di olio d’oliva che arrivano da mezzo mondo e, soprattutto, sull’indebitamento degli agricoltori, ebbene, il Ministro leghista Centinaio ha risposto picche.

Che significa questo? Semplice: che gli agricoltori siciliani, pugliesi e, in generale, meridionali debbono prendere esempio dai ‘Gilet gialli’ francesi e riprendere il futuro tra le proprie mani.

Avendo chiaro che il primo muro da abbattere è l’attuale Governo regionale, che in un anno ha dimostrato solo di essere il ‘becchino’ dell’agricoltura siciliana.

Cosimo Gioia ha descritto bene la situazione. Ma adesso lui e tutti gli agricoltori siciliani che si vogliono salvare ne debbono trarre le logiche conseguenze politiche. Non sbagliando, possibilmente, nell’individuazione degli interlocutori.

Pensare di trovare interlocutori negli attuali sindaci siciliani è un errore gravissimo. Ad eccezione dei pochissimi sindaci siciliani grillini – che peraltro hanno dimostrato uno scarso spirito ‘rivoluzionario’ (il sindaco grillino di Bagheria, ad esempio, è un disastro: ostaggio, sin dal primo momento, della vecchia politica di una cittadina complicata) – tutti gli altri sindaci sono espressione della vecchia politica.

Dobbiamo ricordarci che gli attuali sindaci siciliani, di fronte ai tagli e alle penalizzazioni dei Governi nazionali del PD, per tutta risposta, hanno riempito la Sicilia di autovelox, di ZTL e di balzelli di tutti i generi e di tutte le specie.

Con la sola eccezione di Paolo Amenta, il vice presidente di ANCI Sicilia che, da anni, in solitudine, denuncia gli scippi romani a Comuni e Province della Sicilia, tutti gli altri sindaci non sono certo alleati della Sicilia in sofferenza: al contrario, sono stati e sono ancora oggi la sponda di chi sta affossando la Sicilia.

E allora? E allora è tempo di darsi una mossa. I francesi stanno dando un grande esempio a tutta l’Europa che si batte contro i liberismo e la globalizzazione dell’economia rappresentati dall’attuale Commissione Europea.

In Francia, come si legge in un articolo pubblicato dal sito d’informazione Gli occhi della guerra, la rivolta di queste ore ha preso sì lo spunto dal caro-carburante, ma in realtà è qualcosa di molto più profondo:

“Il movimento dei ‘Gilet gialli’ – si legge nell’articolo di Scenari di guerra – si è contraddistinto per la sua natura apartitica: nelle immagini delle manifestazioni ripetutesi a Parigi e nel resto del Paese nelle ultime tre settimane spiccano, soprattutto, le numerose bandiere francesi, a indicazione della volontà di rappresentare una voce corale ed unita contro le fallimentari politiche di Macron” (QUI TROVARE GLI ARTICOLI DI ‘SCENARI DI GUERRA’)

Cinquant’anni fa, in Francia, andò in scena il ‘Maggio francese’; e oggi la Francia torna in piazza non per il caro-carburante, ma contro un Governo oppressivo instaurato grazie a una una legge elettorale sbagliata. E’ noto come funziona il sistema elettorale francese. Ci sono due turni. Anche se al primo turno, pur non raggiungendo la maggioranza, una forza politica di rottura prende tanto voti, al secondo turno tutta la vecchia politica si coalizza e – almeno fino ad ora – vince le elezioni. I risultati, però, non sembrano eccelsi.

Contrariamente a quello che si aspettavano Macron e i suoi amici della Commissione Europea, la protesta francese non solo si allarga, ma assume i caratteri di una rivolta permanente, senza possibilità di dialogo. E adesso a non volere dialogare non è Macron con la sua tradizionale albagia, ma coloro i quali danno vita alla protesta, che chiedono le dimissioni dell’attuale presidente francese.

Va da sé che in Francia la protesta avrà effetti sulle elezioni europee del prossimo maggio. E questa vota i ‘rivoluzionari’ non si faranno fregare da una legge elettorale truffaldina (alle elezioni europee si vota con il proporzionale, anche se c’è lo sbarramento).

Anche la Sicilia, quest’anno, ricorda il proprio ‘Maggio’ rivoluzionario: i fatti di Avola del 1968, quando i braccianti scesero in piazza contro chi li sfruttava (QUI UN ARTICOLO).

La Sicilia non è l’unico caso di Sud italiano in rivolta. In Puglia lo scenario non cambia. Anzi, riguardo al grano duro, è lo stesso che in Sicilia.

In più c’è la vergogna della TAP, il gasdotto che deve sventrare il Salento, tra le proteste delle popolazioni. Con un attacco, preciso, contro le millenarie coltivazioni di olivo, ‘preventivamente’ attaccate da uno strano batterio – la Xilella – arrivato da chissà dove…

Lo stesso discorso vale per Taranto, dove al popolo era stata promessa la chiusura dell’acciaieria dell’ILVA, che invece è ancora aperta e continua a inquinare.

Puglia e Sicilia unite nella lotta? Perché no, potrebbe essere un’occasione per il Sud. Ricordiamo che anche l’Italia, nel maggio del prossimo anno, è chiamata al voto per le elezioni europee. E mai, come in questo momento, il Mezzogiorno ha bisogno di un movimento politico e sociale che metta al primo posto il Sud, ricacciando in Lombardia i leghisti che stanno usando gente del Sud per riempire il ‘cavallo di Troia’ della Lega di Salvini.

Così come va respinto al mittente il tentativo trasformista del sindaco di napoli, Luigi De Magistris, che da ‘rivoluzionario’ si sta trasformando in una sorta di Depetris nuova maniera, se è vero che, a Roma, è andato a stringere accordi con la vecchia e sputtanata sinistra: PD, Rifondazione comunista e ‘ciarpame’ vario, come denunciato da Potere al Popolo (QUI UN ARTICOLO).

Al Sud italiano non servono i trasformisti e i cacciatori di poltrone: serve una vera rivolta sociale e politica. E serve, soprattutto, un nuovo soggetto politico che metta nell’agenda politica gli interessi del Sud.

Foto tratta da dinamopress.it

 

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