In Sicilia la sindrome di Stoccolma tiene in piedi la vecchia politica!

4 febbraio 2018

Ieri, nella prima puntata del nostro ‘viaggio’nel mondo elettorale siciliano, vi abbiamo descritto la Sicilia che non va a votare: astenuti, radical chic e cretini integrali (in calce trovate la prima puntata). Oggi illustriamo chi sono gli elettori siciliani che si recano alle urne. Che, in massima parte, sono ancora più miserabili dei non votanti. Soggetti che, in un modo o nell’altro, tengono in piedi il vecchio sistema politico siciliano di centrodestra e di centrosinistra

I votanti, fatte poche eccezioni, per chi conserva ancora barlumi di ideali, sono ancora più miserabili dei non votanti. Molti di loro votano per il peggio. Per ritorsione (sentimento infantile ma molto appagante tra i deficienti) votano populisti d’accatto, protezionisti, xenofobi, e squallide retrovie antidemocratiche).

I più votano, lo dicevo prima, perché sono affetti dalla sindrome di Stoccolma. Sono in mano a politici senza scrupoli, ma si sono convinti che solo loro possano risolvere i loro problemi.

Si tratta di elettori appartenenti a sottospecie umane, veri e propri disperati. Non si spiega diversamente come sia possibile che personaggi incredibili sotto il profilo umano, pubblico o privato, siano eletti e stiano al potere. Soggetti ai quali persone di normale raziocinio non affiderebbero il proprio cane per portarlo a fare i bisognini. E che invece occupano scranni istituzionali e decidono dei nostri destini.

E così la Sicilia, le sue istituzioni, le sue risorse, i suoi abitanti sono da ormai troppi anni ostaggio di poco più di un centinaio di cialtroni che si perpetuano e si riproducono (alcuni alla lettera, tramandandosi la poltrona da padre in figlio o in figlia) per cooptazione interna, senza cambiare per nulla l’assetto di sistema.

Una sorta di impianto medievale in cui i briganti, invece di diventare conti e baroni, diventano ricchi e grassi.

Attorno a questa corte medievale si è sviluppato e fortificato un asseto di salvaguardie che ormai è collaudatissimo. Ne fanno parte prima di tutto la Stampa, psicologicamente soggetta alla politica, che è del tutto indifferente al nuovo, e che viene, nelle migliori delle ipotesi, ignorato.

La più piccola ‘flatulenza’ del capopartito de noantri ha eco più vasta che una qualche nuova proposta politica.

La Costituzione afferma che la sovranità appartiene al popolo. Niente di più falso. La sovranità, quindi il voto, passa tra tante forche a caudine in un percorso obbligato che deve portare sempre allo stesso risultato.

La via dolorosa comincia con la raccolta delle firme (obbligo che incombe solo per reietti sconosciuti), continua con la presentazione delle liste ad un ufficio che ha il potere di rigettarle e di rigettare il ricorso; poi ad altri uffici che hanno lo stesso potere.

Come si cercano e trovano i voti, che sono in mano a pochi, lo spiegheremo diffusamente nella terza e ultima puntata di questo nostro particolare ‘viaggio’ nel complicato mondo elettorale della Sicilia.

I seggi elettorali sono in mano a presidenti che, salvo rare eccezioni, sono vecchie mutande asservite che intimidiscono i lattanti che, poveretti, per fare quattro soldi, si sottomettono a tutto.

Lo spoglio delle schede si fa a ginocchiate, tanto poi ci sono altri uffici che faranno appattare la settanta, anche quando i numeri non appattano. La matematica è un’opinione del Capo.

Ne viene fuori un assetto dal carattere oligarchico, burocratico, parapubblico, consociativo, che vien chiamato a governare. Questa gentaglia tiene in piedi le maggioranze e nessuno può farci niente, perché, per governare, in Italia, sia la destra che la sinistra, hanno bisogno di chiedere l’aiuto e approvazione di chi rappresenta quegli elettori e quei votanti.

Questa è la declinazione alla siciliana della teoria epistemica della democrazia in base alla quale “più siamo (si intende potenziali elettori), più saggiamente scegliamo”, come si suole dire. Siamo sicuri?

Davanti a tanto scempio però la concezione epistemica della democrazia vacilla. Alcuni studiosi a questo punto hanno cominciato a ragionare su come premiare la conoscenza: i voti non si contano ma si pesano.

Da alcuni decenni, dice Gilberto Corbellini, la sfida per le democrazie costituzionali, che rimangono le migliori riuscendo a valorizzare le libertà individuali e a impedire le dittature della maggioranza, è come coniugare il diritto dei cittadini di partecipare alle scelte politiche, indirettamente o direttamente attraverso libere elezioni e voto a maggioranza, con la diffusa e comprovata ignoranza degli stessi sui temi oggetto di consultazione.

Brennan è un “bleeding-heart libertarian”, che difende la superiorità, rispetto a monarchia e democrazia, dell’epistocrazia, un sistema nel quale il potere politico è ripartito sulla base della conoscenza.

L’epistocrazia non è una forma di tecnocrazia o meritocrazia alla cinese, che qualche politologo asiatico ha contrapposto sul piano dell’efficienza dei risultati alla democrazia occidentale. L’epistocrazia alla Brennan continuerebbe ad avere gli stessi elementi della democrazia, cioè partiti, parlamenti, elezioni, costituzione, eccetera. Ma i diritti politici non sarebbero uguali per tutti.

Alcuni cittadini dovrebbero avere un potere di voto aggiuntivo e il voto politico dovrebbe essere limitato a coloro che superano un test elementare di conoscenza dei fatti politici rilevanti. Un’idea che era stata già pensata da un indiscusso democratico come John Stuart Mill.

Forse, almeno per una prossima tornata elettorale, per la Sicilia sarebbe una buona cosa.

Fine seconda puntata/ Continua

La Sicilia che non va a votare: astenuti, radical chic e cretini integrali

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