Elezioni: chi vende e chi compra i voti. Descrizione di un sistema in Sicilia (e nel Sud)

5 febbraio 2018

Oggi ultima puntata del nostro ‘viaggio’ nel mondo delle elezioni. Dopo aver descritto la natura dei siciliani che non vanno a votare e quelli che votano con la sindrome di Stoccolma, affrontiamo oggi il tema della terza categoria: quelli che vendono il proprio voto. O meglio, il sistema attraverso il quale la vecchia politica acquista i voti. Con il dubbio che tale sistema, ‘brevettato’ nel 1994, riguardi, in realtà, tutto il Sud Italia 

Subito dopo le elezioni regionali siciliane è venuta fuori la notizia di un’indagine della magistratura di Palermo a carico di un parlamentare appena eletto. Si tratta di Edy Tamajo, di Sicilia Futura, la formazione politica che fa capo all’ex Ministro, Salvatore Cardinale. Le ipotesi di reato che vengono contestate a Tamajo sono l’associazione per delinquere finalizzata alla compravendita di voti e corruzione elettorale. E’ interessante la ricostruzione dei fatti.

Un signore, in un quartiere popolare di Palermo, durante la campagna elettorale per le già citate elezioni regionali siciliane, girava per acquistare voti, a quanto pare a 25 euro a voto. In un video de Le Iene (che alleghiamo in calce a questo articolo) si parla senza mezzi termini di voto inquinato.

Il meccanismo è semplice: chi acquista i voti non ha alcun rapporto con il candidato da votare. Così è praticamente impossibile – nel caso in cui qualcuno di questi ‘galoppini’ che acquista i voti viene beccato – risalire al beneficiario o “utilizzatore finale” di questi voti acquistati.

A noi non interessa la vicenda singola di Tamajo sulla quale si pronuncerà la magistratura. Noi poniamo un problema politico che riguarda la Sicilia e, in generale, il Sud Italia. Perché il Mezzogiorno? Semplice: perché è l’area dell’Italia che, al di là della retorica, è stata del tutto abbandonata dallo Stato.

Non c’è bisogno di scomodare la SVIMEZ per capire com’è ridotto oggi il Sud: basti pensare che non c’è l’intervento ordinario dello Stato, sostituito dai fondi europei. Questo modo di procedere non dovrebbe essere ammesso dall’Unione Europea, perché i fondi di Bruxelles non possono sostituire l’intervento ordinario dello Stato. Ma tutto questo succede ormai da anni, con Bruxelles che fa finta di non vedere.

Dopo di che buona parte dei fondi europei destinati al Sud non viene spesa. Risorse che vengono riprogrammate da Roma, che ne prende una parte dirottandola al Centro Nord Italia.

Così il Meridione d’Italia viene fregato due volte: senza intervento ordinario dello Stato e con i fondi europei in parte ‘rubati’ da Roma per esse dirottati in Regioni italiane che nulla hanno a che vedere con il Sud. Le cose vanno così dal 2008 e non c’è verso di cambiarle.

Direte: che centra questo con le elezioni? C’entra, eccome se c’entra! Perché la compravendita di voti, di solito, va in scena dove c’è povertà. E mai come negli ultimi dieci-quindici anni il Sud Italia è stato così ridotto in povertà.

Certo, l’impoverimento del ceto medio, provocato dalla crisi economica globale e dall’euro, riguarda tutta l’Italia. Ma nel Sud in generale e in Sicilia in particolare (Sicilia che, con il Governo di Rosario Crocetta-PD, è agli ultimi posti in quasi tutti gli indicatori economici) l’impoverimento del ceto medio si va a sommare a un impoverimento complessivo.

Non è un mistero per nessuno, non raccontiamo cose nuove se diciamo che nel Mezzogiorno, nei grandi e medi centri, esistono sacche di povertà nelle quali non è certo difficile ipotizzare la compravendita dei voti. Con un cambiamento, rispetto a quanto avveniva nella Prima Repubblica, che chi si occupa di politica in Sicilia non può non aver notato.

Chi un po’ di dimestichezza con le campagne elettorali degli anni ’80 del secolo passato ricorderà che nei partiti grandi e medi di governo c’erano i cosiddetti grandi elettori. Questi soggetti talvolta erano parlamentari e talvolta erano semplici cittadini.

Ciò che li contraddistingueva era il fatto che avevano a disposizione pacchetti consistenti di voti.

Oggi, tranne casi che diventano molto rari, non è più così. Anche perché, ad eccezione del PD – oggi peraltro diviso e dilaniato da lotte intestine – non ci sono più i partiti. E quelli che erano i grandi elettori, se ci sono ancora, sono un po’ camuffati; e dove non più presenti sono stati sostituiti da soggetti che controllano piccoli pacchetti di voti.

Cosa vogliamo dire? Che il ‘sistema’ per la compravendita di voti che dal 1994 è cambiato – sistema che potrebbe riguardare la Sicilia e, in generale, tutto il Sud Italia – potrebbe essere proprio quello che è venuto fuori dall’inchiesta esplosa all’indomani delle elezioni regionali siciliane del novembre dello scorso anno.

Se ci ragioniamo, il sistema è perfetto: tanti piccoli soggetti che girano nei quartieri popolari dei centri grandi e medi della Sicilia e del Sud Italia chiedendo alle persone se intendono vendere il proprio voto. Con molta probabilità, ognuno di questi soggetti potrebbe ‘acquistare’ piccoli pacchetti di voti: 100, 150, 200 voti.

Acquisto dei voti peraltro perfettamente riscontrabile grazie alla presenza delle sezioni.

Volete che chi organizza questo sistema non sappia che esistono le sezioni elettorali? Lo sa benissimo: verosimilmente, quando acquista il voto si informa: “In quale sezione voti?”, è probabile che chieda a chi vende il proprio voto (e, magari, quello dei familiari). Così può avere il riscontro finale: sa da una sezione ha acquistato, per ipotesi, 50 voti, da quella sezione debbono venire fuori almeno 50 voti: di più sì, meno no.

Dopo le elezioni, a voti riscontrati, si può dare il via ai pagamenti.

Ora provate a pensare a un sistema radicato in ogni centro grande o medio della Sicilia (nei piccoli centri la compravendita dei voti risulterebbe più rischiosa, ma lì passano altri metodi): venti ‘galoppini’ che acquistano voti in un quartiere, altri venti in un altro quartiere e via continuando così per ogni realtà elettorale medio-grande.

Nell’inchiesta sul post elezioni regionali siciliane si è parlato di 25 euro a voto. A noi la cosa non convince. Per due motivi.

Il primo motivo è che, nella ‘gerarchia’ dell’importanza delle competizioni elettorali, le elezioni regionali – almeno in Sicilia è così – stanno al secondo posto, subito dopo le elezioni politiche nazionali. Che significa questo? Che 25 euro a voto è un prezzo troppo basso.

Dove sta l’inghippo? Forse nel fatto che non è stata considerata la ‘remunerazione’ dei ‘galoppini’ che girano per i quartieri popolari cercando persone disposte a vendere il proprio voto. Non è da escludere che, per le elezioni regionali siciliane si sia arrivati a 50 euro a voto: 25 euro a chi vende il proprio voto e 25 euro da dividere tra i ‘galoppini’, che non lavorano certo gratis!

Non è detto, infatti, che tra chi tira fuori i soldi per acquistare i voti e chi materialmente vende il proprio voto ci siano solo due passaggi: possono esserci tre-quattro soggetti: questo ‘blinderebbe’ ancora di più la posizione di chi acquista i voti, perché con tre o quattro passaggi diventa molto difficile, se non impossibile, risalire a lui.

(Per la cronaca, al terzo posto, per importanza, ci sono le elezioni amministrative, mentre all’ultimo posto ci sono le elezioni europee nelle quali, vuoi perché nella vecchia politica i giochi sono sempre ‘chiusi’ prima, vuoi perché non risultano interessanti, non sembra si registrino ‘grandi investimenti’…).

Da questa breve disamina abbiamo appurato che i veri soldi, mettiamola così, ‘girano’ per le elezioni politiche (quelle del prossimo 4 marzo, per intendersi) e, in parte, per le elezioni regionali.

Ma abbiamo anche accertato che la ‘blindatura’ sembra inaccessibile, perché con tre o quattro passaggi – spesso tra soggetti che nemmeno si conoscono tra loro – è difficile, se non impossibile ‘sgamare’ chi tira fuori i soldi per acquistare i voti.

Al massimo si possono prendere in castagna i ‘galoppini’, com’è avvenuto nel caso della vicenda che coinvolge Tamajo: vicenda scoperta casualmente, perché gli inquirenti seguivano un’altra un’altra pista. Difficile, come già ricordato, andare oltre.

Ma le cose stanno proprio così? In effetti, qualche contromisura potrebbe essere approntata. Partendo da una considerazione: e cioè che, per acquistare i voti, ci vogliono i soldi. Quanti?

Qui lo scenario si complica. Perché se alle elezioni regionali dello scorso novembre è andato in scena il voto di preferenza, per Camera e Senato, con il Rosatellum – la nuova legge elettorale nazionale – i collegi uninominali della Sicilia sono 19 alla Camera e 9 al Senato. A cui si aggiungono i collegi plurinominali, ovvero proporzionali: 33 seggi alla Camera e 16 seggi al Senato.

Sull’uninominale il ‘sistema’ non dovrebbe presentare problemi: funzionerebbe così come, verosimilmente, potrebbe aver funzionato per le elezioni regionali.

Sul plurinominale il ragionamento andrebbe sui grandi numeri. Sappiamo tutti che, nel proporzionale, più voti prende una lista, più saranno i propri rappresentanti nel Parlamento nazionale.

In questo caso il ‘sistema’ di compravendita di voti potrebbe funzionare con i blocchi: da una data sezione elettorale di un dato quartiere che presenta – facciamo un’ipotesi – 2 mila elettori iscritti, debbono venire fuori almeno 350-400 voti: di più sì, di meno no.

Il conto è presto fatto: su 2 mila elettori aventi diritto va a votare, sì e no, la metà, mentre l’altra metà degli elettori diserta le urne (ormai è così); a una certa lista, da una data sezione, se l’acquisto di voti andrà a buon fine, dovrebbero arrivare almeno 350-400 voti.

Se poi il ‘sondaggio’ ha previsto la stessa percentuale… il gioco è fatto!

Questo potrebbe essere lo scenario. E le contromisure? Non sono molte. Ma ce n’è una, in particolare, che potrebbe dare dei risultati: il controllo del flusso di denaro.

Là dove si dovesse configurare la compravendita di voti, qualcuno dovrebbe pagare. Con quali soldi? Paga chi ha già il denaro?

La pecunia arriva da Milano o da Roma?

Il controllo dei conti correnti per i candidati è impossibile. A che titolo dovrebbe essere applicato un provvedimento del genere sui candidati e su chi gli sta vicino?

Però i movimenti di denaro sui conti correnti dei candidati e di chi gli sta vicino potrebbero essere importanti: soprattutto i movimenti in campagna elettorale da 5 mila euro in su.

Non si può fare: ma provate a immaginare un controllo a tappeto sui conti correnti dei candidati eletti alle elezioni regionali siciliane già avvenute (e delle persone a loro più vicine) e un controllo sugli attuali candidati: sarebbe un bel colpo, no?

Perché questi benedetti soldi – tanti, tantissimi soldi se pensiamo alle città grandi e medie della Sicilia e del Sud, centinaia di milioni di euro! – prima di arrivare ai ‘galoppini’ e poi agli elettori da qualche parte debbono passare.

E non è escluso che passino anche dai candidati o da chi sta vicino agli stessi candidati. Peccato che tali controlli sono impossibili.

Pensate che ‘botta’ che sarebbe per gli esponenti della vecchia politica…

IL VIDEO DE ‘LE IENE’ SUL VOTO DI SCAMBIO IN SICILIA IN OCCASIONE DELLE ELEZIONI REGIONALI SICILIANE DEL GIUGNO DELLO SCORSO ANNO

Terza puntata/ Fine – Le prime due puntate sono allegate di seguito: 

La Sicilia che non va a votare: astenuti, radical chic e cretini integrali

In Sicilia la sindrome di Stoccolma tiene in piedi la vecchia politica!

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